lunedì 17 maggio 2010

E dopo tanto incazzarsi...


...alla fine volti una pagina e ci trovi minigrilli e beati sguardi beoti.



Allora sorrido, fumo una sigaretta e penso che voglia di essere là. E ricordando il post qui sotto, rivedendo il parcheggio del Centro Nova immerso in quel magnifico tramonto, mentre io fotogravavo l'orizzonte e la gente, stupita, guardava me anziché ammirare, estasiata, il cielo... so che c'è quella persona che, lì vicino a me, avrebbe guardato il cielo invece dell'asfalto. E saremmo stati d'accordo che spesso, non sempre ma spesso, il mondo è davvero un bellissimo posto.


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Dicono sia il maggio più piovoso degli ultimi 50 anni; consapevoli di questa incredibile fortuna, potremo dire ai nipotini io c'ero: che culo. Nel frattempo viviamo 3-4 giorni di meteo-sollievo in cui la stagione riacquista un po' della sua giusta fisionomia. Ieri, domenica, il cielo è andato ripulendosi fino a diventare azzurro e limpido, macchiato qua e là da nubi bianche e morbide. Il bosco sopra la falesia di Ceredo aveva il rigoglio di una giungla tropicale e di questa ne esalava l'ansito umido ma, arrivati sotto la parete, la brezza continua spazzava via gli aliti densi e mostrava una visuale lunga e profonda fino in fondo alla valle, oltre la quale si scorgeva chiaramente Verona. E' stato bello, è stato rasserenante, è stato semplicemente calmo, quieto, silenzioso e ricostituente. Arrampicare, godere del movimento, vivere la paura di volare, incontrare un nido perfetto con il suo uovo picchiettato di rosso, scorgere i gheppi alti nel cielo, sorridere alle persone che ami e a pochi, scelti, amici, soffiare via dalle mani nuvolette di magnesite e sgranocchiare una mela croccante seduti sul limitare di una piccola grotta; ed anche osservare i minuscoli grilli verde chiaro, scoprire gli iris maestosi e nuovi, sperare con meraviglia di scorgere il formicaleone in fondo al suo imbuto, trovarsi seduti sul bordo del precipizio e sognare in silenzio di spiccare il volo su un vuoto verde e maestoso che risuona di richiami.



Al baretto di Alcenago, in attesa del succulento, fragrante panino, sfilavano giovanotti da bar in modalità "spritz e tifo calcistico". Ragazzi che ogni domenica suppongo lì dal pre-pranzo al dopo-cena e che ieri si lanciavano continui sfottò e/o inneggiamenti all'Inter campione d'Italia. E così ricordo i mondiali del 2006 e la gioia per la vittoria. E ricordo anche la frenesia del giorno dopo nel parlarne e leggerne e poi quel senso di vuoto, leggero ma persistente, che mi prese. Non seghe mentali, né ragionamenti sulla vacuità di questi effimeri ed esteriori interessi ed impegni (queste sì, cazzate da masturbosofìa). No, solo un semplice "ma a me cosa me ne viene?". Ed il senso è: che cosa ci guadagno io? Ho imparato qualcosa? Sono diventato una persona diversa? Sono in qualche modo evoluto o cambiato? Ho vinto, io, o conquistato, io, qualcosa? Non dico che in ogni attività che svolgiamo, soprattutto ludica come il tifare una quadra (ludica dovrebbe esserlo, ma la realtà è spesso diversa almeno in Italia), vi debba essere un qualche processo di crescita: che palle queste visioni costruttive allo stremo di ogni singolo attimo dell'esistenza. Però, cazzo, quanto mi può durare e sostenere e accompagnare la gioia per qualcosa che ha fatto qualcun'altro? La compartecipazione al trionfo di una squadra è la gioia di uno spettatore. Ma la gioia di essere attore di qualcosa, fosse anche il proprio sabato pomeriggio, è di ben altra portata. O almeno dovrebbe esserlo. Io mi chiedo perché la gente tenda sempre a mettersi in ruolo da comprimario passivo pure nel ristretto contesto della propria esistenza.



Di qui un'altra osservazione: perché mai i centri commerciali sono murati di sabato e, quando aperti, anche di domenica? Non scherziamo, l'afflusso non è dato da famiglie che non hanno altra finestra di possibilità per andare a fare la spesa o a fare acquisiti. Il centro commerciale è come il pranzo dai suoceri o il GP della domenica: sono la nonscelta più comune e diretta e facilmente accettabile, tra facce stralunate e sbadigli di noia, che si possa fare. Ma questo ci rincoglionisce e atrofizza i sensi, che diventano impermeabili agli stimoli di ogni altro genere. E così mi trovo nel parcheggio del centro commerciale di giovedì sera, dopo aver fatto la spesa alle 20, a rimirare un tramonto che incendia di oro e smalta di turchese un cielo di Caravaggio. Mi siedo su un fittone e poggio la spesa, mi arrotolo una sigaretta e apro la busta di rotelle di liquirizia, e osservo la grandiosità ed il tripudio di colori che lento mi ruota intorno, col desiderio di mostrarlo a V, condividerlo e insieme tuffarci in esso, e scorgo coppie che a testa bassa scappano alla macchina discutendo sul prezzo delle mele.



Cristo, vi guardate mai intorno? Siete brutti come è brutto chi non è più capace di scorgere la bellezza.


lunedì 10 maggio 2010

Mi piace


Mi piace il volo delle anatre, un po' goffo e faticoso, perché lo vedi che hanno proprio voglia di star lassù ed andare in posti belli. Mi piace il gheppio immobile su un palo, fiero, nobile e compunto, e ti dici "che figo guarda come scruta, domina e attende", e magari lui se la sta solo dormendo della grossa. Mi piacciono le pecore sull'argine del fiume, ed il pastore seduto tra i suoi cani, il grido di gioia di V quando le vede e me le indica. E mi piacciono le muraglie di papaveri e ranuncoli sulla tangenziale di Verona, ed i campi rossi e morbidi sparsi per le campagne.



Ci sono un miliardo di cose piccole, semplici e bellissime che quasi nessuno vede, ma è perché in media siete proprio dei grandissimi imbecilli, così anestetizzati e rincoglioniti che avete bisogno di cattivi ma grandi esempi per sapere cosa vi debba piacere.