lunedì 26 ottobre 2009

Fare qualcosa di bello

E' strano sentire miagolare mentre arrampichi; a 15 metri dal suolo, in una falesia a 45 minuti di sentiero dal paese più vicino, un gattino non dovrebbe esserci. Eppure c'è ed è arrivato lì, magro ma in salute, confidente e arzillo, seguendo due arrampicatori per tutto il sentiero di avvicinamento.


Basta una carezza e ci elegge ad amici, ci segue nelle peregrinazioni tra una via e l'altra alla base della parete, si accoccola sulla roccia, scivola giù, si sdraia al sole affianco alla corda e non ci molla. Quando un amico a metà giornata inizia il rientro lei lo segue (lei? Lui? Non abbiamo capito di quale genere sia) e noi speriamo che lo faccia fino in paese. Due ore dopo iniziamo anche noi a scendere e bastano 10 minuti di strada per sentire miagolare nel bosco; due richiami ed eccola che arriva zampettando. Un micio nel bosco è vittima certa di fame, sete, volpi e tassi. Così con continui richiami ci segue fino alla macchina, un po' galoppando un po' in braccio. Speriamo riconosca qualcuna delle case, o che in paese trovi la sua strada, ma ci segue fino al parcheggio e poi entra in macchina.


Non sappiamo che fare: non la possiamo tenere e la cosa più semplice è indirizzarla verso il paese e partire, ma è innegabile che non stia cercando un luogo dove tornare. E' già sicuramente svezzata, magra, e ha una gran sete, anche se la confidenza fa pensare che sia abituata alle persone e ne sia stata trattata bene (o, quantomeno, non male). Qualche telefonata, il cuore in gola, e poi un amico non mi lascia finire la frase che dice "certo, sì sì portala, la prendo io". Mettiamo in moto e per una trentina di secondi si agita e prova a scappare sbattendo contro il finestrino; subito però va in braccio a V e lì si ddormenta, facendosi 45 minuti di viaggio con gli occhi semichiusi, beata dalle carezze.


Infine arriviamo da F e lei, circospetta ma nemmeno tanto, in 5 minuti trova la via del latte e d'impegno lo sorbisce come un'idrovora senza timori e senza scrupoli. F le vorrà bene e questa è una certezza assoluta; ha un giardino e di che divertirsi, vitto e alloggio e affetto. Rientrando a casa ci si stringe il cuore a pensare alla bellezza del bosco raffrontata a una casa di città, pur se con giardino e zone senza traffico in cui scorazzare. Ma starà bene, e ricordo Pandoro, quando lo prendemmo, che per un giorno e mezzò si appiattì sotto una madia e poi ne uscì per non mostrare più nient'altro che affetto e piacere.


Vai Miciachichi, in bocca al lupo! :)

venerdì 23 ottobre 2009

La bella sofferenza

Ricollegandomi al post precedente, ecco qui: 

Cindy Lauper - Time after time


Quanto pure mal d'amore c'è, qui? Quanta sofferenza? Non colpisce come un pugno la scena in cui lei mostra felice il nuovo taglio a lui e lui la riprende, si incazza, lei scappa, lui la insegue, lei si nasconde e lo lascia passare oltre? Ah, sì, che male che fa, che sofferenza che è, che alto sentire che si può vivere attraverso queste immagini e sulle note di questa splendida musica. O no? E ci identifichiamo, guardiamo il video, ascoltiamo la splendida canzone con un'espressione sognante, con un cuore un po' ferito che sanguina e pulsa ed è incendiato di potenza emotiva. O no?



Ma dico, cazzo, facciamo tutto questo e non ci rendiamo conto che lo facciamo da dietro un computer, seduti comodi, lo facciamo per scelta e sappiamo che questo sofferentissimo mal di vivere e sentire finirà quando lo vorremo noi. Eppure, ed è qui il punto fondamentale, se noi fossimo uno dei protagonisti, saremmo così fieri ed orgogliosi di questa sofferenza? Davvero la custodiremmo come una gemma dolorosa ma pur sempre (o proprio perché dolorosa) ancor più bella? Quando io sono stato male per affetti finiti, relazioni strappate, rapporti naufragati, ho sentito solo il male. E non c'era niente di roseo e dolcemente pulsante, c'era solo un dolore nero e denso, un dolore che però, con il senno di poi, io stesso ho riguardato con un po' di benevolenza, talvolta con qualche spinta malinconica.


Solo che... Solo che mentre stavo male io stavo male e basta, perché ero parte in causa, perché a quel dolore c'ero arrivato ed in esso mi ero ficcato a fondo: non avevo scelto di osservarlo, tantomeno di condividerlo.


Così per chi celebra e si sente affine a Celine: facile sentirsi affini ad una sofferenza che ha reso in qualche modo grandi i sofferenti, una sofferenza che è un cappotto di cui vestirsi più o meno a piacimento.

Ma Celine, Baudelaire o Maupassant, loro davvero, non potevano voltare pagina o chiudere il libro. E se avessero potuto, siamo sicuri che non l'avrebbero fatto?

L'autoconsistenza dell'essere sfigati

Da Céline a Maupassant passando per Baudelaire e Steinbeck, Fitzgerald e Faulkner, abbiamo modo di imparare che:



  • l'essere umano è imperfetto, impuro, egoista, illuso, violento, meschino, ...;

  • ogni cosa che abbiamo potremmo perderla all'istante;

  • ogni gioia è effimera e illusoria;

  • la sofferenza è l'unica reale condizione dell'umana esistenza;

  • vivere è un processo degenerativo;

  • l'unica fine possibile è nel fallimento di noi stessi e nel tradimento dei nostri ideali.


Ora: parafrasare uno scrittore, comprenderne (o, più che altro, supporne) le spinte esistenziali, delinearne i profili emotivi, è una cosa. Fare propria questa visione maledetta e dannata, è tutta un'altra cosa. E se personalmente ringrazio quegli spiriti sofferenti e geniali che hanno generato arte (quale che ne sia la forma) come unica maniera per lottare contro il proprio reale, drammatico e rovinoso mal de vivre, nel contempo m'hanno rotto i coglioni le schiatte di quei sedicenti poeti, scrittori, pensatori, artisti mancati che in sé non hanno nulla più che una smania di emulazione di chi fu palesemente più grande di loro, tanto nella sofferenza quanto nella maestosità dell'espressione.


Che poi, francamente, al mal de vivre è facile abbandonarsi, dal momento che è un giustificatore assoluto per ogni mancanza di volontà, di forza e di desiderio. Il che non significa che con la volontà o con il desiderio puoi raggiungere tutto; significa che sedersi a tossire nel freddo la propria inadeguatezza a questo mondo è ben più facile, ma secondo me anche ben più idiota, che provare a sperimentare se stessi e le proprie potenzialità anche solo un minuscolo passo alla volta.


Gli eroi finiscono sempre per essere maledetti e dannati. Ma almeno sono eroi. Fare l'eroe maledetto senza essere un eroe, conduce ad una unica verità: essere dei maledetti imbecilli.

 

martedì 13 ottobre 2009

Zac!

Bologna è dentro un cristallo; il cielo liscio è semplice e lontanissimo e ci volano dentro nuvole chiare che si mescolano e sciolgono. Schegge di luce gettate ovunque, ad adornare la chioma degli alberi o affilare gli spigoli dei palazzi, tra le tegole dei tetti e nella grana dell'asfalto.


Arrotolo una cicca e l'accendo, soffio fumo lento che subito si fa prendere dall'aria e balla, si dimena, svanisce in alto. Con le spalle mi appoggio al cancello, pianto bene i piedi in questo cuneo di sole e fumo ad occhi chiusi: calore sul viso e jeans freschi intorno alle gambe. Il caco qui affianco inizia a gonfiare di colore i bei suoi diosperi.


Un giorno memorabile, questo: un giorno  d'autunno come non se ne vedeva da un anno. Un giorno di quelli in cui puoi vivere una frizzante primavera al mattino, una fresca estate nel mezzogiorno, e ripiegarti sulle piccole cose tiepide che ami, la sera; come un libro, l'odore umido e caldo delle caldarroste, lo zucchero aspro e violetto dell'uva fragola.

lunedì 5 ottobre 2009

Ma che bello che è...

...andare in un posto per fare una cosa e scoprire che non ne hai voglia e che va bene così, perché poi tanto ti basta essere/stare/guardare (tra amici/fermo sotto il sole/i funghi degli gnomi).

...andare a letto e fermarti per tanti secondi a guardare occhi chiusi che riposano e aver voglia di carezzare e abbracciare anche se non vuoi perché sennò poi la svegli e va bene così allora.

...avere un bel pensiero che mi fa stare bene, avere il bel pensiero di fare stare bene.

Ma che bello che è.