lunedì 29 giugno 2009

Non ora, presto

Una gioia sottile


Pareti alte e verticali che alternano il giallo delle fasce strapiombanti al grigio scuro delle placche appoggiate o verticali. Dove d’inverno corrono cascate e goulotte di ghiaccio la roccia è nera, quasi lavica. Camminiamo nell’aria frizzante dopo aver lasciato all’alba l’umidore tiepido della città; è come se si aprissero i pori della coscienza, mentre la mente si rarefà verso strati più semplici ed istintivi della consapevolezza. La via è un susseguirsi di una dozzina di tiri corda, 350 metri di lunghezza, forse duemila movimenti di mani, piedi, gambe e braccia. Ci sono soste comode che ti tengono appeso nel vuoto e laggiù, 200 metri sotto i piedi, i sentieri che solcano i ghiaioni sembrano piste disegnate dal dito di un gigante. La tensione è costante eppure piacevole, quella soglia di attenzione ulteriore che ti consente di percepire il respiro, la temperatura, i colori, i suoni ad un livello di definizione immensamente più alto rispetto al solito. Rondini e corvidi si sfrecciano incontro, ci mirano quasi e poi, a pochi centimetri dalla parete, curvano verso l’alto impennandosi, cabrando come missili silenziosi, virando per abbandonarsi nuovamente alle correnti. In cima siamo stanchi, sorridenti, con le mani screpolate di roccia, fatica, magnesite e contentezza. Le mani ce le stringiamo, le corde le avvolgiamo e leghiamo in vita, lasciamo le scarpette all’imbrago e calziamo scarpe da camminata, poi scendiamo. Alle panche del rifugio il sole è ancora limpido e netto, bruciante dove ti tocca, gentile nel pervadere l’aria con un tepore delicato. Una birra ed una fetta di strudel, magari prima un pezzo di speck e qualche cetriolo. Parliamo poco e non ci interessa ciò che diciamo, perché quello che scambiamo è solo la serenità di essere fisicamente svuotati, mentalmente lisciati e spianati, emotivamente appagati. Parliamo perché sono onde e vibrazioni, la voce, con le quali ci riverberiamo la felicità di quella gioia, sottile e rarefatta, che sempre ci coglie quando siamo qui.


Una gioia vasta


Il sole che entra tra le persiane di legno verde, irregolari e screpolate dalla salsedine. E’ ancora presto ma non abbiamo voglia di rimanere tra le lenzuola bianche e ruvide che odorano di lavanda e gelsomino. Sul terrazzo del damuso il sole si spettina attraversando l’incannicciato. Una doccia fresca e ancora umidi siamo già seduti a bere succo di mela, mangiare cornetti al miele e pomodori rossi. I muri intonacati di bianco, talvolta dipinti di rosa, di azzurro, di verde ci conducono tra scorci di costa e angoli ombrosi; uno di questi ospita i due tavolini di un piccolo caffé. La scalinata che conduce alla costa scende nel profumo di terra calda e piante grasse, agave e fichi d’india, di timo e salsedine, di sabbia e di sole. Sul mare il riverbero si polverizza in minuscole onde placide ed il suo odore ci colpisce, pervade, attraversa e cattura, intrecciato al ritmo della risacca e allo stridere dei gabbiani. C’è ancora poca gente e ci ritagliamo un pezzo di scoglio largo e piatto. I primi minuti sono scanditi da un silenzio sonnolento nel quale si diffonde l’aroma oleoso delle creme, poi ci si sdraia a dare forma e profili ai fosfeni che lampeggiano dietro gli occhi chiusi. Pochi minuti, perché il richiamo dell’acqua è irresistibile e nell’istante in cui esplodo in essa percepisco l’abbraccio freddo e vitalizzante, effervescente e amico del mare. Risalgo, rido, mi tuffo, gioco con le onde, ci sorridiamo e ci teniamo abbracciati, torniamo a tuffarci e poi andiamo a rinfrescarci all’ombra, sciacquando il sale con una bottiglia d’acqua dolce ormai calda. A metà pomeriggio siamo nel damuso, che è ombreggiato e fresco, dove la doccia lava via l’arsura salina e ci lascia sopiti sulle lenzuola. Poco prima del tramonto passeggiamo per stretti vicoli, bianchi e sconnessi; in piazzetta sediamo tra glicini e oleandri, e ne confondiamo l'aroma con il profumo di un Catarratto freschissimo, con l'odore succulento di capperi e olive nere. Cala la sera che siamo nuovamente a passeggio, in attesa di essere chiamati, blanditi e infine catturati dalla suadenza di aglio, limone, pesce e prezzemolo; dalla polposità di pomodori, pane, vongole e olio. Quando siamo nuovamente sulle lenzuola ci abbandoniamo al silenzio, al ritmo lontano e vago del mare, al richiamo dei grilli, e a tutto ciò che, lento e lucente sotto la luna che filtra, ancora ci separa dall’addormentarci.

martedì 23 giugno 2009

Pensieri colorati...

...non riesco ad averne sotto questo schifoso cielo grigiastro che pare d'ottobre. Membra intorpidite e testa pesante, fuori pioviggina e la magnolia viene scossa da un vento afono ed afoso senza patria o potestà. Sembra di vivere nella terra del nulla, una visione onirica scialba e melliflua che ti cattura piano piano.


Che cazzo di tempo dimmerda.

Divertente

Berlusconi dice che è stato un trionfo del centrodestra, Bossi dice che è stata una grande affermazione della Lega, Franceschini dice che è stato un ottimo risultato che segna l'inizio della decadenza del centrodestra, Casini dice che è stata una grande risposta all'appello all'astensione.


E' un sistema democratico il nostro: chiunque partecipi è sicuro di vincere.

giovedì 18 giugno 2009

Probabilmente

Il calcolo delle probabilità mi affascina, ma non ci capisco niente. Anche la questione più semplice come provare 100 volte ad indovinare un numero su 100: al primo tentativo ogni numero ha una possibilità su 100 di essere estratto, ma ai tentativi successivi le percentuali cambiano? Mi viene da dire di no, però è di sicuro più probabile arrivare alla fine delle 100 estrazioni con 100 numeri variamente ripetuti, e non con un solo numero ripetuto 100 volte, no? Questa cosa è calcolabile? Mistero.


Già a me è misterico un giochetto che mi fecero anni fa e che mi lasciò basito: ci sono 3 scatole e una pallina, bisogna indovinare dove stia la pallina. Ok, il gioco da piazzale dell'autogrill. E invece no perché lo svolgimento è più interessante:



  • vedi le tre scatole e punti su una di esse;

  • ti viene indicata una scatola che sicuramente non contiene la pallina e che quindi escludiamo;

  • rimangono in gioco due scatole: quella puntata inizialmente e l'altra;

  • ti viene data facoltà di scegliere se confermare la scelta o puntare sull'altra scatola.


Ora, cosa conviene fare?



  1. confermare la puntata iniziale,

  2. cambiare, puntando sull'altra scatola rimanente,

  3. non cambia nulla, tanto è una probabilità su due?


Io, da ignorante, sparai la risposta 3; sbagliato! La risposta è la 2: conviene cambiare puntata. Perchè? Perché se confermi la puntata ti riconduci al caso iniziale di una possibilità su 3, mentre se cambi puntata, avendo palesato l'esclusione di una delle due scatole inizialmente non scelte, è come se inizialmente avessi potuto puntare su due scatole, non una, e quindi hai 2 probabilità su 3 di indovinare.


A me pareva una cazzata. Poi ho provato con una serie di un centinaio di estrazioni ed in effetti è così. Ricordo che a seconda della strategia adottata, le percentuali di vittoria erano pressoché matematicamente perfette: 33 percento se confermi, 66 percento se cambi.


Miracoli.

mercoledì 17 giugno 2009

In silenzio

Qui si sta bene, si sta in silenzio su verdi prati. Passa qualcuno ogni tanto, getta uno sguardo e capisce di non aver trovato quel che cercava (sesso con muli, con cetrioli, pollici opponibili e la dieta per dimagrire in fretta, etc.) e se ne va.


Fallo anche tu che leggi, se mai esisti: vattene.


Ieri camminavo quasi al buio giù per un sentiero nel bosco, mentre le lucciole mi ammiccavano intorno ed in cielo si spegnevano gli ultimi lembi lontani di nubi, arroventati da un sole ormai scomparso dietro infinite teorie di colli azzurri. Da una cengia di arenaria gialla mi ero gustato tre ore di vento, di sole e di fresco, di arrampicata e sigarette, di poche chiacchiere semplici e molti silenzi.


Sono convinto che se anziché dietro il PC a inventare nick e titoli astrusi pieni di caratteri extra-alfabetici, a inventarsi modi di essere e sentire, a inventarsi mal di vivere e angoscia esistenziale, quelli che hanno un blog mettessero il culo all'aria aperta per qualche ora al giorno, avrebbero molte meno puttanate da scrivere.


E per l'appunto io qui sul mio blog mi rendo conto che non ho voglia di continuare oltre con questo ennesimo pippone scassacazzo.

venerdì 12 giugno 2009

Me ne vado

Ho salvato un piccolo di corvo, stordito in mezzo alla carreggiata di una rotonda.

Ho ascoltato Crossroads in macchina e comprato una bella maglietta blu profondo.

Ho bevuto un caffè, fumato una sigaretta, e gustato tre sorsi di un rhum magnifico.


Il corvo mi è venuto a sedere affianco al bar, mi ha fissato con la testa reclinata e mi ha ringraziato. Dopo un po' che si lisciava le penne ha spiccato il volo e si è alzato dentro questo cielo diamante. Andandosene ha detto che mi avrebbe fatto un piccolo dono, ed ora mi rendo conto che mi basta pensare ad un posto qualsiasi per poterlo vedere come se volassi alto su di esso. Così ho detto me ne vado ma l'ho detto piano tra me e me, e mentre sono seduto davanti a questo odioso computer sento Crossroads nelle orecchie ed il vento intorno al corpo, sotto di me piste di terra ed erba altissima, macchie di alberi enormi e creature libere che corrono o riposano. Sono qui davanti a questo monitor mentre in realtà sorvolo la bianca striscia che separa il verde della giungla dal turchese del mare. Poi scendo e mi appoggio al legno di una veranda, dove vecchi uomini pieni di rughe e sorrisi antichi guardano il mare e fumano sigari, bevono rhum e cantano tra le labbra vecchie canzoni di sole e di mare, di sesso e di amore, di guerra e di vittoria, di vita e di sconfitta. Poco più in là un signore anziano e corpulento, bianco di barba e capelli, fissa il cielo che si fissa nei suoi occhi, e batte i tasti di una vecchia macchina da scrivere. Arrivano due ragazzi che salutano gli anziani, si siedono e chiedono dove possano acquistare sigari per un amico. Ed io testimonio che quei due ragazzi sono proprio belli, proprio come fossero in viaggio di nozze.


Grazie, piccolo corvo.


P.S.

Poi mi sento chiamare e allora mi stacco, viro e rientro qui, e poco prima di atterrare dentro il mio corpo mi chiedo se darei la gratifica di produzione appena ricevuta per la vita di quel piccolo corvo. Ripenso al fiotto di emozione quando l'ho visto spiccare il volo e mettersi in salvo nel campo, e so che darei la gratifica una, due, cinque volte. E mi dico che il piccolo corvo mi ha fatto proprio un bel dono, perché oggi dentro di me ci sto comodo e quieto davvero.

giovedì 11 giugno 2009

Magica mente

C'è il mostro, c'è il castello, c'è l'incantesimo e la ricompensa, ma non è una fiaba dei fratelli Grimm, è solo un pomeriggio di mercoledì. C'è il mostro nero e lucido che ingoia aria, brucia benzina, e restituisce una potenza rotonda che mi avvolge intorno alle curve dolci della collina bolognese. Poi c'è il castello, con le sue mura beije che man mano che il sole scende e si infiamma diventano ocra, gialle, rosa e indaco. C'è l'incantesimo che è fatto di luce dorata che filtra attraverso gli alberi e inonda la roccia, soffiando gioia dentro il cuore; l'incantesimo che è recitato da un amico col quale chiacchierare di tutto e con tutta la lentezza che vuoi; l'incantesimo cui partecipa un falco che sta immobile nel cielo, librato controcorrente; cui partecipano persone allegre che avevi voglia di vedere; cui partecipa il vento che asciuga l'umidità e ti ritrovi a 30 metri con la mano distesa a stringere piano un intaglio di roccia, piano che con questo clima perfetto di più non serve, piano che non ti affatichi e rimani lì, mezzo palmo sulla roccia, mezza punta di un alluce sulla roccia, ed il resto del corpo incastonato dentro un cielo magnifico. E poi c'è la ricompensa, che è un piatto di carne rossa, un piatto di patate al forno, un bicchiere di vino rosso e qualche cicca seduti sulle panche, ascoltando la notte e respirando l'odore di una torre di ciclamino che si alza per 4 metri contro lo spigolo del muro.


C'è il pensiero dolce che va lontano a chi vorresti fosse vicino, con la malinconia che non sia qui, con la dolcezza di sapere che non c'è fretta e che prima o poi accadrà.


C'è che a volte basta essere semplici per essere felici. Semplici come se tutto ciò che ci importasse fare fosse semplicemente guardare, muoverci, desiderare e sorridere.

martedì 9 giugno 2009

Quando ero piccolo

Quando ero piccolo tipo che avevo 9 anni il giorno in cui finiva la scuola eravamo un poco tristi perché salutavamo gli amici. Arrivati a casa però non me lo ricordavo già più che ero stato triste, e non ricordo un ultimo giorno di scuola che non avesse un gran bel sole in cielo. Quel primo pomeriggio di libertà ritrovava il sapore nascosto di albicocche rossastre con la buccia screziata di scuro; di pesche pelose col profumo che ti stordiva, di prugne mature nere nere fuori, gialle gialle dentro, col nocciolo che veniva via pulito e tu che colavi sugo dal mento. La mattina dopo poi era la magia di disporre di un tempo nuovo. Mia mamma usciva di casa ed io avevo le chiavi; alle dieci eravamo tutti in cortile con le biciclette, a pedalare come forsennati sempre intorno al quadratone centrale; i viaggi dalla corte 9, la mia, alla corte 10 erano viaggi nell'ignoto, ma quando ci spingevamo alla corte 11 era come un altro pianeta. Ogni corte era quadrata, il giardino quadrato coi piccoli viottoli, i fili per stendere, siepi e aiole e qualche albero, ed il percorso pedonale sui 4 lati, ciascuno di 80 metri, dove noi sfrecciavamo; le case tutte identiche tutte intorno. Ma nelle altre corti era anche tutto diverso. E noi pedalavamo. Io, Marika, Medardo, Alessia, Alessandro, Elena. Nelle altre corti c'erano Cristian ed Alan, come stranieri, come tribù Tuareg lontane che ogni tanto incontri, con le quali scambi saluti e parole di rito, ma poi via. Anche perché il fascino dell'ignoto... si sa. E finiva che le nostre ragazze erano semrpe più affascinate da quelli là che da noi. A mezzogiorno arrivava l'amica di mia mamma in pensione e mi faceva da mangiare, alle due ero già giù, talvolta il primo, talvolta l'ultimo. Se ero il primo c'era la frenesia dissimulata di aspettare che arrivassero gli altri, e magari li andavi a chiamare anche: Dlin-Dlon - sì, chi è? - signora sono Andrea, c'è Alessandro? - Sì te lo chiamo, anzi viene giù, ciao Andrea - buonasera Signora. Se ero l'ultimo mi godevo che mi venissero a chiamare al campanello o, più spesso, che mi chiamassero a squarciagola dal cortile. Alessandro aveva la BMX, Alesia ed Elena la Graziella, Marika la caricavamo (era la più carina) ed io e Medardo le bici da cross. Era bello appoggiarle al bordo del muretto e sdraiarsi nell'erba. Ecco, poi giocavamo a muretto ed io a calcio non valevo niente, però ero un po' il leader e questo bastava a farmi vincere spesso, con qualche colpo barato sul quale nessuno diceva nulla se stavo nei limiti dell'accettabile. Funzionava così. Un giorno comprammo i tubi di metallo e lo stucco, e passammo una settimana a farci minuscole chiazzette rosse e dolorose sulle gambe, ma in faccia no, non vale. Poi la mia cerbottana la piegai colpendo Alessandro sulla schiena, perché lui mi era venuto addosso in bicicletta. Io mi ero sbucciato le ginocchia, le mani, e tagliato una scarpa nuova nuova. Lui aveva un segno terribile per il mio colpo di cerbottana sul gobbone e perché l'avevo buttato in terra. Per due giorni ci autoconfinammo in casa, erano le nostre inevitabili guerre. Poi scendemmo in cortile e per mezza giornata ci ignorammo. Poi non ci ricordavamo più di niente. I nostri genitori nemmeno si parlarono. Cioè si parlavano, perché erano amici, ma non parlarono di quello, credo, e a noi non dissero mai niente. In fondo cosa c'era da dire? Alessandro prese il Vic 20 e mi fece giocare ad un giochetto dove un topo mangiava il formaggio che trovava nel labirinto. Era esotico, arcano e magico il computer, la cassetta del gioco, e tu che comandavi il topo sullo schermo. Ci giocammo per qualche giorno nella mezzoretta dopo pranzo, poi dopo andavamo in cortile a correre, pedalare, giocare. Dopo non ci giocammo proprio più. A me piaceva Marika, ma anche un po Elena, e lo si vedeva perché nei giochi finiva sempre che un po' le picchiavo. In compenso mi picchiava Alessia, ma a me non piaceva perché era strabica e aveva i brufoli. Però andavamo tutti d'accordo ed eravamo sempre insieme. Quando il vecchio del terzo piano divenne cattivo e ci urlava di stare zitti e ci prendeva a male parole, un paio di genitori gli suonarono alla porta, poi il vecchio non ci diede più fastidio. Però i genitori ci avevano detto che fino alle nove del matitno e dopo pranzo fino alle tre era l'ora del silenzio. E quando era l'ora del silenzio noi parlavamo piano e non correvamo in bici né giocavamo a muretto. Erano regole, funzionava così, e andava bene. Quando gli amici partivano per le vacanze dispiaceva, ma non è che proprio si sentisse la mancanza, era più che altro un senso leggero di incompletezza. Quando tornavano era festa, erano saluti, forse un paio di minuti a chiacchierare tipo "ho visto i delfini e un vulcano" e poi basta, era come se non fosse passato un mese in mezzo, e nemmeno un giorno.


Era semplice, bello, vitale, sudato, solare, saporito, grezzo, ruvido, urticante, fresco, divertente, intenso, colorato, giovane. Era giusto.

lunedì 8 giugno 2009

Intégràti

Al TG di, mi sembra, canale 5: “Un segno di integrazione della comunità rumena, a partire da oggi viene trasmesso, in molte regioni del nord, il TG in lingua rumena”. Praticamente si sono integrati fra di loro ed il giornalista che ha scritto la notizia è un cretino integrale.Ecco invece un caso di integrazione “bambino cinese che scrive poesie in dialetto lombardo premiato”. Speriamo che da grande faccia il giornalista al posto dell’idiota dell’articolo precedente.


Questo è il testo originale di una mail che l'ingegnere alcolico ha mandato oggi a noi suoi colleghi, per renderci partecipi del suo pensiero. Considerando che questo ingegnere è una persona di sicuro buon cuore e palese generosità, penso che siamo messi davvero male. Perché se i buoni pensano simili cazzate, allora non c'è davvero scampo...


Nessuna delle due notizie ha, secondo me, nulla a che vedere con l'integrazione, anche perché di nessuna delle due iniziative si specifica il contesto, gli autori ed i promotori, tantomeno le reazioni. Ma mi fa orrore che si confonda l'integrazione con l'assimilazione. Un TG in rumeno può essere una cosa semplicemente utile ed un buon servizio; molto dipende da chi ha proposto, accettato, realizzato la cosa e soprattutto da quali saranno le azioni e le reazioni di rumeni e non-rumeni; allora vedremo se si possa o meno parlare di esempio di integrazione. Ma è la seconda notizia che mi raccapriccia o, meglio, sulla quale ho letto - oltre a quello riportato - commenti raccapriccianti. Integrazione significa accettare chi, diverso da noi per la pelle, la cultura, le origini ed il bagaglio culturale, si sforza - e magari riesce e pure eccelle - nell'essere uguale a noi? Bella integrazione, e quindi un'ottima apertura di mente e assenza di preconcetti e pregiudizi, no? Il succo è: bravo tu, che stai diventando proprio come noi. Orrore.

venerdì 5 giugno 2009

Un nuovo inizio

Qualcuno ha visto l'intero discorso di Obama all'Università del Cairo? O l'ha letto? Io l'ho letto, visto e ascoltato integralmente, e sono stati 55 minuti di speranza che non possono non riverberare - lo spero - per i prossimi numerosi anni. Voglio credere che questo Presidente stia davvero mettendo in moto quei cambiamenti che nessun'altro, mai, ha anche solo voluto pronunciare.


Un nuovo inizio, responsabilità, rispetto, condivisione.


Smettiamola di guardare a Noemi, smettiamola di guardare al passato, e chiediamo ai nostri politici che inizino davvero a governarci, che inizino davvero a fare ciò per cui sono stati eletti: perseguire il bene di ogni singolo individuo.

giovedì 4 giugno 2009

Il matematico cloacale

C'è un po' di tutto, qui. Dietro le mie spalle il collega che si fa le pugnette e io che devo studiare nuove tecnologie con il suo cic-ciac affrettato e convulso. Il capitano d'impresa coi pantaloni sempre lisi in zona cesarini perché non riesce a non grattarsi l'uccello anche davanti ai clienti: sgrat-sgrat-sgrat. Il professionista che puzza di alcol da mattina a sera e quello che starnutisce ogni giorno e sempre con tale potenza da farsi sentire anche fuori degli uffici e da irrorare di muco lo schermo.


Ma il meglio è il matematico, mente brillante e decennale carriera in Enea, che non si lava. Quando dico che non si lava non intendo che odora di sudore, o che ha quell'aroma untuoso e stropicciato di capelli sporchi. Dico che il fetore di corpo lercio promana in ondate casearie, in cavalloni fecali, in tsunami solforosi dal suo ufficio. E se hai la sventura di entrare in bagno dopo di lui, o hai riflessi più che pronti e ne scappi in tempo, oppure sei finito: in preda ai conati ti accasci al suolo e invochi una rapida fine. Qualcuno di voi conosce l'odore di corpo sporco davvero, sporco che non si lava mai e poi mai e tutto si accumula, si stratifica, sedimenta e si amalgama?


Oggi ho scampato l'assalto nauseabondo ed emetico, ho fatto dietrofront, e la potente scossa limbica datami da quella sferzata macilenta mi ha ispirato una ballata. Eccola:


Come il fiato di una iena insieme a quello di balena

O l' ascella di uno yak ben serbata in tetrapak

Un odore di cancrena che ti stende e a terra mena

come un bell'elettrochoc dopo un bricco di cognac.


Niente acqua né sapone o sulle croste un bel tampone

Ama il puzzo e'l suo olezzo il matematico in pensione

che i colleghi spinge tutti a vomitoria propensione


Denti neri e mezzi marci con cui riesce ad ammorbarci

nel parlargli sii veloce i suoi effluvi son feraci

puzza più che sfatti sorci e purulenti vecchi squarci

sa di piedi e vecchi caci, è come dare a un culo baci


Niente acqua né sapone o sulle croste un bel tampone

Ama il puzzo e'l suo olezzo il matematico in pensione

che i colleghi spinge tutti a vomitoria propensione


E dopo tutti i suoi liquami mai si lava lui le mani

solo chi è davvero ardito usa il bagno che ha lordato

lasciando peli disumani su lavandini e asciugamani

firmando il cesso immacolato col merdoso suo essudato


Forse tiene carne secca nella sua mutanda a stecca?

Forse le unghie ha incarnite nelle calze saporite?

O che irrori le emorroidi ad agar-agar e steroidi?


Non ci è dato di sapere

nè pensiamo con sollazzo

a che fa del proprio cazzo

o ancor più col suo sedere


il suo fetore è epocale

un abbraccio nauseabondo

ci menerà all'altro mondo

il matematico cloacale

mercoledì 3 giugno 2009

Work less, live more

20090603-PerfumePrendi la macchina la bicicletta il treno i tuoi stessi piedi e parti. Prendi il sole e appoggialo sulle spalle, prendi la pioggia e lasciatela scivolare addosso, prendi la luna e appendila davanti al tuo naso, prendi i monti e gettali laggiù in fondo, prendi un mare verde e violetto e soffiaci dentro cavalloni profumati. Fai quello che vuoi ma vai, solo questo, vai.


Vai perché hai gambe, un cuore, e due occhi che sanno guardare e che riescono a vedere. Vai perché da quando sei nato ti hanno costruito come un pugno serrato pieno di bisogni da soddisfare, ma i profumi che ti hanno invaso i sogni e le immagini che ti hanno aperto la vista ti hanno insegnato a volere, a smetterla di avere bisogno almeno ogni tanto.


Vai perché ci sono mille posti dove vuoi andare, e di questi mille 999 forse nemmeno sai che esistono, ma l'importante ce l'hai tutto stretto fra le tue dita aperte nel momento in cui sai dove vuoi essere domani. Ignori, eppure lo senti, che ognuno di quei 999 altri posti è connesso al precedente da un sottile filo chiaro sul quale scorrono i tuoi desideri come perle scolpite da schegge di sole. Il primo passo allora qual è? Cosa vedi, cosa senti e cosa desideri? E soprattutto, sorridi al pensiero di dove sarai? Lavora di meno, vivi di più. Io lascio che sia un mare di lavanda a guidarmi col suo aroma che sa di sera e di bellezza semplice e ruvida, e che siano i sentori limpidi di un Kerner ad alimentare le mie voglie. L'importante è il primo passo, e gli altri 999 sono tutti dopo di quello. E verranno anche loro, quando lo vorrò.

L'astio del lunedì


  1. Fanculo al collega che ieri sera ha visto La Grande Guerra e oggi si vanta di essere andato a dormire alle tre perché ha deciso di ristudiarsela tutta per capire bene le cose. Ma tromba, va'!

  2. Pannella fa l'ennesimo sciopero della sete. Bene, che bello, è ora che si disintossichi e dia un esempio agli altri alcolisti cirrotici suoi pari.

  3. Kakà, che aveva giurato fede al Milan, se ne va in Spagna o in Inghilterra, pagato 9 milioni di euro netti a stagione. E io dico: masticazzi!

  4. Venerdì, 4 ore Bologna - Arezzo; oggi, 2 ore e mezza Padova - Bologna. Code e incidenti. Ma dove cazzo deve andare tutta 'sta gente? Non lo sanno che solo io ho il diritto...?


Tipico astio di un lunedì mattina assonnato che fronteggia l'infinito baratro della settimana lavorativa. Solo che poi ricordo: oggi è mercoledì!



  1. In effetti è encomiabile che un giovane di 30 anni abbia una tale capacità e volontà di approfondimento.

  2. Pannella in fin dei conti, per quanto sia ormai la caricatura di se stesso, pare rimanere uno dei pochi integri.

  3. A me del calcio non mi è mai fregato nulla. Fossi io Kakà farei uguale, comunque.

  4. Però sabato, lunedì e martedì ho trovato autostrade vuote e a tratti davvero belle (A27 da Vittorio Veneto in su, una meraviglia). E anche oggi non mi è dispiaciuto perdermi nella campagna ferrarese tentando di rientrare per stradine alternative.


Il lavoro condiziona la vita. Work less, live more.