Una gioia sottile
Pareti alte e verticali che alternano il giallo delle fasce strapiombanti al grigio scuro delle placche appoggiate o verticali. Dove d’inverno corrono cascate e goulotte di ghiaccio la roccia è nera, quasi lavica. Camminiamo nell’aria frizzante dopo aver lasciato all’alba l’umidore tiepido della città; è come se si aprissero i pori della coscienza, mentre la mente si rarefà verso strati più semplici ed istintivi della consapevolezza. La via è un susseguirsi di una dozzina di tiri corda, 350 metri di lunghezza, forse duemila movimenti di mani, piedi, gambe e braccia. Ci sono soste comode che ti tengono appeso nel vuoto e laggiù, 200 metri sotto i piedi, i sentieri che solcano i ghiaioni sembrano piste disegnate dal dito di un gigante. La tensione è costante eppure piacevole, quella soglia di attenzione ulteriore che ti consente di percepire il respiro, la temperatura, i colori, i suoni ad un livello di definizione immensamente più alto rispetto al solito. Rondini e corvidi si sfrecciano incontro, ci mirano quasi e poi, a pochi centimetri dalla parete, curvano verso l’alto impennandosi, cabrando come missili silenziosi, virando per abbandonarsi nuovamente alle correnti. In cima siamo stanchi, sorridenti, con le mani screpolate di roccia, fatica, magnesite e contentezza. Le mani ce le stringiamo, le corde le avvolgiamo e leghiamo in vita, lasciamo le scarpette all’imbrago e calziamo scarpe da camminata, poi scendiamo. Alle panche del rifugio il sole è ancora limpido e netto, bruciante dove ti tocca, gentile nel pervadere l’aria con un tepore delicato. Una birra ed una fetta di strudel, magari prima un pezzo di speck e qualche cetriolo. Parliamo poco e non ci interessa ciò che diciamo, perché quello che scambiamo è solo la serenità di essere fisicamente svuotati, mentalmente lisciati e spianati, emotivamente appagati. Parliamo perché sono onde e vibrazioni, la voce, con le quali ci riverberiamo la felicità di quella gioia, sottile e rarefatta, che sempre ci coglie quando siamo qui.
Una gioia vasta
Il sole che entra tra le persiane di legno verde, irregolari e screpolate dalla salsedine. E’ ancora presto ma non abbiamo voglia di rimanere tra le lenzuola bianche e ruvide che odorano di lavanda e gelsomino. Sul terrazzo del damuso il sole si spettina attraversando l’incannicciato. Una doccia fresca e ancora umidi siamo già seduti a bere succo di mela, mangiare cornetti al miele e pomodori rossi. I muri intonacati di bianco, talvolta dipinti di rosa, di azzurro, di verde ci conducono tra scorci di costa e angoli ombrosi; uno di questi ospita i due tavolini di un piccolo caffé. La scalinata che conduce alla costa scende nel profumo di terra calda e piante grasse, agave e fichi d’india, di timo e salsedine, di sabbia e di sole. Sul mare il riverbero si polverizza in minuscole onde placide ed il suo odore ci colpisce, pervade, attraversa e cattura, intrecciato al ritmo della risacca e allo stridere dei gabbiani. C’è ancora poca gente e ci ritagliamo un pezzo di scoglio largo e piatto. I primi minuti sono scanditi da un silenzio sonnolento nel quale si diffonde l’aroma oleoso delle creme, poi ci si sdraia a dare forma e profili ai fosfeni che lampeggiano dietro gli occhi chiusi. Pochi minuti, perché il richiamo dell’acqua è irresistibile e nell’istante in cui esplodo in essa percepisco l’abbraccio freddo e vitalizzante, effervescente e amico del mare. Risalgo, rido, mi tuffo, gioco con le onde, ci sorridiamo e ci teniamo abbracciati, torniamo a tuffarci e poi andiamo a rinfrescarci all’ombra, sciacquando il sale con una bottiglia d’acqua dolce ormai calda. A metà pomeriggio siamo nel damuso, che è ombreggiato e fresco, dove la doccia lava via l’arsura salina e ci lascia sopiti sulle lenzuola. Poco prima del tramonto passeggiamo per stretti vicoli, bianchi e sconnessi; in piazzetta sediamo tra glicini e oleandri, e ne confondiamo l'aroma con il profumo di un Catarratto freschissimo, con l'odore succulento di capperi e olive nere. Cala la sera che siamo nuovamente a passeggio, in attesa di essere chiamati, blanditi e infine catturati dalla suadenza di aglio, limone, pesce e prezzemolo; dalla polposità di pomodori, pane, vongole e olio. Quando siamo nuovamente sulle lenzuola ci abbandoniamo al silenzio, al ritmo lontano e vago del mare, al richiamo dei grilli, e a tutto ciò che, lento e lucente sotto la luna che filtra, ancora ci separa dall’addormentarci.