giovedì 29 gennaio 2009

Play

- Hai fiducia in me? -

- No -

- Come no? -

- Solo no -

- Ma perché? -

- Perché non rilascio certificazioni -

- Eeeh? -

- Dici fiducia, intendi certificazione -

- Ma che dici? -

- Che ogni volta che diciamo a qualcuno ho fiducia in te in realtà intendiamo: ti conosco abbastanza da decidere che per me sei ok; ti prevedo sufficientemente da non avere sorprese; ti delego e lascio scelta perché so come agirai; se non rispondi alle mie attese sarò deluso e avrai tradito la mia fiducia -

- Minchia, ma non è che esageri? -

- Non credo, no. -


- E l'amicizia? -

- L'amicizia è una bella cosa, a saper cosa sia -

- Oh dai, anche l'amicizia adesso... -

- No, è solo che dell'amicizia mi ha sempre sconvolto una cosa -

- Sentiamo, cosa? -

- Che la prima cosa che si pretende da un amico è che non cambi mai -

-  ...

mercoledì 28 gennaio 2009

Pause

Quel tasto con le due barre verticali cicciotte e parallele, quello lì che è l'alter-ego di play. Ecco Mulo, schiaccialo un po', vuoi?

click


PAUSE

martedì 27 gennaio 2009

Primavera

PrimaVera


Svegliarsi, stiracchiarsi nella luce del sole, aprire la finestra su un modo verdeazzurro.

Ho voglia di primavera. Per guardare, vedere, annusare, respirare, camminare e andare.

lunedì 26 gennaio 2009

La legge del cazzo

Tutti si aspettano qualcosa. Tutti si fanno dei grandissimi film mentali nei quali dirigono 6 miliardi di altri attori. E si incazzano quando uno qualsiasi di quei 6 miliardi di ignari attori sbaglia le battute! E se poi lo fa uno dei co-protagonisti, di non seguire quel copione evidentemente scritto, allora è il dramma! Ma mai nessuno, io in primis, a pensare che in ognuno di quei 6 miliardi di comparse nel film della mia vita, c'è il regista del film della sua propia, di vita. Dove io sono una comparsa che non sa il copione.


Ora basta.

Veicolare l'informazione

Come nel gioco del silenzio (io dico al mio compagno di banco "citrullo" in un orecchio e di orecchio in orecchio alla fine del gioco l'ultimo ha capito "megalominchia") il trasporto delle informazioni dovrebbe essere un processo che non va a modificare il carico. Oggi alla radio due notizie su tante altre:



  • un EuroStar si è spezzato;

  • 12 italiani su cento covano ancora pensieri antisemiti;


Alla prima notizia mi si è gelato il sangue; immaginavo carrozze deragliate, sventrate e squarciate, morti e feriti. L'Eurostar invece non si è spezzato: si è fermato in una stazione e quando è ripartito uno o più vagoni son rimasti lì. Per dolo o malfunzionamento si è sbloccato uno degli agganci.


La seconda notizia è subdola: la quota così alta di antisemitismo latente viene da un lato connessa alla recente guerra (tale è stata) nella striscia di Gaza. Dall'altro però, forme verbali come restano e sopravvivono (in relazione alle tendenze antisemite) e avverbi come ancora e tuttora collocano questi 12 italiani su 100 nell'accolita di nostalgici - rasati e violenti - dell'olocausto.


Per par-condicio ritengo sia il caso di esprimere le due notizie in forme che bilancino i media ufficiali. Ecco dunque che:



  • un eurostar si dimentica un vagone nella stazione di XXXXX;

  • 12 italiani su 100 si son rotti i coglioni che lo stato di Israele agisca con tale violenza e incuranza da poter essere serenamente definito fascista.

venerdì 23 gennaio 2009

Happy birthday!

Allora vediamo se rammento tutto:



  • tre piccole quiche, due vegetariane ed una con sana pancetta;

  • due minicroissant fragrantissimi rimpinzati di prosciutto crudo;

  • tre tartine da panettone salato (salame, prosciutto e funghi, tonno e cipolline);

  • un minicalzone fontina e prosciutto cotto;

  • una fetta di torta alla frutta;

  • una fetta di ciambella al cioccolato.


Che belli i compleanni! Ed ora, satollo, posso bere il caffé, fumare una sigaretta, e cadere in coma fino alle 17 circa. Ottimo venerdì! Io mi spengo e auguro buon weekend al mundo intierooooooooo!!!! [P.S.: QUESTO MI CARICAAAA]

Anagramma?

il mulo e il cetriolo

il mulo e il cetriolo

il mulo e il cetriolo


Anagramma! [MMXXVI-bis]

giovedì 22 gennaio 2009

Rana Gamma?

culle rotoli emilio

motori olii cellule

molecole ruoli liti


Magna Arma! [MMXXVI]

Nuvvvvvole

220109 - CloudsSe non c'hai la tua tag-cloud non sei nessuno.

Sappilo!


Perché nel web 2.0 il tagging dei contenuti è una professione di fede. Tàggati il blog, il sito ed il commento; tagga l'articolo sul quotidiano, la recensione del ristorante ed il comunicato stampa. Taggati il cyberspazio ed indicizzalo e poi contalo, e alla fine creati la tua tag-cloud, che taggata a sua volta finirà per andare a costituire una mega tag-cloud cosmica dove potremo capire con un semplice click (clickclack, Zuuucchiii!) quali siano i contenuti più contenuti e quali gli argomenti più argomentati. Così potremo pensare ciò che tutti pensano e ragionare ciò che tutti ragionano e immaginare ciò che tutti immaginano. Etichettare e indicizzare. E' il fil rouge che un punto dopo l'altro cuce quel bel tappeto volante sul qual voliamo in quest'era digitale a banda larga.


E a me, che le nuvole mi piacciono solo in cielo e le etichette le cavo via da tutto (Dio quella delle mutande quanto mi sta grattando il culo proprio oraaaa!), non rimane altro da fare che prendere atto che sono un uomo analogico, un anacronismo. Mi sento un dinosauro. Ed il tragico è che mi piace pure. E mica c'è sarcasmo in questo, perché penso fuori dalla corrente quel tanto che basta a rendermi un reietto ma non abbastanza da farmi un genale precursore.

mercoledì 21 gennaio 2009

Il mio canto, senza quasi

200109 - Via


- Sali? -

- Sì -

- Bene, allora andiamo -

- Sì, andiamo via -


Ed ora capisco chi sono, e nel capirlo comprendo chi sia lui. Lo guardo salire, chiudere la portiera, accomodarsi. Si toglie la sciarpa, si toglie il berretto e lo getta sul cruscotto, allaccia la cintura e rilassa il corpo sfiatando, svuotandosi. Con una mano tengo il volante, con l'altra aggiusto lo specchietto, gocce pesanti si tuffano sul parabrezza ed esplodono in minuscole lacrime. Schiaccio PLAY, Crossroads esce ruvida come sempre e come sempre mi stacca da qui e mi porta via. Pigio l'acceleratore e mi tiro sotto le ruote l'asfalto lucido come una pista di ghiaccio. Mi guarda, sorride, fissa gli occhi nell'orizzonte  squassato e una lacrima gli scende lungo la guancia, bagnata come questa pioggia che esplode contro il vento ma lenta, più lenta, che scende piano e rotola facendosi strada su rughe che non avevo mai visto, tra la barba ispida, vincendo i lineamenti fino a sfiorare le labbra. Con la lingua la asporta e la beve e con il mento indica avanti: "vai". Lo guardo, lo vedo più vecchio e più stanco, esausto e straziato, svuotato e pronto a riempirsi di ciò che arriverà; sereno, quasi.


- Non sapevo che fossi tu - mi dice.

- Non lo sapevo nemmeno io fino ad ora -

- Già -

- Perché mi chiedo, e dove -

- Perché ne avevo bisogno, e anche tu. Dove non lo so. Ha importanza? -

- Sì, ma ce ne sono tanti di dove -

- Troppi? -

- No, ma tanti -


Lo guardo, mi guardo, annuisco mentre questo motore che si è scaldato nei tempi giusti ora vibra elastico e reattivo, le ruote che si aggrappano all'asfalto bagnato, l'acqua che forma creste e risacche minuscole che vorticano intorno agli specchietti, nei vuoti d'aria delle turbolenze.


- Tipo da dove, tipo verso dove, no? -

- L'ultimo, soprattutto -


Non sappiamo dove stiamo andando ma ci andremo insieme. Un tempo avevo una ragazza, e a quel tempo ero una merda. Poi finì e finì l'amore che era stato zitto dentro di me, che era esploso dopo che eravamo esplosi: finì. E nel dolore della fine c'era solo la fine, che fagocitava tutto. D'improvviso ogni fonte di ricordi piacevoli diventava la mia dannazione. Per anni non ho più ascoltato Springsteen e i Cranberries. E ce n'era un'altra e dopo di quella ho continuato a guardare con le lacrime agli occhi fotografie che mi avrebbero dovuto rendere felice, perché erano buchi quadrati su un passato puntuale, su istanti che erano stati felici.


- Adesso che ci siamo ritrovati cosa facciamo? -

- Non lo so, ma ho un'idea -

- Tipo quale? -

- Tipo smetterla -

- Di fare cosa? -

- Di soffrire come fosse un maledetto lavoro da fare 40 ore a settimana-


Lorenzo e Francesca non stanno più insieme, ed è strano visto che erano la coppia più felice che io avessi mai visto. Quando due persone che hanno camminato sullo stesso sentiero prendono strade diverse non lo si comprende subito. Si pensa che uno dei due stia claudicando, anzi spesso l'uno lo pensa dell'altra. Ci si fascia i piedi e ci si fa forza, si cercano nuove energie sottraendole a quelle necessarie a stare bene. Ci si esaurisce nel tentativo di riprendere a camminare su quel ritmo che veniva così piano e naturale. Quando si capisce che l'andatura è quella di sempre è ormai troppo tardi per trovare quell'incrocio di strade che potrebbe portare di nuovo sullo stesso sentiero i due percorsi. E ci si trova esausti da sforzi inconclusi ed inconcludenti. E' lì che si capisce di aver perduto tutto, troppo.


- Cosa intendi? -

- Che quando qualcosa finisce, l'unica cosa che vale la pena fare è tenere il meglio e lasciare andare il peggio, serbare i bei ricordi e limitare l'accatastarne di nuovi e sempre più brutti -

- A dire? -

- A dire che ogni cosa ha un suo tempo, e fatto quello non hanno più senso rimorsi e rimpianti, ma solo ricordi ed esperienze -

- E poi? -

- E poi andiamo, che la strada è pulita e lavata di fresco, il cielo si squarcia di sole ed io, che sono te, sono pronto a camminare sulla mia strada. E tu, che sei me, sei pronto allo stesso -

- Avevamo bisogno di parlarci, io e te, eh? -

- Sì, è da tempo che non lo facevamo -

- Guarda là, che bello che è...


Questo è il mio canto, evocato da Crossroads, dal non capirmi e non parlarmi, da fette di tacchino mangiate in macchina in un parcheggio, da una casa che non ho e da un tempo che mi scivola via. Questo è il mio canto per Lorenzo e Francesca che non stanno più insieme, questo è il mio canto per me e per nessun altro.

martedì 20 gennaio 2009

Come un'onda

Come un'onda anch'esso nasce da luoghi impensabili e spesso invisibili; avanzando cresce e si distende, ogni istante più lontano, coprendo il deserto di vuote distanze, colmando l'assenza con indomite evoluzioni, spiraleggianti acrobazie. Mansueto all'attenta mano del suo padrone e creatore, teme solo il vento e la sua bizza imprevedibile che minacciano di sollevarlo e rigettarlo indietro. Saldo e fiero giunto al termine della giornata, infine egli si scioglie, si poggia, e libero riposa, nell'attesa che il nuovo giorno gli ridoni forma e consistenza.


Ecco: certi riporti sono opere di tale audacia da meritare alte odi e sperticate lodi... MMXXV

lunedì 19 gennaio 2009

Dove cazzo devi andare?

190109 - OcchiMi lampeggiano in distanza (mica che io stia a sinistra, è solo per minacciare vedi di non muoverti), quando mi affiancano mi spiano acidi e stralunati, e mentre si allontanano mi fissano irati coi loro occhi fiammeggianti. Corrono tutti su quest'autostrada, soprattutto il lunedì mattina. Rosari di macchine che bucano la nebbia e in un istante mi si avventano affianco, invocazioni al dio dell'isteria dentro scatole di metallo sparate ai 140 all'ora; man mano che si snocciolano via, quelle che son dietro pigiano l'acceleratore; snocciolata l'ultima mi chiedo chi ci sia, un missile che decolla a velocità supersonica? Boh. Ma soprattutto io, che sto in scia ai tir e non faccio più dei 100, non capisco che fretta abbiano tutti. Contratti e incazzati, possibile siano tutti in ritardo per il lavoro? Ma dico, che cazzo correte che andate a lavorare, eh?! Bestemmie deflagrano il lunedì mattina, e poi nel weekend li vedi placidamente incolonnati verso le solite mete: riviera d'estate, dolomiti d'inverno, gitarella sui colli nelle mezze stagioni. Io non li capisco. Io li vaporizzerei con il disintegratore fotonico quando mi fottono anche solo 5 minuti del mio tempo libero e gaudente; ma se una goccia fredda riversasse neve e gelo su questa A13 in quantità tali da bloccarci tutti, motori fermi e giornata inchiodata, io ringrazierei. Ascolterei la radio, fumerei, passeggerei a perlustrare ogni metro quadro di una casualissima porzioncina di questi 110 chilometri sui quali non sono mai passato più lento dei 100 all'ora.

Salto della settimana

prendere una bella rincorsa di carica ed energia durante il weekend così da poter saltare la settimana lavorativa in un unico balzo, dalle 9 del lunedì alle 18 del venerdì. Per una corretta eseuzione tecnica si consiglia di alleggerirsi il più possibile sia animo sia testa durante la rincorsa, e di spegnere poi ogni processo cosciente e cognitivo durante il balzo.

venerdì 16 gennaio 2009

Nessuna etichetta, liberi di osservare

VERSIONE 1 (punto 3, Le deportazioni e la fine del ghetto)

VERSIONE 2 (capitolo 3, Le deportazioni)


La prima fonte è un sito il cui titolo recita Olokaustos.org è il primo sito italiano che ha come argomento la storia dell'Olocausto dal 1933 al 1945. Nasce dalla consapevolezza che ricordare serve a non far riaccadere. La seconda fonte è Wikipedia. I fatti già li conoscevo, oggi ho deciso di cercare qualcosa in più.


L'orrore dell'olocausto è di una portata che non ha eguali nella storia moderna; ciò non toglie che il debito etico e morale che il mondo si è autoimposto nei confronti degli ebrei ha cementato la popolazione del moderno stato di Israele nella figura di vittime. Vittime cui tutto è permesso nella speranza così di affrancarci dai nostri orrendi crimini. Bene, io penso che ricordare sia importante, ma che più importante ancora sia crescere come individui nella luce di un'esperienza del passato (e consapevolezza del presente) che non sia strumentalizzata. E ancora penso che deviare la propria morale da quella che altrimenti riconosceremmo come la via da seguire, sotto le spinte di una pressione culturale che è costante e condivisa come nessun'altra mai prima, sia letale per l'individuo e per la giustizia, letale alla speranza di solidificare le basi di una civiltà che dovrebbe evolvere, e non continuare a ragionare sull'occhio per occhio e dente per dente.


Il caso di Lodz non toglie nulla all'orrore dell'olocausto; ma è significativo per due motivi:




  • vedere come la quasi totalità dell'informazione parta dall'assunto che gli ebrei sono stati, sono e sempre (dunque?) saranno vittime innocenti da rifondere indefinitamente;



  • scoprire che anche gli ebrei possono mostrarsi uomini - e come tali divenire mostri - una volta che si gratta via l'etichetta che nessuno, pare, ha interesse a grattare via.



Nel caso dell'ultima deportazione di massa, pare che a Lodz non siano stati i nazisti a chiedere espressamente donne, anziani e bambini, ma che sia stato lo Judenrat stesso a decidere - ben sostenuto poi dalla popolazione - che per salvare il ghetto era necessario mantenere alta la produttività e quindi liberarsi di chi fosse meno produttivo. E così madri e padri accettarono di mandare a morte i propri bambini; mariti lasciarono che a morire fossero le proprie mogli e figlie e figli. O i propri genitori. La cosa funzionò, perché la cosa fu assolutamente logica e razionale; e di un orrore che di questi giorni sapremmo probabilmente addebitare solo a nuclei terzomondisti e preponderatamente musulmani del pianeta. Furono deportati (e poi sterminati) 15.000 tra anziani, bambini e donne; la produttività dei laboratori del ghetto rimase così altissima, e il ghetto stesso rimase uno dei più longevi in assoluto.


E intanto a Gaza, partendo dal presupposto che non ci sono buoni e cattivi ma solo, se vogliamo classificare in questo modo idiota, cattivi, le perdite segnano 1100 a 1 per i palestinesi. Un evidente equilibrio...

Radio GoGo

Non ne potevo più degli stessi CD che poi a volte, per indolenza e per evitare di schiantami contro un platano, giravano due, quattro, cinque volte di continuo nello stereo della macchina. Così ho iniziato ad ascoltare la Radio. E mi piace, mi piace quando parlano e mi piace ascoltare dibattiti, interviste, monologhi o anche solo cazzeggiamenti su questioni che altrimenti nemmeno sfiorerei. Ma ho scoperto una passione, una passione di cui prendo atto, che mi stranisce e che mi fa ridere: ISORADIO.


Perché quando sciorinano autostrade su autostrade, con le notizie di traffico e nebbia, ghiaccio e lavori in corso, code e animali sulla carreggiata, la mia mente si sposta per tutta Italia e mi disegna davanti agli occhi posti che non ho mai visto, mi fa viaggiare, mi culla in qua e in là. Vabbè, buonanotte.

giovedì 15 gennaio 2009

Carnevale

Ho prima detestato, poi malsopportato, infine ignorato il Carnevale. Carnevale: Carnem levare, cioè abbuffatevi perché poi siamo in quaresima e niente più ciccia. Per me il Carnevale è sempre stata l'insipida festa pacchianamente rumorosa e bislaccamente colorata che mi portava lontano dall'amato trittico tripudio di luci calde e armoniosamente colorate: Natale, Anno Nuovo, Epifania.


Eppure ancora una volta mi scopro incoerente con assoluta costanza, e quest'anno malsopporto la dipartita dal trittico e la prospettiva di un lungo grigiore gelido e lavorativo. E così accolgo il carnevale come l'incipiente novella da attendere con gioia. Sarà che la casa di Arlecchino è a mezz'ora di strada da casa di mio padre; sarà che da qualche anno mi piacciono girandole colorate di vestiti e di fiori, di cieli e panorami; sarà che le mie ossa già a 35 anni tollerano poco il freddo e attendono con ansia quegli ultimi giorni d'inverno che sono la porta sulla primavera; quella mattina che pare grigia come tutte le altre ma appena sceso in strada senti un odore nuovo, un ronzio vitale e leggero leggero, e capisci che la vita sta per spuntare in gemme e fiori, foglie e stralci di sole, stormi che rientrano dall'Africa, etc etc etc.


O sarà che ieri sera disegnavo lo skin invernale a-festivo del mulo (a-festivo come alpha privativo, eh!) e non mi usciva: contorni di montagne innevate e una luna tagliata di ghiaccio. No, no, no e poi no. Stavo abbandonando il tutto quando, non so perché, ho disegnato un quadrato. L'ho ruotato e schiacciato. L'ho colorato e gli ho dato un po' di luce. Gliene ho messo uno di fianco e poi un altro, e un altro ancora, e poi li ho riprodotti a decine, a centinaia. E ho scoperto che il Mulo ha voglia di ridere, scherzare, vestirsi di colori e tatuarsi il muso.


Ecco, sarà per questo che ora il Mulo poggia il culo su un tappeto di colori. Per questo, o perché non ero capace di disegnare montagne abbastanza belle. Boh.

martedì 13 gennaio 2009

Quasi basta

- E ora? -

- Ora cosa? -

- Ora che le feste sono passate -

- Ah, ora -

- Niente feste nè vacanze, freddo e grigio e lavorare: e ora che si fa? -

- Si aspetta la primavera -

- Ma è parecchio lontana -

- Allora sai cosa? -

- No cosa? dimmi -

- Ti dico che l'andiamo a cercare -

- Cosa? -

- La primavera! -

- Ah. Mmh ok, andiamo -

- Alè, via che si va! -

lunedì 12 gennaio 2009

In silenzio














120109 - He
120109 - Middlefield
120109 - She


L’autostrada corre diritta, in silenzio sotto le ruote, nel mezzo del mio campo visivo e fino all’orizzonte. Su di essa scivolo privo di peso, immerso in me stesso; tantissimo spazio liberato da tutti i pensieri che la bellezza di quest’alba ha rapito e portato lontano. Alla mia sinistra un punto di incandescenza fonde il cielo dall’azzurro all’arancio. Alla mia destra le ore profonde della notte sono ancora sorvegliate da una luna enorme che galleggia nell’aria gelida. Nel mezzo c’è una vastità enorme e quieta, che si stringe addosso coperte di nebbia, si rannicchia nell’ultimo tepore del sonno, tra sonno e veglia attende che il giorno si alzi nel cielo. Io corro veloce sul filo di questo confine ai cui estremi si fronteggiano il sole e la luna, amanti che si rincorrono e sopra la mia testa si baciano in un mélange di colori soffusi. Non ho nessuna necessità di pensare, né di tornare a me stesso. L’autostrada scivola in silenzio sotto le mie ruote e si perde lontano dietro di me.

venerdì 9 gennaio 2009

Exemplum

Il naso è un'accettata chirurgica che ti hanno regalato ai 18 anni, eppure pencola ancora su quel sottile labbro superiore che arricci continuamente in smorfie e sorrisetti; scopri i denti che sono piccoli, bianchi, perfetti e decisamente troppi: c'erano pesci preistorici e terrificanti con simili affilate tagliole. Il trucco è un cerone opaco così pesante da essere sabbioso, e crea la sensazione di una maschera morta nella quale l'eyeliner incastona i vetri verdi e vacui dei tuoi piccoli occhi da scimunita. Capelli lisci, biondi, scalati ed asimmetrici nel solito taglio di tendenza. Anelli pesanti e colorati sulle dita troppo nodose, bigiotteria pacchiana intorno al collo sottile, una maglia aderente che mostra forme robotiche create o contenute da stecche ed imbottiture e su di essa un coprispalle semitrasparente ed una cintura che s'incastra sui fianchi larghi. Con la voce gialla e grattante di una fumatrice incallita gloglotti animatamente sui complementi firmati che disponi intorno a te e che hanno l'inesorabile brillìo rigido delle imitazioni mal riuscite.


Se anche tu avessi avuto miliardi di cui disporre e un bel cazzo da fare quotidianamente, avresti potuto costruirti al punto da collimare con il mito che insegui. Ma quale che sia il tuo cognome, non è Hillton, e mangi alla mensa CAMST scimiottando il peggior idolo che potessi sceglierti.

Geniale

- ih! -

- ok, va bene -

- come va bene?? -

- bè, è stato convincente -

- ih!! -


Lilo e Stitch, Disney, 2002

giovedì 8 gennaio 2009

Libero arbitrio

Cosa fai se un criminale ti punta la pistola alla testa e ti dice dammi il portafogli o t'ammazzo? Dirai che gli dai il portafogli perché, è evidente, non hai alcuna scelta. Giusto? Sbagliato: hai ancora, hai sempre una scelta: puoi scegliere di essere ammazzato.

La guerra contro gli Chtorr, David Gerrold, 1983.


Ma spesso la paura, l'indolenza, la comodità di ciò che si conosce pongono troppo vicino a noi il limite dell'accettabile e del ponderabile, con l'effetto di precluderci a priori ogni possibile scelta. Non trovo alcuno stimolo nel mio lavoro, detesto la maggioranza dei colleghi (che ricambiano), mi ha stancato buona parte del contesto nel quale vivo il mio quotidiano. Ma d'altro canto si deve vivere, mangiare, avere un tetto e poi, con questa crisi e certi chiari di luna, mica si può pensare di impacchettare l'indispensabile e partire per mete ignote, no?


Giusto?

No dico, GIUSTO??

lunedì 5 gennaio 2009

Leggendo








RK

MONTAGNA VISSUTA

T E M P O   P E R   R E S P I R A R E


R E I N H A R D   K A R L

CDA VIVALDA



Il romanzo racconta di una salita. Un’unica salita in puro stile alpino dove protagonisti sono l’uomo e la sua montagna, quella che ha dentro e che è sempre un passo più alta di tutte le vette raggiunte.


L’ascesa di cui il libro parla è un frattale, una forma visibile scaturita dal puro concetto, sempre identica a se stessa nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande: dal buio di un garage sdraiati esausti sotto un motore che cola lubrificante agli ultimi passi sull’Hillary step tutto è identico a se stesso. L’uomo, quando vuole, si impone sfide per elevare la propria condizione. L’alpinista, forse per miopia o forse per semplicità d’animo, sceglie queste sfide utilizzando come terreno di gioco la montagna, dove l’idea di elevazione non è solo una metafora.


La Montagna: poco importa che sia una prua di 3 metri o un chilometro di granito, una torre squassata dai venti patagonici o una parete enorme nel cuore dell’Himalaya: la vetta è dove giungi quando superi te stesso, alla fine di una sfida e all’inizio della successiva. È un percorso che si ripete identico per ogni ansa di quell’onda sulla quale decidiamo di vibrare: il rifiuto della propria condizione, il disegno di una via verso il riscatto, la concretizzazione della sfida in possibile impresa ed infine l’imperativo irresistibile all’ascesa. E poi, lassù, istanti di soddisfazione che sono effimere illusioni, miraggi che svaniscono al primo passo sulla traccia di discesa. Il traguardo oltre il quale ci aspettavamo pienezza e serenità svela la voragine lasciata dallo scopo raggiunto, dalla sfida ormai esaurita; infine si comprende la violenza e l’insensatezza del costringere sogni esistenziali e vitali aspirazioni in forme chiuse ed identificabili. Eppure l’unica risposta che troviamo per il quesito irrisolto della nostra inadeguatezza è l’inizio di un nuovo ciclo, che riprende identico a se stesso con la visione di una nuova e più grande sfida. Solo la vetta cambia, la meta è sempre quella. Ed è irraggiungibile.


Se questa non è l’unica interpretazione del bel romanzo di R. K., è di certo tra le possibili. Facile essere d’accordo, difficile prepararsi davvero all’ineluttabilità di questa situazione: uno dei messaggi che più facilmente si scorgono è proprio quello dell’impossibilità di porre un limite a se stessi. Ogni vetta ne richiama un’altra. Ogni vittoria ci apre alla solitudine per la scomparsa di quell’avversario che ci spingeva oltre noi stessi. Ogni sconfitta porta fame di riscatto. E l’alpinista non smetterà mai, perché non raggiungerà mai quella cima dove tutto possa rimanere per sempre in equilibrio tra ciò che eravamo e ciò che ancora potremmo diventare.

Eppure, ad ogni gradino di questa interminabile scala su cui avremo posato il piede, saremo diversi dall’uomo che arrancava sul gradino più sotto. E qui è la vittoria, questa è la conquista.


Indimenticabile nella sua schiettezza quando dice che vuol salire in vetta all’Eiger, quel cumulo di sfasciumi, per poter dire di “aver fatto l’Eiger”, piallando così l’elevatissima retorica dell’eroe che dipinge il vero alpinista come un uomo disinteressato al plauso del pubblico, all’ammirazione dei colleghi, al riconoscimento di un valore e di un livello.

Interessante anche la finestra storica alla quale possiamo affacciarci, rivivendo in prima persona un’epoca di profondo cambiamento nel modo di fare alpinismo e di essere arrampicatori. Gli anni ’60 e ’70, la scala delle difficoltà chiusa al sesto grado, Messner, il Camp IV, il bouldering, l’alpinismo di Chamonix, quello himalayano e quello patagonico. Nel racconto di R.K c’è tutto questo, toccato, sfiorato, oppure vissuto e assorbito.


Tempo per respirare è quello che si guadagna all’inseguimento di un sogno che non sarà mai raggiunto e potrà così essere realizzato infinite volte. Per chi nella vita intraprende questa salita, il monito è che non vi può essere traguardo. Il traguardo è che vi sarà una costante ed inarrestabile progressione di se stessi.