giovedì 30 ottobre 2008

Schegge

301008 - Stormo


Sulla mia testa, mentre attraverso in macchina la città, uno stormo enorme che passa veloce attraversando il cielo, volteggia come un nastro, si ripiega e si arrotola, si allunga e si snoda. Fervente di concitata attività, migliaia di ali che sbattono e piccoli canti che tessono una fittissima trama, annodata sulle foglie che frusciano impazzite per il loro movimento. Estatico, li osservo passare e tornare, allargarsi sui tetti,  e poi calare a posarsi sugli spigoli. Dolce e bello come ciò che è puro e semplice, osservo la meraviglia e scatto foto dall'incrocio.


Migliaia di minuscoli pensieri semplici,

come schegge di una  volontà  enorme.   Magico.

Eco e riflessi

Nessuno di chi dovesse capitare qui credo possa resistere fino alla fine di questo racconto scritto in fretta e scritto male. Cazzate di fantasia generate però da qualcosa che non è fantasia, purtroppo: QUESTO


Lo chiamano Sant’Elmo, ma si chiama Guglielmo. Contratto come radici di nocciolo, urla a migliaia di studenti accendendoli, fila su fila, in una reazione a catena che genera un calore insostenibile. In giacca di tweed e due centimetri di barba sotto altrettanti di capelli scuri, ha lineamenti sconvolti dalla furia, occhi ardenti come tizzoni; ma quando si abbassano, quegli occhi improvvisamente diventano schegge di ghiaccio. Nessuno lo vede mai, questo cambio di stato e temperatura. Gli studenti si alzano, sollevano e urlano, battono mani, piedi e pugni, sciamano fuori, si riuniscono e coagulano: emboli di furia trattenuta che intasano le arterie della città e corrono veloci verso le piazze. Sant’Elmo alza pugni, stringe mani, abbraccia spalle, si defila.


Guglielmo sale le ampie scale, i passi hanno eco nude che intagliano la penombra. La stanza è vasta, trafitta dai piani di luce filtrati dalle persiane; gli slogan e le sirene arrivano ovattate, qui. Il P. lo attende, gli fa un cenno, Guglielmo siede, il P. sorride: “Bravo Guglielmo, bravo. E’ quasi tempo, ormai, sei pronto?” Guglielmo sussulta, solo un piccolo sussulto involontario che il P. accoglie con un ghigno giallo di nicotina. "Sono pronto, se ritiene che sia il momento, anche se ancora non vedo come io, proprio e solo io, possa iniziare la reazione". Il P. infila la sigaretta sul bocchino, accende, soffia il fumo ricadendo sullo schienale della poltrona. “Ogni azione ha eco, e riflessi.” Inizia a salmodiare lento. “Ciò che fai tu sarà sostenuto e imitato, sarà moltiplicato. Perché è questo ciò che vogliono, che è più facile. Giovani incauti, ingenui, tu sarai la scintilla che loro non scoccherebbero mai. La scintilla che li incendierà, e consumerà. Fidati di me. Io lo conosco bene, questo gioco.”


Guglielmo scende le scale, esce dai giardini inglesi del retro, i suoi percorsi diventano sempre più trasversi finché non cammina più ma salta e scavalca, striscia e arrampica. Infine sbuca nel cortile, raggiunge l’aula dove c’è il campo base. "Dove sei stato?", gli chiede lei. Lui la vede e la scopre più bella che mai, la ignora e accende una sigaretta. "A pensare, cosa che qui faccio solo io". Lei accusa il colpo, si ritira dietro un’altra sigaretta e scivola via. Lui concede due lacrime ai propri occhi, una di struggimento, una di furore, poi è di nuovo ghiaccio sopra la nausea e le emozioni, gelo preparatorio al fuoco che dovrà incendiare, bruciare e consumare questi giovani, ingenui sprovveduti.


Le poderose onde della mareggiata studentesca hanno tratto linfa dagli insegnanti, dai ragazzi più giovani, da quella parte di opinione pubblica che dice “devono contestare, perché devono trovare autoconsapevolezza, cosa che a ogni livello e da troppi anni si falcia e schiaccia in ogni modo possibile”. La mareggiata è diventata un uragano che ha ruggito in piazza e in televisione, sui quotidiani e alla radio. L’uragano, ora, si sta raccogliendo in onda anomala. Una, enorme, gigantesca, con una forza incredibile che cresce ogni istante e che dovrà abbattersi su qualcosa. Il P. lo sa, lo ha previsto ed incoraggiato. Passanti e turisti, bambini e curiosi, anziani e giovani, nessuno conta o ha un qualche valore. Al P. non interessa se chi rimarrà sul selciato col cranio spaccato avrà una divisa blu e grigia, nera e rossa, o variopinta di lana e cotone.


40 giorni prima che se ne parlasse per la prima volta il P. aveva già visto, immaginato e previsto; aveva convocato Guglielmo e una dozzina di altri: “li infiltrerete, perché è ora di dare il colpo di grazia. Li infiltrerete e farete crescere il movimento come loro non saprebbero fare. E poi li infiammerete e tratterrete, getterete benzina serbando però i fiammiferi. Il calore… Il calore dovrà essere insopportabile, ma chiuso e compresso nelle vostre mani. E poi, quando io dirò che è il momento, voi accenderete quel fiammifero. Loro si scateneranno, devasteranno tutto e tutti, e urlando e colpendo travolgeranno il popolo; e noi li lasceremo fare. Per un po’. Quando la fiamma avrà arrostito la sopportazione – in nome di futili e stupidi cause – della gente; quando l’operaio troverà la sua auto bruciata e il panettiere il suo negozio saccheggiato allora noi, invocati, colpiremo. Spaccheremo gambe e braccia, costole e teste, schiacciando questo insensato desiderio di arbitrio nel suo stesso, debole sangue. A quel punto, finalmente, l’ordine ricostituito sarà quello definitivo, e la violenza invocata nello Stato a porre fine alla protesta diverrà, sul sangue e sulle schiene rotte di questi fragili teppisti, la vergogna che cementerà l’incapacità di affrancarsene e giudicarsi.


L’onda anomala cresce. Sant’Elmo, gli occhi stralunati, ha le corde vocali corrose a furia di spruzzare parole incendiarie. L’onda anomala ha raggiunto una mole impressionante, crepitante di furore, ma gli scontri sono pochi e deboli, per ora; sono solo prime fiammelle autonome che Sant’elmo deve soffocare per non disperdere quell’energia che dovrà essere indirizzata a tempo debito contro ogni possibile obiettivo, meglio se innocente, meglio ancora se indifeso e inutilmente fuori di ogni mira logica.


Le eco dei passi sono soffocate dal frastuono della pioggia che percuote i vetri. Manciate di sassi gettate da un titano furioso. La stanza è grigia di luce, grigia di tappeti e arazzi, grigia di fumo, gialla del ghigno del P. che fuma, guarda Guglielmo per lunghi minuti, e infine dice “è ora”. Guglielmo serra i pugni, si alza, esce, scende le scale. Il P. rimasto solo si frega le mani e addenta un pasticcino. Briciole di pasta frolla agli angoli molli della bocca, la manica del completo grigio le asporta in un gesto lento e mellifluo; poi il P. impala con forza la sigaretta sul bocchino e lo serra tra i denti; accende, inspira, e gettando fumo in uno spruzzo denso e bianco si lascia andare contro lo schienale. E ride, ride in sussulti, ride sempre più forte, a coprire la pioggia che urla contro i vetri.


L’indomani il vento teso schiaffeggia i platani e schiaccia a terra i salici del lungofiume. Il cielo scivola veloce in guizzi di piombo, oro e celeste. Collettivi da tutta Italia sono accampati per la città. Il P. attende nella sua stanza. I media sono focalizzati, monopolizzati dall’onda che è arrivata sulla capitale. Si sente nell’odore dei fuochi accesi per strada, di abiti umidi e kebab fumosi della sera prima, di legna riarsa e marijuana, di corpi accaldati riuniti in spazi ristretti a migliaia: si sente e si ode, si vede e si percepisce, che l’Onda sta per abbattersi. Le divise osservano, storcono il naso, fremono ma non intervengono, mentre Sant’Elmo e una dozzina d’altri richiamano all’ordine le loro prime linee, urlano e danno istruzioni, pompano adrenalina nei cervelli e calorie nelle vene, caricano gli animi e illustrano le strategie. Ora sarà guerra, l’atto finale, e le prime linee dovranno a  loro volta infiammare e guidare, spiegare tattiche e chiamare a raccolta. Poi centinaia di migliaia di giovani si mettono in moto e le loro voci, i loro passi, sono un tuono che percuote il sole e spacca il cielo, mentre il popolo si chiude in casa e osserva spaventato, si chiede cosa facciano le divise e perché non disperdano questo esercito che si è messo in marcia.


Il P. attende, e fuma. Il monologo dei media è un flusso obnubilante di parole tutte identiche. I giovani si muovono, i giovani marciano. Il P. ride e addenta un piccolo bigné. I giovani si radunano e gli speaker hanno la voce che trema. Il P. ghigna e raccoglie la crema spruzzata sulla cravatta, la lecca e biascica. I giovani battono le strade e il popolo scappa e si rintana, i giornalisti vengono spintonati. Il P. fuma di nuovo lasciando impronte zuccherine sul bocchino di onice nero. I giovani muovono verso il colle, un flusso che come una marea sale verso le falde del monte. E il P. spegne la sigaretta. I giovani sono un mare che ha ridotto il colle a un’isola irraggiungibile. Il P. spalanca le finestre. I giovani chiedono una conferenza stampa e allestiscono installazioni multimediali da campo, le erigono in pochi secondi con generatori e impianti che compaiono tra la folla. Il P. siede di fronte agli schermi. “I giovani ci chiedono di trasmettere documenti visivi, audio e testuali dalle loro installazioni”. Il P. serra gli occhi in due fessure. Almeno metà dei media si rifiuta. Almeno metà dei media manda affanculo la direzione, gli ordini, le imposizioni e si connette. Il P. inizia a mugolare e strizza nel pugno un giallo bigné allo zabaione, la crema che sprizza tra le nocche bianche.


I video sono diversi, i video sono pressoché tutti uguali. Quello trasmesso dal maggior numero di canali mostra Guglielmo. Mostra Sant’Elmo dagli occhi attenti e concentrati, né gelidi né ardenti:


“quello che stiamo facendo è il riflesso di ciò che avremmo dovuto fare. In questi mesi io e alcuni altri siamo stati impegnati in un gioco due volte perfido: fingere di guidare i movimenti studenteschi essendo in realtà infiltrati, così da scatenare una rivolta violenta e incontrollata che portasse l’opinione pubblica a chiedere interventi contro gli studenti. Fingere di essere infiltrati per lasciare che le autorità più alte si scoprissero, documentando tutto ciò che state vedendo e che è trascorso nel teorico segreto di stato. Ciò che vogliono è togliere a ciascuno di noi, studente o pensionato, professore o operaio, la capacità di pensare. Ciò che noi vogliamo, oggi e da oggi, è togliere a questa casta sclerotica la capacità di decidere del nostro presente e del nostro futuro mirando alla perpetuazione di se stessa e del proprio potere che lassù si siede, concentra, e crogiola di se stesso. E’ ora che gli studenti, insieme ai lavoratori, i pensionati e chiunque altro, è ora che tutti noi cittadini di questo paese si chieda ed ottenga la remissione completa dell’intera schiera politica. Questo è l’atto che nel ’77 non fu portato a compimento. I responsabili della strategia istituzionale sono oggi i medesimi di allora. Qui, ai piedi dei loro troni, chiediamo che escano sotto il sole a guardare in faccia il popolo che da decenni cannibalizzano, e che rispondano di ciò che da troppo tempo ci impongono. Ogni azione, ha eco e riflessi…”


50 milioni di persone, schiacciate allo schermo del televisore, piantate sul monitor del computer, incollate alla radio, attendevano che un migliaio di completi e doppiopetto mostrasse la faccia al popolo che avrebbe dovuto governare e rispondesse alle accuse. Nessuno lo fece. L’indomani, i media di tutto il mondo titolavano immancabilmente “il civile colpo di stato del popolo italiano – 12 milioni di persone accorse nella capitale durante la notte, ed il flusso continua”.

Kernel

Il kernel è il cuore più minimale, profondo e puro di un sistema operativo, un po' come la nostra corteccia, credo. Kernel significa letteralmente nocciolo, gheriglio, nucleo: mi colpisce ed entusiasma quando uno scrittore, uno che lo è davvero e non uno che occupa spazio sul foglio così per svago, coglie in poche parole il nocciolo di una sensazione, una visione, uno stato d'animo.


sovrumani silenzi /

interminati spazi /

profondissima quiete


due parole per ciascuna visione, attributo e sostantivo, e sei lì dove Leopardi ti vuole portare. Come una bellissima espressione matematica semplificata all'inverosimile, rimane solo l'essenziale del concetto, lo scheletro lucente su cui altri poggerebbero troppe parole troppo deboli. E poi


il cielo della Florida

è uno straccio

bagnato di celeste


e lo vedi e lo senti, senti il vento che lo spiega e dispiega, il cielo con le sue nuvole veloci ed atlantiche, tiepide e caraibiche; un cielo che proprio come uno straccio bagnato di tempera e gettato in alto, occhieggia di celeste, poi bianco, poi sfumature intermedie, luci ed ombre. Meraviglioso Guccini in questo verso autoconclusivo sul quale le mie ulteriori parole riescono solo ad annebbiare i sensi e la percezione. Appunto.


Io, per descrivere il colore di un albero, uso due righe e non lo colgo. Loro, con un quinto delle mie parole, ti mostrano l'immagine, ti scatenano gli odori sotto il naso, ti soffiano il vento sul viso e ti lasciano percepire suoni e temperature. Bè, c'è anche da dire che, non a caso, io sono Project Manager in un'azienda IT, loro poeti e musicisti. A ognuno il suo.

mercoledì 29 ottobre 2008

Qui, ora.

291009 - Colori


Sono in tanti posti, sono in tanti momenti. Oggi.


Prendo il cielo e lo divido in quattro spicchi, poi con la sigaretta in mano, jeans larghi e un maglione color zucca e caldarroste, mi fermo in questo libeccio caldo e guardo davanti a me: primavera su quella palma verdissima, laggiù, frusciante contro un cielo strappato di nubi che si srotola veloce. Un quarto a sinistra; inizio autunno tra le foglie rade e rosse del caco appoggiate sul cielo azzurro incoronato di sbuffi bianchi. Un quarto a sinistra: estate, tra le foglie tenere di un albero giovane che traggono bagliori guizzanti dal cielo velato (e dietro spinge il sole bianco). Un quarto a sinistra: novembre con i cipressi incastrati dentro il grigio cupo delle nuvole.


Il vento è morbido e caldo e sa di alisei e ozono, la luce cambia, impercettibilmente ma a ogni istante. Sono qui, a Bologna. Passa un aereo basso, che vira in fase di decollo, e contro questo cielo atlantico sono a Parigi. Guardo le foglie autunnali scosse dalla brezza tiepida e sento pochi rumori (oggi in molti hanno lasciato la macchina in garage): sono in trentino dopo la pioggia ad aspettare che le pareti asciughino.


Dicevo nel pippone che la nostra linfa quotidiana è la varietà. Oggi tutto è in movimento, e trasfigura di minuto in minuto. Cambiamenti veloci.

martedì 28 ottobre 2008

Umido

281008 - Nebbia


Nel primo freddo dell’anno nuvole basse e nebbia densa cominciano a coagularsi intorno ai tronchi neri, le foglie rosse e gialle che sbattono, vibrano, cadono e volano via lente. Poi il cielo si appesantisce e inizia a colare in gocce fredde che s’infittiscono e scrosciano. La nebbia si alza e la terra marrone diventa lucida, quasi nera. Un cacciatore, doppietta imbracciata, sta ritto sui suoi stivali infangati. A 30 metri da lui un fagiano, colto alla sprovvista dall’improvvisa visibilità, rimane immobile a fissare quell’alto bipede vestito di grigio e verde. Il cacciatore mette l’occhio dietro il mirino, prende la mira, inquadra nel reticolo i colori del fagiano, l’acqua che spiove dal cappello sulle spalle. Il fagiano è immobile, luccicante di bronzo e di nero, con riflessi azzurri e sprazzi di bianco, bello che pare cesellato e tornito, incurante della cartuccia che sta per sparargli decine di pallini di piombo dentro il corpo. Si guardano. Il cacciatore respira piano, poi serra le labbra, incastra il calcio contro l’incavo della spalla e appoggia l’indice sul grilletto. Il fagiano inizia a becchettare al suolo. L’acqua cade violenta e la terra alza aroma di autunno mentre refoli bassi di nebbia si avvitano intorno ai tronchi e si impigliano nei cespugli. Odore di vegetazione umida, di funghi, di ritorno a casa e del tepore del forno, dell’aroma del pane, del suono allegro delle risate. Il cacciatore sorride, il fagiano becchetta. “Come non ti avessi visto” mormora l’uomo. Abbassa il fucile, lo ruota, se lo appoggia in spalla, si volta e inizia a camminare verso l’auto, verso casa, verso sua moglie che stamattina ha salutato con un bacio sugli occhi, mentre dormiva calda di sonno. Sorride, si sente leggero, si sente caldo dentro e umido fuori, di un umido che risciacqua via quel che è troppo e lascia puliti e freschi. “Oggi ho voglia di un risotto ai funghi e di una torta di spinaci.” Il fagiano continua a becchettare, bello come un gioiello poggiato sulla trama più intima dell’autunno.

MM XXI - Specchietto per allodole

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Epperò, nonostante San Google, siete sul sito sbagliato! Ma potete sfogare la frustrazione di essere finiti qui, lasciando un commento davvero offensivo. Il più violento sarà premiato con 5 chili di cetrioli di campo.

Materia oscura e pipponi ameni

La varietà è alla base dell’incanto. Essere sorpresi, essere stimolati dalla novità, è la linfa che corre nelle crepe di questa distesa altrimenti caliginosa che è il tempo che ci si dispiega innanzi. Come squali, chi si ferma è morto e perduto, perché come nella pubblicità della BMW viene raggiunto dal suo riflesso e a quel punto son cazzi. [uuuuhhh, il pippone, lo sento arrivare!] La meraviglia delle ormai ostracizzate mezze stagioni sta proprio nella varietà che ti infila un pomeriggio di sole limpido sopra una mattina di nebbie londinesi, una notte da lupi di acqua e vento gelido ed un’alba che porta odore di scirocco e caldo da costume da bagno. La magia di Babbo Natale è che s’infila nel camino una sola volta all’anno, quella dei mondiali che arrivano ogni 4, quella del leap second (secondo intercalare) che viene decretato a sorpresa dall'International Earth Rotation and Reference Systems Service e così celebriamo tutti con sempre rinnovato vigore l’atteso minuto di 61 secondi (o no?). Se la varietà è alla base dell’incanto allora ecco il mio disincanto per uno stipendio che non varia...Ma nel contempo ieri sera tardi guardavo le trasmissioni sull’Onda studentesca e mi dicevo eccheccazzo era ora. Mica perché io condivida in toto le motivazioni degli universitari, che mi paiono ragionevoli in assoluto ma assolutamente irragionevoli nel nominare a cannone ‘sto decreto Gelmini che con loro non c’azzecca nulla. Incantato, pensavo che era da tempo che si attendeva che i giovani prendessero coscienza di sé e decidessero che le cose vadano cambiate, e poco mi frega che abbiano idee poco chiare sul perché e sul come: nel ’68 c’era tutta ‘sta chiarezza? Il raziocinio degli studenti era così realmente affilato e consapevole? E nel ’77? No, io non credo: penso che simili onde si generino nel sentire prima che nel ragionare, e va bene così, meglio questi 20enni incazzati che pensano di poter cambiare le cose, piuttosto che rimbambiti pedestramente pedissequi come questi 35enni di cui faccio parte. Era l’ultima chance, perché chi adesso è alle elementari e alle medie – lo vediamo – sarà un fottutissimo serial killer o un decerebratissimo something-geek, vista la direzione nella quale vanno la cultura, la società, la scuola stessa che pare mirare ad avere 18enni con in tasca un diploma, un ciuccio, e un pannolone dentro i jeans Angel&Devil (Davidino amore di mamma, ti sei lavato dietro le orecchie? Che guarda che la commissione d’esame ti fa la prova-cerume sai?).


Per il resto, i calcoli su velocità, radiazioni, temperature, masse e gravitazioni mettono il bollino blu alla teoria del big-bang e dell’universo in espansione solo se consideriamo molta più materia di quella che vediamo. Allora, semplice, per tappare ‘sto buco basta ipotizzare la materia oscura. Che cos’è? La materia che secondo i nostri calcoli ci deve essere ma noi non troviamo. Ecco questa capacità, tutta della fisica, di decidere dell’esistenza o meno di cose enormi come porzioni dell’universo sulla base di calcoli che devono tornare, mi ha sempre affascinato. Traggo da wikipedia:


Come disse nel 2001 al New York Times Bruce H. Margon, astronomo all'Università di Washington:

«È una situazione alquanto imbarazzante dover ammettere che non riusciamo a trovare il 90% della materia dell'Universo.» Le più recenti misure indicano infatti che la materia oscura costituisce circa il 30% dell'energia dell'Universo, e circa il 90% della massa.


Ora, voglio dire, se un astronomo qualsiasi può vedere una galassia e vedere che sta in piedi e ruota e sembra un tortone di merda luminosa, e con i calcoli del caso può scoprire che tutte le stelle che la compongono non c’hanno che una porzione della forza gravitazionale che dovrebbero avere per tenere coeso il tortone, e a questo punto può decidere che esiste tanta altra materia che però non vediamo ma che ci corrobora calcoli e teorie… Bè allora noi non possiamo pensare che contro ogni logica e calcolo e osservazione pratica ed empirica continueremo invece a proliferare e vivere mediamente felici mediamente isterici, sulla base di soddisfazioni rasserenanti che ancora non abbiamo individuato ma che devono esserci? Perché la teoria è che siamo una specie in evoluzione, anche se parrebbe tutto il contrario. Ed il mio capo continua infatti a dirmi "tu a 40 anni sarai ricco e soddisfatto, a un livello che non ne hai un'idea oggi". Però il mio stipendio rimane identico e le responsabilità aumentano, le soddisfazioni diminuiscono. Io mi trattengo qui la sera e cerco in ogni sgabuzzino e anfratto, armadietto e stipetto, e sono sicuro, diavolo lo so e lo sento, che prima o poi la troverò 'sta materia oscura aziendale... No?

venerdì 24 ottobre 2008

metti in moto, parti, vai...

Migliaia di pedalate sotto un cielo di tubi al neon, 17 chilometri 390 kilocalorie 122 pulsazioni di media 128 watt di media per stare fermo, sul culo, a guardare scimpanzé come me che corrono e pedalano per stare fermi, fermi nell'arrivare e dire "ho scopato tutto il pomeriggio, fatto porcate che..." e raccontare che ieri sera festeggiavi l'anniversario con tua moglie, cena regalata da tua figlia. Stare fermi per mostrare sul fottutissimo FaceBook il viso di quella che è la meglio, che è bellissima perché a te di solito piacciono diverse e allora ti piace ancora di più, così diversa. Fermi a dimagrire, a mettere su muscoli, a disegnarsi fenici sulla schiena senza essere mai morti, senza essere mai rinati, senza essere mai stati vivi, delegando a muscoli che si gonfiano ogni giorno di più un cuore un'anima un cazzo di cervello che si spompano sempre di più. Io pedalo, io sudo, io spruzzo gocce che non so più di cosa siano fatte e mi sdraio a fare 40, a fare 80, a fare 160 e poi 240 addominali, che questa sera il dolore mi deve entrare dentro e spurgare come una lumaca nella sua bava, e mi si siede accanto il più probabile degli improbabili amici, e scopro che il mondo che vedo sotto queste luci riflette ogni mondo che io conosca, e scopro che c'è poco che mi piaccia. E allora sono qui in una casa che è un ufficio che è la mia casa da anni dove trovo rifugio, trovo silenzio, trovo parole che mi escono con un brivido che sale lungo la schiena ed esce insieme alle parole di Tracy Chapman, Crossroads, che sempre questa canzone mi porta via, a quell'incrocio di piste dove devo decidere chi sono. E chi sono lo scoprirò fatta una scelta, ma intanto io sto qui, a pedalare per chilometri, fermo immobile sotto un cielo al neon.


E parlo a me, solo a me, e me ne frego di chi ascolta.

Vai

Fai la tua strada. Cercala, trovala, inventala, e seguila. E' normale avere dubbi ed è normale avere paure, è normale sentirsi impreparati e temere di sbagliare. Ma è sbagliato farsi soggiogare da tutto questo, è sbagliato prendere un errore ed elevarlo al grado di universale condanna di te come individuo. Goditi la vita ogni giorno e ogni sera, ogni mattina ed ogni notte, e pur senza svenderti o regalarti fai sesso quando semplicemente ne hai voglia, fosse anche una voglia quasi esclusivamente fisica, che solo facendo sesso senza patemi e senza castelli allegorici in mente (ma con giudizio, questo sì), riuscirai a ricondurre il sesso a ciò che è e a dargli l'importanza che deve avere (alta, non totalizzante): chi non sperimenta e non gioca e non si concede divagazioni all'età in cui è giusto farlo, in cui se ne accettano e sopportano le conseguenze, inevitabilmente ci capiterà più avanti, quando sarà tutto più complicato, malato, meno godibile, molto più problematico. Oppure languirà nella frustrazione di non avere mai saputo "come sarebbe se ... ", ma averlo sempre desiderato. Viaggia, vedi posti, fai esperienze, cresci. Setaccia ciò che è buono da ciò che non lo è, e ciò che non lo è abbandonalo senza rimorsi: se era bello un tempo, conservane il ricordo, ma non impostare le tue scelte di oggi sulla base di bei pensieri di anni fa.


E per il resto, tutto il resto, vivi la tua vita. Ciao. Buona fortuna, buon divertimento.

Che botto!

Oggi cercavo la distanza Terra - Luna (384.400 km) e su Wikipedia mi sono imbattuto in un'ipotesi di formazione della Luna che non avevo mai sentito prima: un protopianeta del sistema solare (Theia) finì per sbattere contro la terra polverizzandosi, e tutta la materia derivante dalla collisione si riaddensò dando origine al nostro satellite. Considerando che il protopianeta pare dovesse avere le dimensioni di Marte, credo sia stato un botto bestiale! E se andassimo abbastanza lontano, potremmo ancora vedere la collisione; solo che dovremmo viaggiare molto più veloce della luce e avere un telescopio molto molto potente. Considerando che un oggetto la cui velocità si avvicini a quella della luce aumenta di massa e non di velocità all'aumentare della sua energia, non arriveremmo mai abbastanza lontano abbastanza in tempo per vedere davvero la collisione. Però saremmo obesi planetari con in spalla un megatelescopio. Che figata, questa sì che è scienza!


P.S.

Qualcuno ha visto dove minchia sia finito il mulo? Mi sa che è andato a nanna insieme a quel cesso di server sul quale ha deciso di dimorare. Speriamo in Nostra Signora dei Sistemisti...

giovedì 23 ottobre 2008

Happy Birthday

231008 - 100000Se solo la mia Clio fosse la Clio Aliscafo, avrei potuto essere agli antipodi di Bologna dopo aver già fatto due giri interi del pianeta.


Se solo la mia Clio fosse la Clio Core, starei per completare l'ottavo attraversamento della Terra passando dal suo caldo centro (cavo e pieno di dinosauri, come tutti sappiamo).


Se solo la mia Clio fosse la Clio Zero-G, sarei ben oltre 1/4 di percorso verso il Mare Tranquillitatis, dove andrei a sgommare sulle tracce di Armstrong.


Ma poiché la mia Clio è la Clio Nokia (ed io ho pure un cellulare Sony Ericsson), non mi sono spinto più lontano che Cala Gonone (con ella, con ella dico), e spero che duri altrettanto. Ciao Zozzarancio, Buon Compleanno! (demenza...)

mercoledì 22 ottobre 2008

Cammina con me

Cammina con me, per un pezzo, vuoi? Su una strada grigia dentro una pianura di ottobre, di fianco hai case come cubi, come Lego bianchi e neri, come gabbie inutili senza sbarre, prigioni terribili costruite dai prigionieri stessi. Cammina con me, per un piccolo pezzo, vuoi? Io ho i colori bianchi di un mondo che strascica parole in accenti infami, io guardo alto, guardo le pareti lassù che sono gialle e rosse con merletti fulvi di foglie rubizze, tu guardi basso e sei nero, guardi basso e vedi scarpe scasse su asfalto a grana vecchia, una riga bianca scolorita, un canale verde muschio che puzza di merda e ti indica la strada. Cammina con me, vuoi? Io ho pelle addosso e morbido pelo intorno al collo, jeans e un baffo alla Vittoria, respiro aria che conosco e sono piccolo in un mondo che mi è minuscolo. Tu hai plastica blu addosso e plastica rossa intorno alle gambe, hai gomma disfatta intorno ai piedi e una berretta gialla in testa, un gran saccone sulle spalle e occhi che si spalancano bianchi quando ti lascio dietro, quando è finito il piccolo pezzo, quando io vado su questa macchina calda e tu rimani su quei piedi freddi. Perché tu, perché io, perché è così? Potrei essere io a lato di una pista in terra rossa, imbecille come un bianco coi colori sbagliati in una terra che prova a tradurre tra Villaggivacanze e alcol a poco prezzo, e potresti essere tu fiero su una veranda, circondato dai tuoi bambini, che baci tua moglie e taci sapendo quanto io sia fuori posto.


Ma no, non è così, non qui in questo mio piccolo angolo di mondo nel quale ti lascio camminare, 3 euro e 5 calzetti per sentirmi onesto, una vita a farmi fesso davanti ad uno specchio. Camminiamo insieme per un po', vuoi? Io sbilenco domatore, tu felino con gli occhi tramortiti. Dio Cristo, ma ci tornerai mai, là? Ci tornerai mai, tu?

Siii, pronto, chi parla?

LUNGO - ESPERIENZA REALE

(anche se molto probabilmente parzialmente rimaneggiata dal passare del tempo)


Intorno ai 18-19 anni io ed i miei amici fummo presi dalla mania delle sedute spiritiche, corollario immancabile alle letture di Koontz e King. Agili e gaudenti, sulle ali della libertà procacciata con le prime patenti e case abbastanza grandi o vuote da lasciarci cazzeggiare senza disturbo, passavamo il sabato sera / notte mangiando riso alla cantonese o pizza e ciarlando del nulla, fino a che non si decideva di andare al cimitero sconsacrato o di fare una seduta spiritica. Così si prendeva pennarello e tabellone di cartone, le lettere intorno al margine, i numeri in fila a 2/3 di altezza, il bollo per la moneta al centro circondato dai tre pulsanti veloci (oggi sarebbero shortcut, e fanculo) SI / NO / NON SO. Seduti intorno al tavolo spuntava la moneta da 100 Lire, i ditini ci si pressavano sopra, e dopo 3 o 4 ripetizioni del rituale “non ridete, zitti cazzo!, allora ecco, vediamo: spirito ci sei? Se ci sei vai sul sì” la moneta immancabilmente prendeva la via del SI. Nessuno spinge, chiunque abbia fatto sedute ormai lo sa, ma altrettanto sappiamo che è una sorta di autosuggestione, una volontà di gruppo alimentata da input condivisi e non focalizzati. Sia quel che sia, quando la moneta schizza veloce e risponde “Mi chiamo Pincopallino e voi come vi chiamate?” tu ridacchi, ma le candele (unica luce ammissibile ovviamente) stringono un globo di chiarore intorno al tavolo, ed oltre quello l’oscurità inizia a premere con una densità che prima non aveva.

Poi conoscemmo Claudio e dopo di allora, ed in fretta, la mania delle sedute finì.


R abitava in campagna, una grande casa colonica contornata da un giardino e più oltre dai campi. Ci trovavamo spesso lì, in tanti, da Bologna e da Firenze, a passare il tempo senza meta o obblighi, a vagare nei campi e mangiare pannocchie rubate, a ridere e a suonare (sala prove nella ex-legnaia insieme a ragni grossi come granchi), circondati dai campi e dalla notte, finendo riversi sui divani o sotto i tavoli fino a che non spuntava l’alba e, poco dopo, il padre di R che – santo subito – ci guardava esterrefatto ma non diceva mai nulla. Quella sera cenammo all’aperto, era agosto, e allestimmo tavoli di fortuna in giardino. Verso le undici iniziammo la seduta, e fu così che conoscemmo Claudio, un ragazzino di (morto a) 8 anni. E’ passato molto da allora, e non ricordo come fluisse il discorso, ma ho memoria di una vera e propria conversazione che andò avanti per ore; al tavolo ci alternavamo rimanendo sempre in 4 o 5, mentre gli altri guardavano o facevano altro. Claudio era dolce, e più volte ci scatenò moti di affetto: un ragazzino quieto e sorridente, malinconico e intimidito dall’avere a che fare con gente “grande”, eppure spigliato e divertente, con un desiderio enorme di colmare anni di solitudine. Sì, nelle sedute sono frequenti i dialoghi veloci e serrati, ma mai come quella volta avemmo la sensazione che lì con noi ci fosse un’altra persona, reale appena oltre la coda dell’occhio. Quando disse è tanto che non sento la pioggia sulla pelle ci si strinse un po’ il cuore. Quando un minuto dopo iniziò a piovigginare ci prese un brivido e ci guardammo in faccia in silenzio. Volenti o nolenti dovemmo comunque interrompere, e tutte le raccomandazioni da lui a noi e da noi a lui di rimanere lì e “riallacciarsi” erano un palliativo, perché non capita mai di staccare, riprendere, e ritrovarsi a parlare con l’ultimo utente in linea. Eppure capitò. Ci sedemmo al tavolo con qualche partecipante variato, domandammo “Claudio ci sei?” e la moneta andò sul SI e poi riprese il dialogo come se non vi fosse stato nulla più che un cambio di luogo, tre minuti di interruzione, ed eccoci di nuovo al telefono con…? Già, con chi? E soprattutto, da dove?


Continuammo a parlare, mi ricordo che fece accenni più o meno velati a situazioni che qualcuno di noi preferiva tenere nascoste, ma lì è facile vederne la causa: l’inconscio di uno o più dei partecipanti, e vabbè. Poi però qualcosa cambiò e Claudio iniziò ad innervosirsi. Non con noi, ma con qualcuno, là dove era lui, che sarebbe tornato e si sarebbe arrabbiato. Arrabbiato tanto, fino a fare del male a lui, forse anche a noi. Qualcuno che stava tornando e che avrebbe saputo, che non avrebbe gradito e si sarebbe molto, molto arrabbiato. A me si accapponava la pelle, agli altri anche credo, e rimanemmo in tre. Gli altri guardavano, c’era un gran silenzio. I movimenti della moneta, che al diminuire dei partecipanti dovrebbero farsi più incerti, divennero frenetici e quasi violenti, e Claudio iniziò a scrivere frasi che stava rivolgendo a qualcuno che era di là. E chiedeva di lasciarlo stare, di non avvicinarsi, di smetterla, di non farlo, e urlava nella concitazione dei movimenti, e poi diceva a noi di andarcene, che lì l’altro avrebbe fatto del male a lui, ed a noi, e andatavene, basta, mi fa male vi prego andatevene non ne posso più scusate andate via via via andate viaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!


Noi ci staccammo, in silenzio, nell'aria pesante. La corrente saltò e piombammo nel buio, e mentre qualcuno urlava fummo colpiti da un tuono enorme che ci rotolò addosso, contro, dentro e lungo le ossa. Il lampo sbattè bianco contro i vetri, vicinissimo, e l'albero in fondo al vialetto di ingresso si incendiò mentre noi, terrorizzati, non riuscivamo a muoverci. La sensazione che lì con noi ci fosse – o ci fosse stato – qualcuno, era precisa come una certezza fisica. Il timore che insieme a Claudio fosse scivolato di qua anche qualcun altro – o qualcos’altro – era sottile ma sottilmente ci sibilava dentro il cranio, sotto la pelle, nei vestiti. Chiudemmo tutto, riattaccammo la luce; l’albero non bruciava più sotto quel torrente d’acqua, e noi decidemmo di dormire (dimenticare, ignorare, far finta di nulla, sperare che spunti in fretta il sole). Ma io e O non ce la facevamo a dormire. Passò un’ora, forse furono due, mancava poco all’alba, sottovoce parlavamo di quello che era accaduto e infinne decidemmo di riprovarci, solo io e lui. Le sedute, si sa, in due non vengono praticamente mai: la volontà collettiva e l’autosuggestione che muovono la moneta sono troppo deboli rispetto alle singolari individualità di così pochi partecipanti. Noi appoggiammo gli indici sulla moneta e quella quasi schizzò via. Claudio, ancora, ci urlò contro di lasciarlo andare e di andarcene pure noi, che non ce l’aveva con noi ma che non dovevamo proprio più andare a cercarlo, che era pericoloso, e insomma basta basta basta… e iniziò a imprecare “Porci, bastardi, lasciatemi stare, bastaaaaa, BASTAAAAAAA VIAAAAA!!!!!” e se anche capimmo (o sperammo) che non si rivolgesse a noi, noi chiudemmo il tabellone, pallidi e incapaci di muoverci.


Dopo quella volta, se non sbaglio, ci fu solo il tentativo di O di fare una seduta da solo. Le conseguenze furono abbastanza infauste da precipitarlo sotto casa mia con gli occhi sgranati e cerchiati di rosso, bianco come un lenzuolo, tremante e febbricitante, a chiedermi ospitalità perché lui a casa non ci sarebbe tornato manco morto e fanculo che era da solo e i suoi in montagna e sua sorella via… Io non feci più alcun’altra seduta. Un nostro amico credente e praticante non partecipò mai. Gli chiedevamo perché e un giorno ci rispose con quello che gli aveva detto il suo giovane parroco in merito: “fai conto che là ci sia una porta: tu non sai cosa vi sia dietro di essa, forse anche nulla. Ma tu, quella porta, non aprirla.”

Guarda!

Ci sono tempeste di storni che spazzano il cielo in curve ed anelli, sfere e cunei vorticanti; poi si disperdono sui fili dell'alta tensione, e si ricostituiscono in nubi erranti che calamitano minuscoli frammenti neri - una pioggia al contrario - fino a tornare ad essere tempeste scatenate.


E quando saranno abbastanza gonfie, queste tempeste si raccoglieranno lassù in alto e su correnti ed alisei scivoleranno a sud, a cercare caldo e cieli azzurri. E' una magia, è bellissimo.


221008 - Fall


  


 


  

sabato 18 ottobre 2008

Fall

Fall


D'altro canto il mimetismo è uno dei meccanismi alla base della sopravvivenza. E così il Mulo si mimetizza coi cieli blu delle belle giornate d'autunno, con l'azzurro delle prime nevi, coi colori caldi dei tramonti, delle foglie, delle braci e di non so chemminchia d'altro (pure!). Faccio incetta di patate americane, marroni (due eRRe, miraccomandoeh!), uva e clementine, sputo sul novello (che se lo beva qualcun'altro!) e apro un cabernet franc, mi piazzo sul divano con la copertina da ottuagenario sulle ginocchia, e con le giunture al caldo apro Il Signore degli Anelli per l'ennesima volta; che lì tra torte, timballi, pasticci, boschi e foreste, caminetti ed arrosti, l'autunno proprio t'avvolge.


Ma attenzione... un'ombra cupa si scuote ad est... ash nazg durbatuluk... (miiiinchiaaaaaa!!!!)

MM XX - Doverosa informazione

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Autunno

C'è una gazza che saltella tra i rami della magnolia, flash di nero, bianco e azzurro e versi rauchi che grattano nell'aria. Contro il cielo monòcromo le foglie sembran di bronzo, i rami di ghisa, la gazza un oggetto lucido. Poi la gazza scagazza (anche scagazza va letto con la zeta dolce di gazza, fa più effetto, provate: gazza che scagazza, bello no?) e sembra che si si aspremuta via dalla cloaca due fiocchi di neve, che cadon proprio bianchi contro il bianco del cielo ma bianchi che son quasi neri per contrasto. Come la neve, appunto. Ma più pesanti, e solo due fortunatamente. Ecco: in autunno la gazza scagazza neve. Per il resto domani c'è il sole. La gazza che ska-gazza ama il reggae. Tutto questo ha molto senso. Ma anche no.


Per l'arrampicatore mancato: va bene così o è troppo lungo?

venerdì 17 ottobre 2008

Siamo tutti allenatori

Mi dici che hai messo la testa a posto e quasi preso la decisione; poi ammetti sorridendo che però ci sono ancora quei due giochini coi quali vuoi giocare. Rido e pedalo e intanto mi irrito, che già definire giochino una persona è indice di come la consideri. Dico se hai voglia di giocare coi giochini forse la decisione è il caso di rimandarla, no? e rispondi che però in lei c'è tutto perché è bella, dolce, seria, intelligente, insomma la donna della tua vita. Ok, rincaro, e allora perché i due giochini? E poi, giocato su quei due bei tavoli, non ne spunterà un terzo? Stai per fare cenno di no, mani aperte e faccia larga da "no, non io, io no" quando mi informi Ah sai che è tornata quella là, quella col viso duro, che è la meglio? Sorrido meno, mi irrito di più, la cyclette segna 180 watt e sale verso i 190. Senti, ma chi vuoi prendere per il culo, ammetti ciò che sei, che vuoi, e non raccontarti cazzate. Sorridi e fai spallucce, mi vuoi convincere, ed io arrivo a 200 watt, irritazione sorda che spinge sui pedali più delle gambe, mi ricordi me stesso in anni nei quali mi piacevo poco poco.


Ti allontani, torno a 100 watt, scendo, mi asciugo, faccio 160 addominali, riscaldo le spalle, mi siedo alla macchina, faccio le alzate laterali e la meglio col viso duro arriva, si siede a terra, inizia lo stretching. Tu compari, saluti, dici due cose, vai, torni con il foglio delle degustazioni che organizzi, ti accoccoli, ridi, sorridi, ti proponi, pavoneggi, mostri, come un bel pezzo di manzo esposto sul bancone. Il terzo giochino, eccolo lì. Il quarto, non dubito, sarà appena dietro l'angolo, un passo avanti al quinto, al sesto...


Ruoli, non persone. Hai bisogno di amici da playstation e di amici da serata degustazione; hai bisogno della donna della vita (giusta come madre, giusta da esporre, giusta per comprarci ed arredarci casa) e di quella con cui scopi (maiala, impegnata, senza problemi); hai bisogno di quella che sia il tuo confessore e di quella che ti faccia da mamma: hai bisogno di...

...hai bisogno di fare il bravo allenatore e ricoprire tutti i ruoli della squadra che alleni. Ma le persone dentro a quei ruoli, non ti frega davvero chi siano.

giovedì 16 ottobre 2008

lBound is zero?

"un banale problema di database" fu definito a posteriori. Fatto sta che quando il sistema si impallò nessuno si accorse di nulla, e i trigger di allarme scatenarono tutti gli eventi del caso così che in pochi istanti fu ripristinata una copia di emergenza. Non si percepì alcuna disfunzione, fatta eccezione per pochi minuti di rallentamento che ciascuno imputò al proprio provider. Con i backbone continentali ultraveloci e gli hub locali in matrici di vetro di Lèvy, le connessioni erano talmente sovradimensionate rispetto ai flussi di dati che l'accesso era gratuito da anni, il consumo energetico nullo, e il cittadino medio teneva aperte le sessioni per giorni e giorni. E poiché ogni sessione disponeva di un buffer locale, i problemi sorsero lentamente, a molte ore dal crash di database. Quando incidenza e frequenza delle criticità divennero sensibili era ormai tardi, e tutte le seguenti operazioni non fecero che peggiorare la situazione fino al tracollo finale quando, ormai ben oltre ogni possibilità di rimedio, si comprese la genesi dello sfasamento. Ciò che accadeva era che uno spegneva il sistema o lo riavviava, e alla successiva connessione si trovava circondato da sconosciuti che domandavano e chiedevano, insultavano e si cancellavano dalle liste, cercavano e non trovano il proprio network, la propria vasta comunità di amici. Alla sera ti addormentavi augurando la buonanotte in broadcast ai tuoi 980 amici, e il mattino dopo la tua frase del buongiorno raggiungeva 980 sconosciuti che ti denunciavano per comunicazione indesiderata, intrusione, etc. Altrettanto avevi nel frattempo fatto tu, raggiunto da decine di notifiche su quanto fosse peggiorata la stipsi di nonna Carla (chiccazzo è nonna Carla, a parte che non caga?), su come faceva i pompini Monya (bene, brava, ma a conoscerla Monya! Ed invece chiccazzo è Monya?!), sul tonno che Harwald aveva trovato rovesciato sul bancone a impiastricciarne il bel faggio, etc.


Potrebbe apparire cosa da poco, la devastazione di un network digitale di conoscenze, non fosse che ogni tipo di relazione sociale era gestita sul sistema, e nessuno aveva più una pallida idea di come allacciare o trattenere rapporti con qualcun'altro senza passare attraverso il network. Dico, mandato a culo l'albo universale degli ominidi terrestri, come si poteva sopravvivere senza conoscere istantaneamente ogni più piccolo avvenimento che intervenisse nell'esistenza delle persone conosciute e linkate? E poi, a questo punto, come raggiungerle queste persone? I telefoni non esistevano da un pezzo e ovviamente i loro i-emuli si appoggiavano al sistema che aveva appena strabuzzato gli occhi, mollato la lingua all'angolo della bocca, ed esalato un ultimo rantolo. Fu uno sconvolgimento epocale, perché i manager non si ricordavano più chi o cosa o quando dovessero gestire, i PR avevano perduto ogni tipo di contatto ed allacciamento, i negozianti non avevano più la lista dei fidelizzati consumatori ed i consumatori non riuscivano più ad ordinare nemmeno un chilo di patate. Per non parlare della logistica, mandata a puttane coi trasporti pieni di roba che nessuno sapeva più a chi servisse o dove dovesse finire. Ma il tracollo era ancora più mostruoso nel piano delle relazioni sociali di diletto ed affettive.


Esplose un buco nero di solitudine ed abbandono che fagocitò la voglia di esistere di centinaia di migliaia di persone, che languirono fino a togliersi la vita, angosciate dalla non-esistenza che il crash del sistema gli aveva piombato sulla testa. Inutile dire che il solo pensiero di stringere conoscenza con qualcuno che aveva una bella faccia in strada era impensabile: sì, ok, quella là guarda che bel sorriso che ha, ma io senza averne l'anamnesi clinica, la lista degli hobby, i dati sulla carriera, l'elenco di desideri e preferenze, la cronistoria del suo vissuto nel sistema... insomma senza conoscerla quella là, come cazzo posso conoscerla?? E se poi non dovesse piacermi? O non ci trovassimo d'accordo? O addirittura ci risultassimo odiosi? Terrificante la prospettiva. Così, i pochi che uscivano di casa alla ricerca di qualche negoziante che vendesse un chilo di patate in uno spazio pubblico e fisico, camminavano scrutando ogni passante con un timore che sfociava spesso nella paura, tanto che vi furono migliaia di casi di aggressione su basi che nessuno era poi in grado di ricostruire.


Insomma, la civiltà fu seriamente minacciata e vi furono numerosi esempi di città in cui l'orgia di angosciato abbandono e furente istinto di sopravvivenza aveva generato vere e proprie guerriglie urbane. Intervenne l'esercito, ma in modo così blando e disorganizzato da risultare in un aumento esasperante dell'entropia. Poi per strada apparvero i primi banchi che vendevano carne e pesce, frutta e verdura, spesso arraffati dagli allevamenti industriali o dai campi di coltivazione meccanizzata. La gente accorse, pagando in contanti o più che altro scambiando qualcosa che aveva a sua volta arraffato. E mentre si commerciava intorno a questi banchi le persone iniziarono necessariamente a parlarsi, da sconosciuti, proprio senza essersi mai visti prima dell’istante nel quale un sorriso muoveva le labbra in un “ciao” e le mani si univano in una stretta. E talvolta capitava che ti trovassi bene a scambiare due parole anche con qualcuno di cui ignoravi la frequenza urinatoria o se due ore prima si fosse svegliato con un attacco di alitosi da campionato fognario. Si poteva blaterare del cielo e dei sapori delle pesche, del lavoro (per i pochi che l'avevano ritrovato) e degli affetti più stretti, delle paure e delle voglie, e anche reincontrarsi dandosi appuntamento giorno per giorno. E, meraviglia delle meraviglie, ad ogni incontro si aveva sempre qualcosa da dire e chiedere, raccontare o domandare. Vabbè, l'aggiornamento in tempo reale era gran cosa, ed eran comodi i tempi nei quali sapevi che Gigetto aveva scorreggiato mentre i suoi olezzi ancora si diffondevano nell'aria, ma in fondo in fondo così c'era più gusto, no? Senza contare che si finiva per andare d'accordo con persone che, messi giù interessi e desideri, passioni e trascorsi, probabilmente nel network si sarebbe evitato come la peste.


Insomma, pian piano la situazione tornò ad una normalità inattesa, fino a che la Compagnia non annunciò che il sistema era stato ripristinato e si era scoperta la causa dello sfasamento che aveva generato il tutto: il database ripristinato era stato creato con una codifica che imponeva l'elemento zero come primo elemento di una lista. Quello in uso imponeva invece l'uno. Ogni oggetto nel sistema, quindi, era stato ripristinato con un ID chiave minore di uno rispetto al suo originale. Ergo, ogni connessione tra soggetti, ruoli, notifiche, immagini, media era andata a puttane, creando un universo quantitativamente identico al precedente ma sostanzialmente diversissimo. Bè, quando la Compagnia annunciò che il sistema era stato ripristinato pensò di aver fatto una cazzata, perché le connessioni erano brevi e sporadiche ed era evidente che qualcosa non funzionava e impediva il linkin-in. Fu meno evidente che la causa fosse tecnica quando si osservarono le bande iperveloci completamente scariche, la marea di gente che passeggiava per le strade e che prima non c'era perché di andare in strada non aveva bisogno, il traffico purtroppo tornato a livelli preoccupanti ma insieme a quello una gioia di vivere che era palese sui visi delle persone. Ed era assurdo il fatto che quasi nessuno parlasse con soggetti digitali connessi attraverso un'immagine retinica proiettata dall'i-link agganciato all'orecchio: le persone camminavano affiancate, scambiavano parole udibili, talvolta si toccavano davvero! E, parossismo estremo, arrivavano addirittura a condividere un bacio senza prima essersi dichiarate amore eterno da un capo all’altro del globo, attraverso una stronzissima banda inutilmente iperlarga.


morale (che una morale ci deve essere, no?): oggi mi sono disattivato su FaceBook. Ho scoperto che trovavo idiota sapere che persone che non vedevo da anni e che per anni non avevo cercato mi informavano sul fatto di essersi svegliate con un enorme foruncolo sul culo. Così come trovavo indisponente arrivare all'aperitivo con i miei soliti amici, e sapere già tutto il cazzo che avessero fatto, subito ed ottenuto durante la giornata.

Tipo così

Fascia il polso per domare il mostro, ha il raffreddore il mostro per questi dieci giorni fuori, e quando giri la manopola urla, quando la chiudi gorgoglia basso che mi fa brividi nello stomaco. Vai a cercare un giubbotto di pelle visto a Los Angeles, vai a vedere cucine e padelle wok e divani Ektorp, vai vai vai che più che altro vai per girare la manopola e scentrare il giroscopio e consumare gomma delle ruote. Poi vai in centro, il mostro che sgambetta rugliando sull'acciottolato, e ti fermi e dici "cazzo Bologna allora è davvero Bologna" perché tra una birra Ekò biologica ed una pedavena ed un'altra Ekò il gruppo di gente che sei venuto a incontrare è fatto... vediamo allora, diciamo così composto, ecco:




  • bologna: 2



  • toscana: 3



  • sardegna: 2



  • Filippine: 1



  • Messico: 1



  • Polonia: 1



  • Turchia: 1



  • Grecia: 1



E poi c'è l'indiano che parla romano e suona l'arpa, l'enoteca siciliana dove l'aperitivo scivola fino alle due e dieci e la ragazza turca che va a casa caricata in bicicletta dal toscano senza un pedale. Chiacchiere in italiano, in inglese, in francese, in tedesco, con parole spagnole e turche, concetti alti e battute pecorecce mentre vini siciliani si tesson su ricotta salata e pepata e ricoperta d'olio, e passito di pantelleria arrotonda cannoli straripanti e profumatissimi. Ci si saluta, bacia e abbraccia, il mostro riguadagna strada e in 5 minuti sono qui, che a forza di vedere 223 sul tachimetro qualsiasi "qui" si avvicina in fretta. Mah, non so, non è poi mica male...

mercoledì 15 ottobre 2008

Sapevatelo!

L'effetto bruciante del peperoncino è dovuto ad una sorta di effetto "neurotossina" che agisce sui ricettori del calore rimbambendoli, e questi si convincono di essere esposti a fonti di calore altissime e scatenano la sensazione di bruciore.


Ora, perché il peproncino può farci scagazzare come oche? Perché mentre l'intestino non ha ricettori del calore, e quindi se ne inpipa dell'effetto della capseicina, l'ampolla rettale ne ha (bello 'sto termine, "ampolla rettale", mi ha sempre fatto uno schifo immondo), e quando sente 'sta roba infuocante richiama acqua per spegnere l'incendio e liberarsene il più in fretta possibile.


Interessante, nevvero?

Nell'ottica di confezionare un'altra perla come questa, ora vado a cercare la causa di quell'afrore che diffondiamo nella nostra intimità urinatoria dopo aver mangiato il timballo di asparagi...

martedì 14 ottobre 2008

assenso

Pieno di dune 'sto deserto, e ci fa un caldo porco, in 'sto deserto. La strada diritta che ci accelera pure Goldrake su 'sta strada diritta, pure il robottone a valvole ci accelera e prende il volo qui, se vuole - Actarus dai gas però, eh! Sabbia gialla, rocce rosse, cielo cristallo, caldo solido. Sudo come un bonzo e mi si frigge un uovo in testa e vorrei brucare il verde tenero delle piante di capperi. Due ore, alla radio solo statica che fa frzzzzskrrrr e anche io inizio a fare frzzzzskrrrr. Il diritto finisce, qui Goldrake o prende il volo o si spatascia contro le rocce e si trasforma in una frittella missile con circuiti di mille valvole tutte scassate. Roccia frastagliata e sempre caldo solido come uno stolido muro di sasso lucido e sudore viscido; si sale, dove vado non lo ricordo più, e poi penso no, è che non lo so ancora forse, o anche chissà e poi ma anche no. Giro dietro una costola di roccia, aggiro una vertebra di roccia, raggiro uno sterno di roccia, m’infilo come il midollo dentro il buco di un osso di roccia, tutto buio tutto freddo un puntino là in fondo da dove mi succhia qualcuno che esco esco esco e cazzo skrrrrriiiiiiiik frena oh! Galline sulla strada, un camion tutto lamiere bombate e pannelli ondulati e cassette di legno e fil di ferro che son piene di piume e vuote di galline. Ribaltato, il camioncino Citroen della Parigi del 1965. L’autista in maniche di camicia siede a lato, fuma Gitanes, ed io proprio qui devo arrivare, ecco. Parcheggio, esco, siedo di fianco a lui. Sigaretta? chiedo. Lui la prende, porge il fuoco, accendiamo, guardiamo le galline sotto il sole cocente. Perché? chiedo. Perché no? dice. Ah, rispondo. Lui soffia fumo e le galline gloglottano più come tacchini che come galline. Ma sai, l’acqua è importante, dice lui. Come, no! faccio eco io. Così stiamo lì a fumare e contemplare il mistero dell’acqua, che è importante. Le galline si dispongono in fila indiana e starnazzano, più che gloglottare. Ma fino a quando?, chiedo io e lui solleva le spalle e getta il mozzicone che vola via sbattendo alette sottili di effemera che frizzano fulminee a tener su il silurino di corpo sbraciolato. Secondo me almeno fino ad ora, risponde, poi prende una sigaretta e l’accende e me la passa e io ne fumo due e lui continua dicendo ma l’acqua è importante, le galline anche, il tempo meno, io credo. Io vorrei dire Come, no! ma soffio fumo e tossisco. Le galline ballano la quadriglia e son bravine, devo dire, ma manca la musica, poi la musica arriva, qualcuno ha ciucciato altro midollo e ci piomba quasi sopra le galline un velocipede a reazione, si ficca tra la lamiera del camioncino, s’impunta, il conducente vola in alto e barrendo atterra al suolo: buongiorno! dice sorridente con una riverenza, e noi salutiamo. Lui si siede di fianco a me e mi prende la seconda sigaretta: cercavo il circo delle pulci ma non ho resistito alla quadriglia dei polli. Io e l’altro assentiamo: questo ha senso, un senso inevitabile. Le galline finiscono la quadriglia, spunta il gallo che dà pacche sui sederotti pennuti e ci scrocca una sigaretta ammiccando alle sue belle. Noi tre ci guardiamo e siamo in quattro ora. Il cielo si rannuvola, nubi come pugni si scontrano sopra le nostre teste e vien giù il finimondo; un rombo sordo arriva dalla galleria e qualcuno anziché midollo sta tirando gozzate d’acqua da ‘sta cannuccia, meglio levarsi. Vedi che l’acqua è importante? mi dice il primo. Come, no! rispondo io. Ci alziamo sulle rocce, sediamo sotto l’acqua e ci rinfreschiamo. Le galline nuoticchiano come paperelle e le piante di capperi crescono a vista d’occhio insieme a pini e abeti, querce e faggi, prati e alpeggi. Un vago prurito mi solletica la nuca e sospira “ma che senso ha?” ed io me lo chiedo, il primo mi passa una sigaretta ed il gallo mi si appollaia sulle ginocchia: guardale, ora van di nuoto sincronizzato le mie belle.


Bah, mi dico, non ha poi meno senso di stamattina davanti al PC, no?

E poi son brave, ‘ste pollastrelle.

venerdì 10 ottobre 2008

Buon weekend


[Chris Sharma su La Rambla - 9a+ - 40 metri di via strapiombante a 30°]

Moscowmulijìto

INGREDIENTI:



  • 1 uomo semialcolizzato;

  • 4 ragazze desiderose di alcolizzarsi;

  • 1 chilo di lime belli verdi;

  • 5 bottigliette Fever Tree di ginger ale;

  • zucchero di canna;

  • menta a quintali;

  • ghiaccio;

  • 5 bicchieri;

  • vodka Absolut.


PREPARAZIONE:


spedisci l'uomo alla Coop a fare incetta degli ingredienti; invita le ragazze, riscalda casa con gli odori di cipolla, peperoni, carne di pollo, peperoncino, coriandolo e tortillas. Lava la menta tessendo l'ambiente del suo profumo buono e fresco; spremi 3/4 dei lime. Disponi l'uomo a un lato della penisola, le 4 ragazze sull'altro. Disponi un bicchiere davanti a ciascuno. Poi investi l'uomo della mansione di dirigere l'orchestrina scandendo questi tempi:



  • prendere il bicchiere - zumpazzùm;

  • versarvi tre cucchiai di succo di lime - zumpappà;

  • riempirlo di foglie di menta - taratazùm;

  • coprire con 3 cucchiaini pieni di zucchero di canna - zumpattattà;

  • pestare e mescolare per due minuti - taratapùm;

  • aggiungere un po' di vodka, ginger ale e succo di lime - tattattatratà;

  • riempire il bicchiere di ghiaccio - firulìfirulirulà;

  • colmare con ginger ale e vodka - piripiripiripàn;

  • guarnire con ramoscello di menta e fetta di lime - patapatapùm-parappappà!


Due cannucce tagliate, e via al tavolo a sbrodolarsi di fajitas bevendo questo cocktail inesistentemente nuovo (e un po' aspro). Buon weekend!

giovedì 9 ottobre 2008

Voglio dimagrire...

...e quindi ho deciso di seguire la tipica dieta da donna incazzata e frustrata perché non riesce mai a perdere peso:


COLAZIONE

   3 fette biscottate

   1 yogurth magro

   1 tazza di thé


SPUNTINO

   1 mela


PRANZO

   60 gr. di pasta al pomodoro con un cucchiaino di olio d'oliva

   200 gr. di verdura cotta scondita


MERENDA

  
barretta energetica ai cereali oppure yogurth intero


CENA

   120 gr. fesa di tacchino alla piastra

   40 gr. pane integrale

   150 gr. verdura cotta o cruda condita con pochisismo olio e limone


Totale KCal giornaliere: circa 700, cioè meno di quelle necessarie ad una decente sopravvivenza, e quindi dimagrimento velocissimo e assicurato. In teoria però, perché nonostante queste privazioni da lager, da denutrizione, la donna media proprio non riesce a dimagrire. Ora, con la mia osservazione nel corso degli anni delle varie colleghe che han finanziato intere generazioni di dietologi, posso affermare che l'inefficacia della prassi potrebbe in parte avere a che fare con i leggeri strappi alla regola che non vengono mai computati durante le lamentazioni ho fame non mangio  faccio la dieta sono un cadavere ma niente niente niente da fare non dimagrisco anzi prendo peso ...


PRIMA DI COLAZIONE

un boccone della torta della festa della sera prima. Anzi un altro. Ma dai un terzo, tanto è a inizio giornata e poi l'ho fatta io, dicono sia così venuta bene, e io manco l'ho assaggiata!


TRA COLAZIONE E SPUNTINO

toh, al bar (per il mio solito caffè amaro) offrono i cioccolatini promozionali: vabbè uno. Oh che carino, due, ok uno lo mangio dopo. In macchina, subito dopo, gnam!


DOPO LO SPUNTINO

ahia ho un buco allo stomaco... vabbè un pacchetto di crackers integrali mica conta. Oh ma dai mi son rimasti i Ferrero Rocher nel cassetto, ah pane e cioccolata, che buono mi ricorda l'infanzia, vabbè dai uno, due, ok tre, vabbè quattro che son 4 i crackers, ma son cioccolatini piccoli....


A PRANZO

mamma mia che fame, e guarda 'sto vassoio vuoto che tristezza, vabbè uno strappettino alla regola ogni tanto... patatine fritte! Ah, la cassiera dice che ho ancora 60 centesimi, dunque vediamo, vabbè fanno questi panini di pasta di pizza, poi son piccolini, che vuoi che sia.


DOPO PRANZO

oh il barista offre scorza d'arancia ricoperta di cioccolata, non si può mica rifiutare questo gesto ed il sorriso accattivante di Francesco, un paio di pezzetti, ecco sì tre, via, tanto è tutta arancia, figuriamoci!


FUORI DEL LAVORO

aperitivo con Gianna e Manuela, bevo solo un succo di frutta, anzi un bicchiere di vino bianco, vabbè le patatine, ma giusto spizzico un po', oh... aperitivo a buffet, Gianna fa il pieno, vabbè dai ne sento una... una di queste, una di quelle, tre olive, oh le noccioline, ma basta così solo un pugno di noccioline eh, che sono a dieta, ecco basta così, vado a fame a far la cena, Dio che fame, ciao ragazze!


A CENA

rigoroso rispetto di quanto indicato, e sguardo schifato al ragazzo/marito che mangia pure la pasta - il bastardo ingordo - e una fetta di torta insieme al caffé - il porco!


E nonostante questo, non dimagriscono. Sarà che bisogna cambiare dietologo e dieta, inevitabilmente. Questa non funziona nemmeno con 700 KCal al giorno...

Tutti possono tutto

Che tutti possano fare tutto è una baggianata, eppure è la direzione nella quale evolviamo. Se hai soldi puoi orbitare intorno alla terra; se hai tempo e voglia puoi farti portare fino ai campi avanzati dell'Everest e se proprio non sei un cardiopatico conclamato o un ottuagenario artritico prendere il numerino, aspettare la finestra di bel tempo, e scarpinare fin sulla vetta del pianeta. Se non sai nuotare puoi comunque infilarti una muta, appenderti la bombola al GAV, ed essere manovrato dagli istruttori come fossi un pallone di profondità fino a conseguire il primo brevetto PADI. Se non hai mai visto una montagna puoi farti portare da una guida a ripetere vie di arrampicata che a inizio secolo erano perle di ardimento e pericolosità ed ora sono autostrade ferrate cui appendere grasse balene teutoniche rubizze di sole e di birra. Se hai conoscenti sparsi per il pianeta con Facebook li puoi raggranellare tutti quanti e a ciascuno inviare un messaggio con scritto "ma no, non ci credo, anche tu qui!" e dopo due messaggi annoverare un altro "amico", come se l'amicizia fosse fatta scambiando 200 caratteri su un protocollo di rete e scavalcando così ogni atto, pensiero ed emozione che contribuisce con il tempo a definire e cementare un'amicizia. Pure su Splinder siamo pieni di "amici", invadenti come il Suicidatore che si propone a ogni più sospinto; amici che non abbiamo mai conosciuto e coi quali mai scambieremo una parola.


Insomma a seconda della dotazione economica, tecnologica, e di tempo, possiamo avere più amici di Ghandi, arrancare fin dove Hilary compì il suo passo, tuffarci sentendoci novelli Mayol, percorrere gli strati più alti e rarefatti dell'atmosfera senza essere cosmonauti o astronauti. E in tutto questo, magari, accogliamo i nostri amici il lunedì mattina scrivendo loro "la frase del giorno è: la meta del viaggio è il viaggio stesso". Peccato che tutto ciò che facciamo quotidianamente sia teletrasportarci da una meta all'altra senza percepire alcun viaggio, che sia fuori o dentro di noi, di crescita, arricchimento o altro. Anziché viaggiare, passiamo da una cartolina all'altra, sfogliandole con l'attenzione che si riserva all'album di nozze che dopo mesi di minaccia ti hanno infine costretto a prendere in mano. "Guarda come siamo belli...". Obrobrio.

mercoledì 8 ottobre 2008

Bestiario - flash news

L'Onanista Azzannato si è accasciato sulla scrivania. Si teme il colpo apoplettico. Nel caso sarà morto soddisfatto, visti gli SGRAT-SGRAT di cinque minuti fa. Ma poiché lo sento russare, immagino sia solo il rilassamento del dopo.

Microminchiate XIX

Ho modi affettati e una riconosciuta, buona, sensibilità estetica. Rifuggo i discorsi da bar su fighe, troie e quante me ne sono fatte io. Anni fa fui operato di cremasterolisi, cioè testicolo ad ascensore (causa dimagrimento veloce una palla mi risaliva ed era parecchio fastidioso / doloroso). Capita così che senza malizia ma con poco tatto e molta poca finezza il Gran Capo Big Jim si lasci andare a battue chiamandomi - un tempo - "monopalla" e talvolta prorompendo in "ed io che pensavo fossi finocchio". Così oggi mi sono un po' girate e in riunione con partner e soci, all'ennesimo "tu e Claudio in separata sede eh? Lo sapevo che eri finocchio" ho risposto con "Prestami tua moglie, Giorgio, e lasciamo sia lei a decidere se lo sono o meno". E' calato il silenzio, è spuntato qualche trattenuto sorriso, e la giornata si è girata al meglio. Son soddisfazioni.

Valore assoluto

Sul gritstone brunito dell'Inghilterra il sole occhieggia disegnando lame di luce abbagliante che si accendono e spengono col passare veloce, in cielo, delle nubi atlantiche. Nel vento e nello sbattere dell'erica e dell'erba gialla, un arrampicatore sale sulla parete verticale, praticamente liscia. A 20 metri d'altezza il passo chiave è tenere con la sinistra una tacca svasa, scivolosa, piatta: se la mano non riesce a spalmarsi su di essa abbastanza da sostenere il peso del corpo, l'arrampicatore cadrà e la corda sarà inutile: ci sarà il gemito, il vento, l'impatto. L'arrampicatore avanza metro a metro, sciogliendo la sequenza di movimenti e contorsioni, compressioni ed allunghi, tra un'inspirazione lenta ed un'espirazione violenta. Le energie si esauriscono velocemente e sono appena sufficienti per i movimenti perfetti eseguiti nei tempi perfetti; ogni dispersione causerà un deficit insanabile e 20 metri di volo. La concentrazione è massima e l'alienazione totale, la sensazione di fallibilità inesistente e la fragilità della vita allontanata: se ti impegni in un'impresa potenzialmente letale non parti pensando di non riuscire... Alla base di tutto sta la presunzione di infallibilità, che si cementa nel momento in cui decidi davvero di tentare l'impresa. Ma tra riuscire e fallire, tra vita e morte, c'è quell'ultima tacca svasa. L'arrampicatore inspira, controlla il tremito ed il tumulto: la deve afferrare e tenere, il palmo aderente, le dita come fossero di acciaio, l'avambraccio come fosse di marmo, il dorsale che pompa come un martinetto idraulico e issa il corpo... l'arrampicatore allunga la mano, gli avambracci gonfi di lattico ed il respiro corto, la linea degli occhi si alza insieme alla spalla, vede la tacca e vede quei 2 centimetri di roccia liscia, colpiti dal sole, che decideranno della sua vita... e sulla tacca c'è una coccinella: rossa, lucida, ferma a godersi il sole, bellissima a bearsi del tepore, perfetta come l'immaginazione di un bimbo ed il disegno di un pittore. E' un attimo, e l'arrampicatore può solo gettare la mano sull'appiglio e schiacciare la coccinella. La mano aderisce e stringe, il passo è superato, l'arrampicatore arriva incima. Da sotto i compagni riprendono a respirare; urlano e gridano di gioia, applaudono e si abbracciano. Lui lassù, immerso nel vento e nel sole, ha la morte nel cuore e piange, disperato, per la coccinella che ha dovuto uccidere.


Non è una fantasia, ma il racconto di uno dei più forti arrampicatori inglesi nel liberare una via durissima, potenzialmente mortale, fino ad allora temuta ed evitata. L'idea che si sia disperato per aver schiacciato una coccinella, laddove non farlo avrebbe significato fallimento e morte, mi è sempre sembrata assurda, una cazzata scenica artatamente divulgata. E poi dico, è una coccinella, un insetto, una cosa minuscola.


Eppure oggi mi è tornato in mente il parlare della mia psycho a proposito del valore assoluto della vita: non un concetto cristiano (lei non credo lo sia) ma un concetto di "vita" come potenziale, come significato, come qualcosa avulso dal singolo individuo ma che permea tutto ciò che esiste. E ho capito che quell'arrampicatore ha dovuto uccidere per salvarsi, ed in quel momento in cui due vite erano appese al filo di un unico gesto, nessuna delle due aveva una mole maggiore dell'altra. Può sembrare assurdo, forse lo è per molti versi e per tutti i nostri costumi, ma oggi - non so perché - non lo percepisco come assurdo.

martedì 7 ottobre 2008

Mah!

Semplice notazione, ma è incredibile: ogni volta che scrivo un post di cui mi sento soddisfatto, posso essere certo che non susciterà alcun interesse. Quando me ne esce qualcuno davvero male, tipo quello sui ragazzini innamorati, dove non son riuscito a rendere nemmeno alla lontana l'incanto che volevo...


Vabbè. Comunque la musica del giorno è quella un po' funky un po' swing dei Moloko, bella betteria secca con pochi orpelli ma pattern interessanti. In una mailing list uscita erroneamente aperta vengo pescato da un vecchio compagno di servizio civile. Flusso di ricordi, pare un'altra vita, e se anche di collegamenti con questa ve ne sono ancora, proprio mi è difficile trovarci una continuità. D'altro canto quando si chiudono le parentesi, quelle grandi abbastanza da contenere anni di continuità, è tanto quello che ci rinserri dentro e cui volti le spalle (ma pure tantissimo ciò cui ti apri, e grazziarcazzo).


Boh, sono percorso in ogni fibra da una sottile ansia oggi, derivante non so bene da dove, e quest'ansia si trasforma in una vibrazione muta ma fastidiosa che mi irrita e spazientisce. E sento che o faccio qualcosa per disinnescare la reazione, o di qui a breve sarò incazzato col mondo. E non va bene, non mi va. Ma vedo già qui davanti quella povera faccia di merda dell'uomo senza coglioni di cui feci cenno qualche post addietro... Minchia come ti spaccherei la faccia...

lunedì 6 ottobre 2008

Parole parole parole...

061008 - Doors061008 - BrightSky061008 - Sounion1061008 - Sounion2

Binario palindromo

Contatore visite: 10101;

Palindromo binario, per l'appunto.

De mejo da fa'??

061008 - EldarL'eldar era appoggiato ad un muro dello stretto bugigattolo ritorto che spunta, come un vermiciattolo dalla sua mela, da un angolo della piazza. Appoggiato al muro scrostato, portava un cappello a larghe falde e sulle spalle un mantello morbido, mentre in mano reggeva un bastone in cima al quale un opale aranciato spandeva luce come caramello fuso.


« troverai pace e ricchezza, ma solo se le saprai cercare »

« porco cane Eldar, grazie ma sai, son tutto stonato e fa' te che oggi, dico 4 ore fa, ho lasciato la cintura nello sgabuzzo della risonanza magnetica e mo' mi calan pure le braghe. Dammi almeno qualche aiuto, qualche indizio»


Stropicciandosi gli occhi l'Eldar sospirò stancamente stanco, mentre col piede allontanava un cagnetto impertinente - sordo ai richami del padrone "Piiiisciuuuu, lazzarone, vien qua!" - che gli voleva urinare sui piedi.


« va bene, va bene, allora ecco: va' dove il mare, in piccoli flutti varipointi, incontra la sottile spuma di onde di terra. Là rifocilati e trai energie, che l'indomani dovrai traversare le cortine dell'uggia e più oltre ecco, allora forse, giungerai e troverai »


Stonato e senza aver capito molto, ecco che ripresi a camminare mentre l'Eldar rimaneva appoggiato al suo muro e Pisciu lazzarone tornava scodinzolante e a vescica vuota dal suo padrone. Due ore dopo la fame m'aveva giocato il colpo fortunato, e tra tartare di orata, carpaccio di branzino, una cappasanta come un tiepido gioiello poggiata sul velluto bianco del baccalà mantecato, il mare m'era arrivato sì in piccoli flutti varipopinti e variogustosi, mentre le bollicine di terra e vite arzigogolate dentro il Franciacorta erano la spuma che completava la prima sentenza. Così, bello sbronzo e ristorato, l'indomani imitavo Piiiisciuuuu lazzarone ma centrando il bianco ricettacolo e sbirciando un cielo plumbeo che mi gravava sulla testa tanto quanto la sbornia. Incurante di ciò mi promulgavo - fedele all'arbitrio dell'Eldar - verso occidente laddove effettivamente cortine di uggia, acqua e grandine serravano il passo verso il lago turchese che all'alba s'era evidentemente ribaltato in cielo.


061008 - Cortine


Ma incurante, fesso ed indefesso, stolido come un sordo e solido come un tordo, le cortine le passavo indenne sciabolando di tergicristallo. E l'Eldar aveva poi ragione, che infine pace e ricchezza le trovai davvero. Almeno fino a che la teutonica non decise di caracollare al suolo e noi dovemmo chiamare l'elicottero per portare lei e la sua spalla fratturata all'opitale. Ed anche in questo ultimo frangente, ecco vedete, spunta un barlume di saggezza e saggia morale, quando l'omino del 118 giunto da terra a dar manforte ai suoi alati compari, osservando la parete di roccia e riferendosi agli arrampicatori, non ratificò la seguente perla:


"Ma vojo di' ma questi, ar sabato e a'domenica, 'n c'hanno 'n cazzo de mejo da fa'?!"


Chapeau.

venerdì 3 ottobre 2008

Tutto significato

La bella ragazzina del piano di sotto ha un innamorato che ogni notte la attende sotto la finestra, senza frenesia, e quando lei apre e si affaccia lui la guarda, e le sorride in un modo che è un abbraccio ed un bacio di potenza e semplicità entusiasmanti. Poi le lascia un messaggio sul muretto, gesso bianco vergato piano, e lei il mattino dopo lo legge e cancella, con delicatezza, con gli occhi come pozze di acqua limpida che riflettono il cielo quando si è appena spaccato di nubi e riempie piscine turchesi. Ieri, stendendo fuori della finestra, li ho trovati che si guardavano, in silenzio ed immobili, delicati e bellissimi. La linea che univa i loro occhi catalizzava ogni foglia, ramo, alito di vento e nube.


Hanno occhi svegli e limpidi, salutano sempre e mi danno del lei, parlano sottovoce e sono discreti, delicati, leggeri al punto che pare siano soffiati sulle cose, anziché piantati a metterci sopra piede. Non hanno acconciature alla Beckham o Victoria, nè jeans De Puta Madre o Angel&Devil, né giubbotti borchiati e lucidi o stivali look 2008. Sono così normali da essere completamente fuori norma, e sono così rari da essere perle, bellissimi perché nemmeno lo sanno, nemmeno se lo chiedono. Hanno consistenza in se stessi senza doverla cercare nei vestiti, negli orpelli, nel gergo, nelle attività, nel branco.


Ieri li ho spiati qualche secondo, poi mi sono seduto sul letto e ho sorriso, addormentandomi con un bel tepore nello stomaco. Stamattina c'era un piccolo frullino artigianale lì sul muretto e piantato nel terriccio, un bacchetto di legno con petali di carta bianca. Semplice e bruttino a essere sincero, eppure immagino la pienezza con la quale lei lo guarderà e lo prenderà per portarlo via. Tutto significato e apparenza nulla; siete bellissimi, purtroppo rarissimi.

giovedì 2 ottobre 2008

Violando regole...

...autoimposte, ecco una mail che mi è giunta or ora e che trovo illuminante e divertente. Titolo della mail, Sei bolognese se + le mie considerazioni:



  • quando arriva un amico con altri amici che non conosci non ti presenti

    (boh, non me la spiego questa)

  • sei abitudinario, vai sempre negli stessi posti da anni e poi dici che a Bologna non c'è mai un cazzo da fare

    (vero vero vero troppo vero)

  • chiami via Riva di Reno via  Rivareno e via dell'Indipendenza via Indipendenza

    (ma è che si chiamano così, non scherziamo su, via Riva di Reno... ma daaai)

  • non sopporti i fuorisede e poi quando Bologna si svuota ti lamenti che i locali sono vuoti

    (ehm... in effetti...)

  • la domenica vai a marina di Ravenna al sottomarino e alla duna

    (non sono bolognese, mi vien l'orticaria solo a pensarci)

  • ti sposti sempre e comunque in macchina

    (no, anche in moto!)

  • ce l'hai con tutti punkabbestia e fuorisede che ti rovinano il tuo bel centro storico

    (il peggio furono le "gocce" messe lì da Guazzaloca, a dire il vero)

  • credi che il tuo lessico sia  universale e pretendi che la gente ti capisca (per questo parli solo con bolognesi)

    (non parlo solo con bolognesi, ma solo i bolognesi mi capiscono del tutto quando parlo. A parte Armanonimo, che lui non si capisce con nessuno)

  • sai cosa vuol dire 'TIRO' e 'RUSCO'

    (perché voi no??)

  • attacchi lo  scudettino del Bologna sulla targa anche se sei della Juve

    (ma proprio no!)

  • hai sempre  qualche amico con delle bazze che ti fanno risparmiare

    (e di solito si spende il doppio per avere la metà. E di seconda mano.)

  • al supermercato  chiedi al cassiere: 'Mi dà una sportina'

    (perché di solito che si chiede, un pompino?)

  • al supermercato alla domanda  'altro?' rispondi 'altro grazie'

    (che bello il bolognese...!)

  • mangi le crescentine ma non sai spiegare cosa sono

    (certo che lo so spiegare: prendi acqua, farina, a un certo punto si frigge, sono unte, hanno dei bubboni... ecco!)

  • dici "pòlleg" o "polleggio" in continuazione

    (io ho fatto il classico, oh!)

  • almeno una volta nella tua vita sei stato 'su a San Luca a piedi'

    (più di una volta, troppo bello!)

  • quando sei sorpreso esclami 'Socmèl!'

    (sòcmel!)

  • hai mangiato almeno una volta le tagliatelle col ragù (quelle originali però!)

    (il ragù è un'arte che fuori da Bologna subisce solo deprecabili plagi)

  • nel weekend ti esalti  perchè c'è la piazzola

    (mi esalterei se la bombardassero)

  • anche se non sei interessato allo sport, sei stato almeno una volta all'interno del dall'Ara

    (coppa Uefa, perdemmo con il Marsiglia mi pare)

  • adori "l'aperitivo alla bolognese"

    (cioè?)

  • la tua 'S' e la tua 'Z' sono più o meno la stessa cosa

    (giusto un po'...)

  • ad un appuntamento romantico la porti sui colli di notte

    (ma anche no!)

  • hai passato almeno un sabato pomeriggio a fare avanti e indietro per via Indipendenza

    (ehm, sì)

  • ogni volta che passi sotto alle due torri stai con il naso all'insù mezz'ora

    (chiunque dovrebbe, anziché misurarsi le scarpe)

  • quando ti dicono 'Ci troviamo sotto al  Nettuno' non pensi che sia il caso di iniziare un corso accelerato per astronauti

    (da una certa angolazione la mano del Nettuno sembra un uccellone enorme)

  • hai visto una partita di sano basket bolognese

    (no, mai, sorry)

  • non puoi fare a meno dei 'turtlèn'

    (posso farne a meno ma solo per gustarmeli di più a Natale!)

  • almeno una volta ti sei messo al centro di piazza Maggiore di fronte a San Petronio

    (idem come per le due torri)

  • per te i giardini margherita sono il posto dove passi i tuoi momenti di  solitudine

    (i Giardini me li fanno venire, i momenti di solitudine)

  • per te l'Alma Mater non è un'università come le altre

    (no, è quella dove ho fallito la mia carriera universitaria. Ma è la più antica del mondo, oh!)

  • alle 7 di sera non rinunci ad un'aperitivo in centro

    (nemmeno alle 8 o alle 9 o alle 6, se è per quello)

  • non  puoi fare a meno della pizza da Altero quando hai fretta

    (veramente è regno di albanesi e rumeni, eviterei, sorry)

  • non ti offendi (ma anzi..) se i nonni ti chiamano cinno

    (certo che no, il cinno è il cinno!)


 Bello essere bolognesi. Almeno un po', dico.

mercoledì 1 ottobre 2008

Grossissimo schifo!

...ma qui siamo nell'Alacazzobbama, si scopano le loro sorelle...

[da Mio Cugino Vincenzo, con Joe Pesci]


Bè qui siamo a Bologna, ed è anche peggio. Spero che per quando avrò raggiunto i 45 anni abbiano inventato una pillolina per scongiurare l'insorgere di imbecillità da mezzetà, così da evitarmi l'andar per luoghi a cercar dove tocciar cazzo inseguendo la speranza che questo mi affranchi dalle frustrazioni che mi son costruito. Il 45enne è spesso uno degli esseri più abbietti del creato. Quello poi con moglie, figli, buon lavoro e buona salute, la créme de la créme.


Qui lo dico e sottoscrivo, se a 45 anni girerò per uffici, locali o palestre nascondendo la fede e mirando a scopare 35enni con palese bisogno di figura paterna e sogni ben frangibili ma facilmente credibili, potete uccidermi. E appendere il mio cadavere, per le palle, alle porte di una qualsiasi città.