mercoledì 31 dicembre 2008

Attesissimo!

Nell'augurarVi una lieta fine di anno e un ancor più lieto inizio del seguente, mi pregio di rammentare a tutti Voi che questa notte ci verrà introdotto un secondo intercalare. Festeggiate dunque con un minuto di 61 secondi, e attenti a che le creature che vivono negli interstizi temporali non sfuggano al controllo di Padre Kronos e vi sconvolgano il fluire degli eventi.


Uh?

Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii-aaaah!

martedì 30 dicembre 2008

La ballata dell'ultima dell'anno

Cosa mi metto cosa mi metto???

Io non lo so, oh povera me!

Qualche pailletes, di vischio un rametto?

Una maglia scollata a ricami in lamé!


Cosa preparo, cosa cucino???

Io non lo so, oh povera me!

Due scampi al vapore, al sale il branzino?

Un bell'antipasto di cozze in sauté!!


E poi dove vado, come festeggio?

Io non lo so, oh povera me!

Se viene anche lui io poi lo corteggio?

Spero mi porti a una festa con sé!!!


Sono andato al centro commerciale a comprare un paio di cose, e il turbine di donne - in senso esteso, dai 16 ai 56 anni circa direi - che si aggirava sconvolto tra scaffali, banco del pesce, e poi fuori nei negozi di abbigliamento tutti tirati in paillettes e lustrini, mi ha suggerito la Frenetica Ballata dell'Ultima dell'Anno...

lunedì 29 dicembre 2008

Ricetta d'Inverno

Dopo lunghi giorni di meditazione attraverso varie città, impegnato in faccende varie (tra le quali stare a letto malato), ho raggiunto l’illuminazione (la bbaaandaaaa): la natura segreta dell’inverno. Colta e contenuta in un dolce che forse nemmeno esiste: Flan “Inverno” al cioccolato amaro e salsa di kaki.


2008xMas22008xMas1Su una bella maiolica azzurra e lavorata grezza servo un flan al sapore d’inverno: pasta dura e appena biscottata di cacao, zucchero e uova, ruvida e appena tiepida che cova sotto la distesa candida dello zucchero a velo. L’interno dischiude il calore di un ripieno dolce e setoso, caldo e densamente liquido che ha il colore delle braci nella stufa ed il sapore di aromi sia freschi sia speziati, la polpa del frutto e la pungenza della cannella.


Immagino un cielo azzurro chiaro, gelido nel primo mattino: ai suoi piedi la terra dissodata irrigidita dal gelo; neve disposta in spolverate bianche e sottili, in cumuli duri e crocchianti, in merletti delicati intessuti ai rami d’abete; poi il cuore sfavillante della città, un turbine brillante di musiche, sorrisi e passi veloci e poi l’odore di una casa calda, una stufa di ceramica e ghisa con lo sportello aperto a mostrare le braci ardenti, a sbuffare quel sottile filo di fumo che pervade l’aria di legna e di intimità.

mercoledì 17 dicembre 2008

Fantastico

Spunta il sole, a me spunta la febbre. Vaffanculo, vado a casa.

Al cuore, senza cuore

Spesso si ama talmente tanto qualcosa, da perseguirlo con tale strenua intenzione che, giunti a cogliere l'essenza più avulsa del nostro piacere, scopriamo di averlo scarnificato e spolpato di ciò che professavamo di amare.


Uh, minchia, l'ennesimo pippone pseudofavolistico e semi-innamorato. No: Parlo di cose ben circoscritte. Come amare a tal punto l'arrampicata (perché è aria pura, ambiente, coinvolgimento, scoperta, isolamento, sinestesie magiche e viste incantevoli, etc etc etc) da finire per ridurla ad un mero esercizio fisico operato in sale attrezzate, al chiuso, su plastica, magari quando fuori un sole enorme e caldissimo regala 5 ore di estate nel cuore di un inverno uggioso.


Al cuore, e senza cuore. Non capisco, ma nel timore di seguire il medesimo percorso, io non metto piede nemmeno nel primo passo...

martedì 16 dicembre 2008

Disconnesso

Sono 36 ore che non ho più un cellulare. Il mio è altrove, dimenticato, lo riavrò tra pochi giorni. Non sto male, non sento quel senso di isolato abbandono che mi coglie quando esco di casa lasciandolo sul comodino, quella sensazione di impellente ansia che mi impone di fare dietrofront. Pare che si sopravviva anche senza, dunque. Anzi, che si viva; meglio? Peggio? Boh, diverso. Le persone cui voglio dire cose le raggiungo: per mail, di persona, telefonando da un telefono fisso. Gli SMS? Non mi mancano. Le foto? Quelle sì, molto. Oggi, stasera, poco fa insomma ero in centro, il cielo si è dissolto in refoli e la trama di grigio si è assottigliata fino a mostrare azzurro e rosa. L'albero di Natale di Piazza del Nettuno svettava di luci e palline colorate, le decorazioni tiepide e vivide che incorniciano le vie caramellavano i palazzi, gli spazi, gli scorci. Ecco, sì, era splendido e non poter scattare foto mi è mancato.


Insomma il cellulare mi manca perché non posso scattare foto. Per il resto mi dà sollievo questa disconnessione che non mi rende ubiquamente raggiungibile. La cosa mi fa riflettere. Chissà, potrei riattivare l'account in Facebook e fare un sondaggio...

Quel senso strano e così forte

Quel senso di divino, di mistico, di qualcosa che è oltre, o più grande, o in profondità tale dentro le cose da pervaderle ed illuminarle. Lo trovo in quell'aquila che volava nera contro il cielo bianco sopra i monti scuri velati di neve candida. Lo trovo nei fagiani, belli e strani come sculture di rame e velluto che popolano  tranquilli la collina che mesi fa era delle lepri. Lo sento e vivo in una fiammata di entusiasmo quando dentro la mia scatola di latta corro ai 100 all'ora sull'asfalto e di fianco a me vedo volare un falco con gli occhi intenti a scovare la preda: tecnologica stolidità e selvaggia vitalità che corrono affiancate su binari paralleli. Quel senso di divino che mi lascia d'incanto quando il sole è rotondo e morbido, caldo e tiepido, e srotola raggi piatti sul lago, accende gli alberi della valle, disegna miliardi di sfumature tra l'oro del tramonto e il viola del cielo profondo, così tante e così perfettamente fluide che nessuna risoluzione e nessun full-HD dell'universo ne saprà mai riprodurre la lucida perfezione.


C'è talmente tanto, di potenza e bellezza così vaste e complete, che la percezione di un disegno splendente e altissimo mi sfiora e lambisce. Ora la chiamo vita, incanto, estasi; quando avrò paura di morire, quando sapere cosa vi sia oltre sarà l'unico ricettacolo di speranza in una prosecuzione oltre me stesso, allora la chiamerò religione, e intruppato dietro una fila di astanti penitenti, aspetterò il mio turno per ricevere l'ostia e tornare al mio posto, supplicando di non aver mangiato solamente un pezzo di pane azzimo.


Tutto questo è tale per me; gli altri credano ciò che amano, nel mio sincero rispetto.

lunedì 15 dicembre 2008

Legno, pietra, calore e neve

Ieri guardavo l'enorme stufa chiara diffondere un tepore che mi smussava ogni spigolo | Ieri guardavo il cielo che si appoggiava bianco sui monti severi ingentiliti di neve | Ieri guardavo un'aquila volteggiare enorme nel cielo e lanciare il suo richiamo acuto | Ieri guardavo mia sorella suonare la tromba e racchiudere enormi potenzialità e speranze.


Ieri guardavo mio padre. E ho sentito d'improvviso il bene che gli voglio.


Mi è venuto da piangere al pensiero di quanti anni io abbia impiegato a realizzare questa verità, mi è venuta la nausea al pensiero di quanto sappiamo essere comprensivi con gli sconosciuti ed intransigenti con chi ci ama.

giovedì 11 dicembre 2008

Tuttobbène tuttobbène

Un mal di testa feroce mi spacca la testa: scraack! Esserini curiosi zigzagano nell'aria rossicci e leggeri e io mi chiedo che diavolo di bestioline siano. Poi vedo che son pellicine di bagigi soffiate via dal portacenere insieme a nugoli di cenere: porcocane che casino. Scopro che su Facciabbùco (Faccia libro è traduzione troppo prosaica, meglio un'assonanza) si possono intentare cause; non mi chiedo altro e inorridisco mentre i piedi mi si congelano: le due cose sono correlate? Il parquet Tundra esige rispetto, un rispetto deferente che insieme al male ai lombi e alle ginocchia mi prostra in un mezzo inchino continuato: ave! Il weekend si preannuncia molto godibile, ma da qui al suo inizio mi separano compere, impegni personali, impegni professionali, 300 chilometri di strada: faaatiiiicaaaaa!


In sostanza, stasera vorrei spegnere il pianeta. Si può?

Buon fin de semana à todos. Besitos.


[Dimenticavo la sezione giardinaggio dell'IKEA, dove questo weekend avrete in offerta: il concime naturale STËRKEN, il rastrello in policarbonato GRÅTTA, il set di vasi e sottovasi PITAL. Approfittatene!]

Ikea - MMXIV

Oggi, mentre montavo il parquet (Tundra bianco), tra una martellata ed una saracca pensavo miriadi di pensieri creativi. Pensavo nella fattispecie a una serie di belli e nuovi prodotti Ikea tipo:



  • Il water con paraschizzi SGRULLÅ;

  • il morbido pouff ergonomico KIÄPPA;

  • la  pallina antistress SÖCMÊL;

  • la specchiera a parete PIRLÅ.

  • il tappeto in vera erba FRIKKET;

  • la branda a scomparsa (finitura rovere scuro) LOKULJOR;

  • il tavolo in teflon antiaderente (sopra e sotto) KAKKÔLA;

  • il boccale da birra RUTTÅ;

  • la cappa aspirante KRAUTØ (anche in versione potenziata FRÎTTO);

  • Il letto ad acqua riscaldabile KOMEGÖDO.


L'IKEA ti cambia davvero la vita...

martedì 9 dicembre 2008

Un regalo, quasi

091208 - First half091208 - Second half- Ne scriverei -

- Di cosa, di questo? -

- Sì -

- E perché? -

- Perché è troppo bello -

- Troppo? -

- Meraviglioso -

- Hai detto troppo bello -

- Ed è vero -

- Ma troppo per cosa? -

- Troppo. Così, per dire -

- No, non così. Perché? -

- Essù, dai -

- No, davvero, pensaci -

- Ok, va bene. Dammi un momento - [...]

- Allora? -

- Hai mai visto Into the wild, il film del tipo che parte da solo per l'Alaska, e alla fine ci muore? -

- Riassunto risicato eh. Ma sì l'ho visto, cosa c'entra? -

- Lui vede tutta questa vita selvaggia, splendente intorno a sé. Una vita libera e vitale, no? -

- Vita vitale? -

- Guarda che non tutta la vita lo è; pensa ai centri commerciali nei pomeriggi di luce -

- Embè? -

- Sono pieni di gente anche la domenica, anche oggi. Pranzo, riposino, centro commerciale... -

- Sì, ma non vedo ancora il nesso tra questo, lo scrivere, il film, tutto -

- Aspetta. Allora, quella per me è vita poco vitale. Vita un po' subita, non del tutto vissuta -

- Magari loro la pensano diversamente, non credi? -

- Sì certo lo immagino bene, e ti dico che è per questo che non mi considero un fanatico -

- Ah -

- No, davvero: ho le mie idee che sento e sostengo, ma non le impongo o estendo al pianeta -

- Sì, capisco, ok. Vai avanti che ancora non vedo... -

- Bè allora, il protagonista vede questa vita incantevole e ci si tuffa, se ne bea, vi si abbandona -

- Sì ricordo: l'alce, la neve, la primavera, il fiume, la patata velenosa, lui che muore... -

- Sì, ecco, lui muore -

- 'azzo, è questo il senso? -

- E dai! Ricordi cosa fa prima di morire, lui che ha vissuto all'insegna dello stare da sé? -

- Da sé ed in mezzo a quel rigoglio magnifico, dici. Comunque no, non mi ricordo -

- Scrive sul libercolo una cosa semplice, terribile, immensa -

- Uh, e cosa? -

- Che la felicità per essere davvero tale deve essere condivisa -

- Ah già, è vero -

- Ecco, torniamo a questo: ai monti ocra pallido, con le loro creste di neve candida e dura che perdono calore ma acquistano intimità mentre la sera scende su questo velluto freddo e netto -

- E di là un l'apparente opposto -

- Già, come l'incendio di un universo, una fiamma che scaldi senza fiamma, un crogiuolo di metalli rari e magici dentro uno stampo di gelida terra già nera di una freddissima notte. Poche stelle minuscole come punte di spillo ed enormi di luce bianchissima -

- Bè, credo siano Venere e Saturno, ma è di sicuro qualcosa di bellissimo: mi ci perderei a guardarlo, son quegli spettacoli così... così eclatanti, ma anche così quieti ed intimi, che...

- Che? -

- ...che vorresti vicino chi ami... -

- Ecco -

- ...a condividerlo -

- Vedi? -

- Oh. Ah -


- Che freddo e che belli i profili dei monti. Una sensazione tiepida dentro e algida fuori, no? -

- Qualcosa di perfetto, così pulito che lo puoi solo vedere e vivere, nemmeno immaginare -

- Ma senti, e lo scrivere poi che c'entra? -

- Che scrivere significa condividere. Con chi legge, chi leggerà, chi solo lo potrebbe fare -

- Sì. Allora capisco -

venerdì 5 dicembre 2008

Uuuhh... le mutandine!!!!

Il post faceva schifo, e così l'ho censurato. Che nemmeno le mutandine erano gran cosa, poi.


Sogni

Un brutto male, fulminante in pochi giorni con quell'ineluttabilità illogica eppure lecita dei sogni. Medicine per rallentare il decorso, medicinali che disfano il fegato, e avverto la fine nei dolori sempre più vividi al fianco destro. Sto per morire, vedo qualche parente, parlo con mia madre, attendo. Sdraiato sul letto sono ormai alla fine della strada, così scoscesa che è facile ruzzolare là in fondo fino al traguardo. Sfinito, percepisco l'arrivo della morte come una pressione alle tempie e alle orecchie che mi ricorda i pochi secondi pima che l'anestesia facesse effetto. Sento la pressione crescere, mi dico è così che si muore, e sento in me la semplice curiosità per ciò che sta arrivando. Il mio pensiero, nel sogno, è sta capitando proprio a me, e adesso vedrò cosa davvero accada.


Mi sveglio, la pressione alle orecchie svanisce, rimango al buio nel letto solo pochi istanti, poi accendo l'abat-jour per assicurarmi che i contorni della mia esistenza siano quelli noti ed attesi. Pochi secondi solamente prima di spegnere la luce, girarmi, e tornare a dormire. Un'angoscia sottile mi abbraccia, quella di sperimentare curiosità per qualcosa che va invece tenuto il più lontano possibile.

giovedì 4 dicembre 2008

Sogni luccicanti

Vedo la vetrina, ne vedo il bel nome in caratteri pieni di grazie, così boemo, così agghiacciantemente chic e retrò che un brivido mi frizzola lungo la spina dorsale. Fumo una sigaretta nell'aria fredda, sciarpa ben arrotolata intorno al collo, coppola di lana un po' sulle 23, mani dietro la schiena a stringere il manico liscio, ponderoso, del mazzuolo da ferroviere. Una mano, due dita, afferro la sigaretta, la cricco lontano, passo il mazzuolo sul davanti, lo lancio in aria con la punta della scarpa, mi atterra solido sulla spalla, coppola piegata nella tasca dietro dei jeans, entro.


- Signore... ehm... desidera? -


Afferro il manico, inspiro, alzo il mazzuolo, mi volto a destra e Dio guarda che bellini questi animaletti così precisi, così luminosi, così sfavillanti, il gattino, l'uccellino, il cavallino, l'ippopotamino SBANG! Il pesciolino SCRIIIIIK! Il maggiolino SCRAAAACK!


- No Signore no la prego io chiamo la polizia... aiuto la chiamo guardi la chiamo sa!?! -


Mi volto a sinistra e ci sono piattini bicchierini mensoline cornicette SBAAAANG SPAM STRAAAAK! Coriandoli di luce acuminati, polverizzati, che schizzano tintinnanti ovunque. Polvere di diamanti nell'aria, e la mia opera continua, s'incendia, s'infiamma, s'ingigantisce. Un pezzo via l'altro, una faccettina squadrata via l'altra, un lampadario acuminato come la shuriken d'un maniaco che s'infrange che esplode che si polverizzaaaaaaaa-aaaaaaaaaaaaahhhh!


Ecco: oo odio gli SWAROWSKI.

Ziopporcone!

Contando che la caldaia in sé costa 1.300 euro, tubi e raccordi ammonteranno a un centinaio di euro, mi fa un po' senso la cifra riportata in calce al preventivo per la sostituzione della caldaia attuale: 2.850 euro. Più IVA. Arrotondando per ipereccesso il costo dei materiali diciamo che il preventivo ha 1.500 euro di hardware e 1.350 euro di manodopera. Più IVA. Contando che hanno detto che ci impiegherebbero mezza giornata, cioè 4 ore, e che la tariffa oraria è di 50 euro all'ora, fanno 27 ore di manodopera. Che ci stanno in una mezza giornata solo se:



  • si distorce lo spazio-tempo;

  • si contempa che a sostituire la caldaia vengano almeno in 6.


Il preventivo per il solo spostamento (di mezzo metro) dell'attuale caldaia implica 50 euro (forse) di materiale ed il resto manodopera. Ammonta a 750 euro. Più IVA. Ci impiegherebbero una mezza mattinata. 700 euro di manodopera significano dunque 14 ore di lavoro. Per farle stare entro una mezza mattinata (diciamo 2 ore e mezza) possiamo:



  • distorcere lo spazio-tempo;

  • contemplare che a spostare l'attuale caldaia si presentino in 5, forse in 6.


Ora, visto che di distorcere lo spazio-tempo pare non se ne parli per ancora qualche decennio, posso solo prendere atto del fatto che i caldaisti si muovono necessariamente in gruppi minimi di 5 individui. Bene, sociologicamente questo è senz'altro interessante. Nella pratica però, suppongo che mi terrò questa caldaia. E in effetti a pensarci bene, non mi dispiace nemmeno che stia proprio lì dove sta adesso....

mercoledì 3 dicembre 2008

Il grido

031208 - HomeTra muri alti e fradici, deflagrando le gocce di pioggia che investe, il grido corre attraversando la città. Corre su gambe lunghe e snelle e sotto colori vividi; corre stringendo parole tra le belle labbra, comprimendole dietro i denti, spingendole giù lungo la gola riarsa che ingoia aria fredda ed emette singhiozzi tiepidi. Il grido corre, il grido fugge dalla propria eco, dalle immagini che rigetta, dai disegni che teme. Il grido arriva qui in onde concentriche, ogni onda la cresta violenta della pioggia che flagella il cielo, inonda i campi, infuria i fiumi; tra un’onda e l’altra il tempo di tirare un sospiro, di cedere al sollievo, e poi subito a rifiutarlo, che si deve correre, correre, scappare, fuggire, correre gridando un lamento che sale, e sale, e sale ancora. Da qui lo sento, lo percepisco, mi investe lento e mi sussurra che stai male, mi dice che soffri, mi urla che non ce la fai più, mi grida che non ne puoi più e che vuoi solo tornare a casa, solo quello, solo sdraiarti e smettere di bruciare, smetterla di congelare, finire di sfinirti. Ma non lo sai, non lo vedi, forse solo non lo puoi accettare o riconoscere, dove sia casa.


Io non so cosa fare, non posso che volerti ancora bene, e se potessi scaglierei un pugno in questo cielo bello e terribile, scuro e affascinante come lontane Terre Rare; lo colpirei con tutta la forza dei muscoli, la nervosità dei tendini, la solidità delle mie ossa pur di spaccarlo e lasciar filtrare la luce. Ma non è la mia battaglia; posso solo volerti bene, un bene straziato per il tuo dolore.


Per un'amica...

martedì 2 dicembre 2008

Sonno

Ho sonno, un sonno boia, di quelli che mi stirerei a partire dagli alluci, a finire con le gengive, per poi riarrotolarmi su me stesso e godermi un divano morbido, il cielo grigio e rfilessivo, un libro invitante che riuscirei appena appena ad aprire prima di cadere addormentato. Aria di neve, quasi. Magari.


P.S.

Più mi piace la grafica di questo blog, meno questo blog è letto e frequentato. Più mi soddisfa ciò che scrivo, meno ciò che scrivo suscita interesse. Bravi tutti, chiudete la porta, ciao ciao.

lunedì 1 dicembre 2008

Estremismo: troppo comodi

Siamo troppo comodi, seduti qui davanti al monitor, per scendere nelle piazze; e siamo troppo colti, raffinati ed informati, per avere bisogno di scendere in strada ad annusare che aria tiri, a sentire la voce della gente, ad aggiungervi la nostra. Siamo troppo soli ed inermi, qui tutti insieme in questo cyberspazio iperraggiungibile per aggregarci davvero - corpi, voci, mani e occhi - e generare quella massa critica e pulsante che scatena i cambiamenti. L'Onda è la e-version del '77 e del '68, e tutta la forza che le manca è quella forza che abbiamo lasciato tra stringhe di bit a scriverne, strepitarne da una poltroncina imbottita, leggerne e raccontarcela. Ma il problema è ben oltre l'Onda, il decreto Gelmini, la riforma di scuole e di università, la politica ed il governo, l'opposizione e quant'altro possa venire in mente.  Il problema è che non siamo più capaci di reagire davvero e provare la strada del cambiamento: solo quando la massa di corpi, persone e volontà è così unita, coesa e ponderosa da spingere i singoli individui a identificarsi con un disegno ed un ideale, allora si intraprendono quelle scelte che comportano sacrificio e rischio ma che davvero spostano equilibri di forze e di realtà. Qui, giustificati dalla presunzione di saperne abbastanza e di fare abbastanza con un blog, un gruppo di supporto, l'affiliazione a una mailing-list, siamo sempre e solo singoli esseri che davanti alla scelta drammaticamente aut-aut finiranno necessariamente per rispondere a se stessi "ma in fondo, chi sono io, chi me lo fa fare a me di sacrificarmi davvero?".


E chi dovesse avere le chiavi per indirizzare a livello vasto e alto l'agitarsi dei nostri pensieri sulle trame della rete, avrebbe la chiave per farci fare, pensare, dire e credere ciò che vuole. E nemmeno sono sicuro che in parte questo già non accada. Il che mi fa sentire il primo degli imbecilli.


Questa è un'estremizzazione, sì, ma un'estremizzazione ancora una volta inutile, riportata qui nell'ennesimo, insulso, colorato blog di 'sta minchia!

Acido

Avrei voglia di scrivere un post bello acido, breve e stilettante, di quelli che fanno reagire le frustrazioni mattutine dei lettori casuali che di qui dovessero passare in cerca di altrui sventure che smussino le proprie.


Però, a parte che non ho voglia di iniziare una settimana lavorativa irta e densa di assoluta e totale mancanza di stimoli, (...) ho passato un bellissimo e semplicissimo weekend. Saluti.

venerdì 28 novembre 2008

Zuccheri silenziosi











281108 - Deserto
Un passo, passo, un passo, le vesti si gonfiano sul vento che soffia, un passo, passo, passo e le serro addosso, su questo deserto pesca, rosso e vasto, del quale sogno e nel quale mi lascio, e rilasso, mentre passo, un passo, e passo sulla sabbia smossa. Come un affresco, un dipinto sobrio a colori lisci sui quali passo, un passo via l'altro, senza ansie, senza angoscia. E sul pesca delle sabbie sale un azzurro ceruleo, grezzo come zucchero di canna, ruvido come garza su cui le nuvole ruzzolano morbide, portando sbuffi di zenzero, zafferano, vaniglia e semi di papavero. Incanto. Volo sul velluto di variazioni che riverberano, salgo alto sulla seta di suoni che blandiscono. E poi passo, passo, un passo dentro l'altro... via.

LA MUSICA CHE SCIVOLA LIEVE SUL DESERTO (Ravel, Bolero)

giovedì 27 novembre 2008

Banale, ma cybertrash-trendy

261108 - Voglie acideE' un fottutissimo fiume di umanità questo che ci sbalotta attraverso i giorni, e gli schizzi di questa schiuma esistenziale ci arenano in tanti anche qui, dove siamo tutti scribacchini di miserie pseudocibernetiche che si sentono un po' protagonisti e un po' partecipi. Ma, dico, in fondo a me piace così, che preferisco uno stronzo qualsiasi che s'impala in mezzo a un incrocio a guardare un sole di sangue, piuttosto che un gregge di caproni che trascinano il loro fetore sui marciapiede col pecorso illuminato come su un aereo che precipita nel nulla.


E dunque siamo qui a batterci pacche sulle spalle per riscaldarci, che è inverno e fa freddo, un freddo fottuto. Asfalto sbiancato dal sale e campi grigi come opere di arte imbecille in ferro e policarbonato, tutto così insulso che ti inchioda i pensieri e li amplifica in un rumore bianco infinito. Mani in tasca e cicca in bocca, rutto la birra tiepida della rosticceria vietnamita e la lattina centra quella cazzo di stella lassù, che però non c'è una volta che dia segno d'accusare il colpo, la stronza. Sarà che è una buona incassatrice, o che è una frigida starlette generata per fagocitare l'universo a suon di ammiccamenti, e ha uno scheletro duro come le ossa del tempo. Sarà quello, sarà, o sarà altro, e chi se ne frega dico io. La nebbia mi entra nel naso con le sue dita fredde che sembra mi voglia ficcar le unghie nel cranio, nel cervello, ed io rabbrividisco e m'affretto verso la mia visione. Che è sempre la stessa, poi: aprire la porta di casa e fottermene degli avanzi di cibo ed hardware che devo scalciare via tra moscerini ed altri esseri che sgambettano stizziti. Ficcarmi dentro il divano sfatto e accendere il proiettore stim, due colpi a quel vecchio cassone e poi far partire la proiezione Natalizia e rincoglionirmi nella sua simulazione VR, con 'sta velina del cinema muto (cioè credo parli, ma che cazzo dica non gliene frega niente a nessuno) che vestita da Babba Natala troia, mi ancheggia davanti e mi serve biscottini alla cannella e sidro norvegese, mentre mi slaccia la patta e finalmente mi inghiotte l'uccello in un pompino infinito. E invece son qui tra musiche e coriandoli di neve, gente allegra del cazzo e tutti quei colori morbidi e caldi che ti sembra di sfogliare il catalogo pantone alle pagine savana marziana. Fanculo al Natale, dov'è la mia fottuta troia col cappello rosso?

mercoledì 26 novembre 2008

Banale

261108 - Voglie


Come un fiume siamo in molti a scorrere dentro gli argini dell'esperienza quotidiana. E a scriverne qui. Quanti post su Obama a inizio novembre? Quanti su Halloween a fine ottobre? Quanti in questi giorni sui primi freddi? Tanti, tanti, tanti. Ebbè? Amo chi vive oservando il mondo, mi incanta chi cammina per strada guardando in alto, in basso, a destra e a sinistra. E talvolta queste persone ne scrivono suggerendo scorci e sensazioni che ancora non ho incrociato.


Bè, banale, ma fa freddo e arriva l'inverno, che mi si precipita incontro soffiandomi addosso aria gelida, le strade sbiancate dal sale sparso per combattere il ghiaccio, i campi che hanno perduto qualche tono di colore in favore di un'eterea tinta grigiochiara che lascia in sospeso i pensieri ed il tempo stesso. Cammino con le mani in tasca ed in cielo brilla una stella appuntitissima. Appuntitissima e bianca che può essere Venere, Giove, Saturno o chessoio. Soffio aria che viene portata via in un refolo corposo e bianco, sento suoni che giungono da lontano e mi godo la semplicità degli alberi denudati, scuri contro cieli bianchi, scuri tra nebbie ghiacciate. Ricado comodo dentro me stesso e penso e desidero incessantemente la medesima immagine: aprire porta di casa mia e lasciarci entrare a perdifiato il Natale, tra colori raggianti e musichette allegre. Parlare, sorridere, appoggiare la fronte al vetro freddo di una finestra e godere del contrasto tra il gelo ed il tepore della vita, così radiosa così tiepida racchiusa dentro queste mura. E poi voltarmi, accendere una sigaretta, assaggiare la cannella tiepida dentro un biscotto e versare un vino chiaro che in minutissimi schiocchi frizzi estatico e liberi aromi suadenti.


L'inverno ci riconduce a noi stessi. Questo inverno è il primo che io attenda trepidante dopo averne detestati molti.

ADHD

C'è il sole. Fa freddo. Tornerà la neve. Taglio rami secchi, amicizie stanche. Mi fa male il polso. Call-Center Enel: 1 essere umano e 2 imbecilli ogni 3 operatori. Dimagrisco, sono 68,6. Voglio cantare in una valle vuota. Brucerei gli ipocriti. Quelli di sinistra più di quelli di destra, sono troppo convinti. Amo i tubetti di liquirizia ripieni di roba colorata. Voglio camminare in Finlandia sulla neve, tra le betulle, sotto il cielo gelido. Voglio rileggere Smilla. Voglio l'Isola Stenstorp e la cucina Applad. Ma soprattutto:



  • mi hanno cercato da Ercolano:

    non mi guarda negli occhi, gli piaccio?

    Forse sì, forse gli stai sulle palle, forse non c'entra niente, ma in bocca al lupo.

  • mi hanno cercato da Dusseldorf:

    mia moglie si infila un cetriolo nella figa

    Se era una domanda, non credo di avere la risposta; chi è tua moglie, comunque?

  • mi hanno cercato da Stezzano:

    la vita è un valore assoluto?

    Era una domanda, ho la mia risposta: sì, lo credo, ma fatico ad attenermici.


Post sintetico per me e chiunque sia momentaneamente affetto da ADHD autoindotta.

Abbasso il pregiudizio!!!

Votando Luxuria all'Isola dei famosi si vincono i pregiudizi? Perché è questa inversione di causa-effetto che storpia tutto quanto ci si agita intorno. Si vota Luxuria all'Isola dei famosi così si dimostra a se stessi che non si hanno pregiudizi. "ma sì, in fondo è simpatico quella là, dai su Maria, telefona e votami il Luxuria" dice il Mario da Dalmine alla sua signora. E così entriamo tra gli illuminati. O no?


Partecipando al gay-pride, noi etero benvestiti da aperitivo ed Ikea, e salendo sui carri a ballare, vinciamo i pregiudizi? Parlo con amici gay e non uno si dice a favore di queste manifestazioni. L'opinione corrente e diffusa è vogliamo un'integrazione quieta e sostenibile, silente, l'unica che sia davvero tale, e non manifestazioni che imponendo la sopportazione e l'accettazine scavino confini ancor più profondi. Allora io chiedo agli etero che si sentono molto progressisti: se il mondo avesse un -1 davanti e fossero gli etero a doversi emancipare, voi vi sentireste rappresentati dall'etero-pride? Io no.


Per l'emancipazione della donna la strategia che abbatterà il pregiudizio del pensiero dominante maschile è l'istituzione delle quote rosa: dal parlamento all'intero arco costituzionale, dai livelli dirigenziali di imprese ed aziende di stato alla toponomastica (troppe troppe troppe strade con nomi di uomini...), e già che ci siamo anche tra barbieri, urologi e pure donatori di sperma, alè! Anziché formare individui con meriti e capacità assoluti, ratifichiamo promozioni pregiudiziali così da istituire rapporti numerici che ci reggano la maschera dell'integrazione sociale. E così avremo persone senza meriti e capacità incastrate in ruoli insostenibili; il tutto a maggior vantaggio del pregiudizio che ne uscirà rivitalizzato.


Credo sia la strategia vincente.

Indiscutibilmente vincente.

E quella sulla toponomastica è la proposta  reale di un(a) assessore di un comune toscano.

Passo di là

251108 - Vadodila


Tornò alla scrivania e guardò fuori: nevicava sui cactus intirizziti del davanzale; nevicava sulle foglie lucide della magnolia; nevicava in silenzio da un cielo basso e bianco, fiocchi scuri in falde larghe. Niente aumento. Undici mesi per avere una risposta e la risposta è no, ne riparliamo tra sei mesi. Avviò il programma di grafica, disegnò un rettangolo e gli applicò una texture a venature orizzontali; con l'aerografo fece intagli e nodi scuri, con luci e ombre trasformò il rettangolo in un tronco d'albero. Scovò nella rete foglie di acero rosse e fiammeggianti, le pulì del loro sfondo scuro, le accese ancora di più con saturazione e definizione, le copiò cento volte fino a incoronare il tronco con una chioma ardente. Distese uno sfondo quieto di sabbie ed arenarie, convinto che a breve ci avrebbe nevicato sopra. Ma la neve no, quella non l'avrebbe disegnata, l'avrebbe portata con sé da fuori. Poi salì sulla sedia, avvicinò il viso al monitor e appoggiò la fronte sul vetro freddo. E pian piano, sotto gli occhi esterrefatti dell'Onanista Azzannato, del Sistemico, del Mocassino Frustrato che erano stati chiamati a gran gola, si lasciò scivolare dentro l'immagine. E quando fu di là si voltò su se stesso e li vide, grandi e lontani, piatti e stolidi come dipinti vecchi su una tela che si disfa. Aprivano e chiudevano la bocca, gli occhi enormi e vuoti che andavano colmandosi di un orrore vacuo ed incredulo. Li salutò con la mano, fece per andarsene, ma poi tornò sui suoi passi e fece segno loro di avvicinarsi. Ce ne volle per convincerli ad assieparsi davanti al monitor, ma quando furono tutti lì troneggianti in cielo, alti come palazzi e vaghi come miraggi, lui portò le mani intorno alla bocca e vociò forte, poi sorrise...


...e dalle casse del PC uscì un lontano, spiraleggiante, fresco VAFFANCULO che odorava di neve incipiente, di bosco e di inverno. Poi riprese a camminare con le mani in tasca, mentre iniziavano a cadere i primi fiocchi di neve.

lunedì 24 novembre 2008

La neve, quasi

241108 - Snowwill- Ma come siamo finiti qui a parlare di Natale? -

- Non lo so, ma ho rinunciato a capirci qualcosa, è come fossimo pensati -

- Pensati? -

- Da qualcuno che ci scrive le battute, che ci pensa ma solo quando gli va -

- Già, vaghiamo, ci spostiamo, senza capire quando o come... -

- ...e la cosa strana è che non ci frega. Giusto? -

- In effetti sì. Ora c'è un sacco di gente, è una città questa, ma... -

- Ma non ti frega di fare domande, vero? -

- Già -

- Mh, a me nemmeno. Dici che nevica? -

- Secondo me ne ha voglia -

- Il freddo è quello che va bene, ed è secco -

- Tira pure aria, aria gelata che viene dal nord -

- Ed il cielo è di quel bianco tutto unito che promette bene -

- O male, a seconda dei punti di vista -

- Fai finta di non aspettarla con voglia, con anticipazione? -

- No, no. Ho voglia di freddo e grigio fuori, di luci calde dentro, di Natale e di inverno -

- Ecco sì, e anche io. E qui quelle promesse sono forti, come quegli addobbi ancora spenti -

- Sì, ma spenti ancora per poco. E una di queste sere si accenderanno -

- E sarà una magia: piccola, commerciale, consumistica, ma sempre magia -

- Mi piace il natale, e mi piace l'inverno -

- Anche a me -

L'acrobata felice









241108 - Contrasti L'acrobata che danza sul filo del cielo canta forte delicate canzoni. La sua voce roca spiraleggia e t'avvolge, nell'aria d'inverno si pulisce e sale alta. L'acrobata cade e ride, si rialza e salta. Aggrappato a un mare di roccia gialla, lui canta ancora e leggero sale, poi si tuffa beato nell'azzurro. Se gli chiedi perché, sorridendo ti risponde: « se non ami il vuoto, perché sei qui? »

sabato 22 novembre 2008

Libero

Quando una musica semplice accompagna la voce ruvida e dolce, e parole colte in frammenti sono schegge di luce che riflettono ciò che sei e senti... Quando il cielo è bianco anche di notte e l'inverno spinge via gli ultimi aliti tiepidi d'autunno, per sibilare gelido e silenzioso... Quando passeresti ore innumerabili a ripensarti, stringendo le braccia intorno al corpo e assopendoti nel profumo che ti accompagna...


...sai che manca qualcosa, sai che manca qualcuno.

E percepisci che è proprio questa mancanza il motore della tua ricchezza.

giovedì 20 novembre 2008

Questione di mode(lli)

Sì, ok, Amy Winehouse ha creato il trend (Nanni, sta' zitto per 'sta parola, mi stai pure sulle palle, scusa eh!) e Gabriella Cilmi (Sweet about me), Duffy (Mercy), Giusy Ferreri (Novembre) e chissà quante altre hanno seguito. Ma, insomma, meglio un trend che sa di piccoli club, fumo e gin, di strumenti che suonano davvero, di jazz e swing, che i balletti ovattati delle depilate Britney o le voci tutte belle tutte uguali R&B degli ultimi anni.


O no? Per me sì.

SWEET ABOUT ME, NOTHING'S SWEET ABOUT ME...

A nastro la ascolterei, a naaaastrooooo!

Se

Se un sedicente comunista / progressista dice, sebbene per scherzo, "quello è fascista e frocio, il peggio del peggio", non c'è qualcosa che tocca?

Mi mancava il GPS

Ho voglia di denudarmi. Non so perché, forse perché in palestra ti basta diventare amico del più gay dei frequentatori per trovarti sguardi curiosi, sguardi arrapati, sguardi sdegnati addosso e stasera, due ore fa, mi son trovato prima uno poi un altro bel fustacchione che mi misurava a occhiate l'uccello? Sarà questo, e poco conta che io sia etero, perché nel contempo sono sempre stato istrionico come una vera checca, e quindi sarà per questo, ecco forse, che ho voglia di denudarmi.


O forse per una sorta di catarsi, bruciarsi nella fiamma della verità come facevano i giganti della Landa nel rito della Caamora (leggere Stephen Donaldson per capire)? Non lo so, in fondo qui è casa mia e qui la luce c'è (nonostante i tentativi oscurantisti dei sistemisti di Splinder) ed il gas... bè quello no fortunatamente, mentre l'acqua è tutta in forme delle bottigliette da mezzo litro che fornisce gratis l'azienda (che umanità, no? Acqua e cesso gratis per tutti. Poco conta che da dieci anni, 8 ore al giorno, io lavori qui con un contratto Co.Co.Pro., e che attenda da 11 mesi e 2 settimane una risposta ad una richiesta di aumento).


Bè, se questo era il prologo, immagino che il post risultante sarà uno di quei papponi che minano aprioristicamente ogni scintilla di interesse in chi dovesse capitare qui (e non solo tra quelli che cercano figa con cetriolo o cetriolo nel culo). Vabbè, chissenefrega no? E infatti.


[inciso: a me i cetrioli piacciono nell'insalata greca, in pinzimonio con un denso balsamico modenese, a fette o liste grosse nel MoscowMule corretto di Bologna. Ma ammetto che ultimamente alla Coop scruto con interesse chi si sofferma a tastarli e soppesarli, e non una volta solamente ho colto sguardi lubrici e caldamente famelici... Mah!]


Dicevo allora, io cosa ci faccio qui? Dico qui in questo ufficio di un'azienda di software dove io ricopro il ruolo di Project Manager. Volevo fare il pilota di aerei da guerra ma ho abortito l'idea quando ha iniziato a diventare il fuoco sacro della paterna aspirazione ad avere un figlio eclatantemente fuori della norma. Così ho fatto il classico, fondamentalmente perché l'artistico era un liceo inutile ed il classico la cosa che più si avvicinasse - nella mia strana sequela di circonvoluzioni sinaptiche - all'High school for performing arts di New York, cioè in due parole: Saranno Famosi. Dopo il classico, il rigetto per le materie umanistiche ben pasciuto da quel bove di professoressa di italiano e latino che ho avuto nei tre anni di liceo (dopo i due di ginnasio, che non so più se esistano o meno) mi ha portato a iscrivermi a ingegneria informatica. Qui, recitando uno dei cliché più triti della storia ma anche più dannatamente angoscianti, ho finto una carriera universitaria di spicco che nella pratica era a dire il vero rappresentata da un solo tentativo ad un solo esame. Insomma due giorni prima di scendere a Bologna per vedermi discutere la tesi mio padre si vide recapitare una raccomandata dove gli dicevo che non mi sarei laureato. Ancora non sa quanti esami io abbia dato (zero) ma il tutto finì nel prevedibile dramma risoltosi poi dopo lunghi anni di alti urli e sporadicissima frequentazione. Il tentativo di dare l'esame di fondamenti di informatica I mi scatenò però la passione per il computer, e così da autodidatta appresi a programmare in alcuni linguaggi, studiai reti e protocolli, e diventai per una serie di buchi di culo il consulente informatico di un Comune dell'hinterland bolognese. Continuai a studiare e finii a fare anche il programmatore part-time in questa azienda. Poi mi scassai le palle del Comune e qui diventai full-time. Poi mi scassai le palle di programmare e studiai e diventai sistemista. Poi mi scassai le palle del mio capo diretto e fui riconvertito a ruoli più variegati. Poi sul progetto sul quale lavoravo a tempo quasi pieno si scatenò un ciclone di casini e io fui promosso sul campo a capo-progetto: spala merda e goditi l'odore. Reagii bene, e diventai project manager per tre progetti. Lo sono anche ora. E non mi frega una mazza di questi progetti, odio il computer, ma coltivo la passione per la grafica, il design (non pratico, professo e basta, bisogna studiare troppo per quello), e la web-art. Penso che sarei davvero bravo, ma penso anche che se tornassi indietro rifarei il classico e poi mi iscriverei a lingue. Ben consapevole, diciamolo, che non ho mai avuto né mai avrò la costanza per portare a termine un corso di laurea. Tutti gli afflati per l'estero, l'andarsene, il tagliare i ponti non mi hanno soffiato via di qui e qui sono, con radici sempre più fonde sebbene un po' asfittiche.


Vista la sequenza di casualità e di scelte non scelte che mi hanno portato a essere quello che sono, mi chiedo che cazzo sarei stato se avessi avuto un GPS esistenziale dalla maturità in avanti, tale da illuminarmi la strada al punto da consentirmi di seguirla come più o meno ho tante volte immaginato in fase progettuale.


La risposta è: boh!

mercoledì 19 novembre 2008

Basta poco che ce vo'?

Uno sfogo come tanti, ma è il mio turno stavolta...


Provate voi a entrare in una casa che avete preso in affitto e dove i contratti gas ed elettricità sono stati disdetti. Sembra facile, sembra, ora con il libero mercato scegli il fornitore più conveniente o più simpatico, chiami, addirittura puoi fare online, ed ecco che ci sei. Sì. Finché sul modulo online non ti trovi a dover riempire il campo "codice cliente". Come codice cliente? Io non sono cliente, io lo voglio diventare, un clinte! Vabbè, chiamiamo il numero verde di E.On.



  • E.On dice: « ah, deve riattivare i contratti. Fosse solo gas ok, ma per l'elettricità deve rivolgersi a Enel direttamente. Magari li riattiva tutti e due con Enel, aspetta qualche mese, poi li gira su di noi. »

  • Enel dice: « Comune di San lazzaro di Savena? No, deve sentire Hera, noi non siamo competenti »

  • Hera dice: « Ok, abbiamo trovato il gas e possiamo spiombarlo solo noi, ma per l'elettricità è Enel che è proprietaria delle linee, possono fare solo loro, li chiami e insista. »

  • Enel dice: « No, non mi risulta nessuno, ma non è che è la vecchia Enel? Ah, sì, non lo sa, adesso siamo in due, noi di EnelEnergia per il libero mercato, e la vecchia (cara?) Enel, senta da loro. »

  • Vecchia cara Enel dice: « Certo, facciamo noi, il Codice Cliente? Ah non ce l'ha, allora il codice fiscale dell'intestatario precedente. Ah, non ce l'ha, e il codice del contatore? Ah, è piombato e non si attiva il display? Ah, e non può recuperare il codice cliente? Allora no si può fare. Ah, lei dice, se il vecchio intestatario è morto o sparito... Eh, no, con solo il nome e l'indirizzo non riesco a fare la ricerca. No signore, stia calmo, ma senza il vecchio intestatario... No, non urli signore, non urli, come dice? Ah dice che non è possibile per un cazzo che non ci sia un modo di sbloccare la situazione e che l'unica fonte di energia elettrica per quell'appartamento possa essere ora e per sempre una bicicletta con dinamo... Ah bè, un attimo, ecco, mi sa che le mando un tecnico. Ecco, mi dia il suo codice fiscale ed un recapito telefonico e la richiamiamo... »


E io aspetto che chiamino, mentre ancora non ho capito quale cazzo sia la società che gestisce l'acqua. Ma l'acqua almeno non è chiusa, e quindi al momento me ne foottoooooooooooooooooooooooo!!!!

Paradigma

facio: -is | feci | factum | facere


Ecco, solo che non c'entra nulla. Invece un bel paradigma di quel decrepito modo di essere e ragionare che guida l'Europa e, in Europa, l'Italia sopra molti altri paesi, è rappresentato dalle strisce pedonali:



  • l'automobilista dovrebbe fermarsi e lasciar attraversare chi ne palesi l'intenzione, ma quasi mai lo fa anzi, per evitare fraintendimenti, spesso accelera e romba: occhio te, passo io;

  • quando riesce il passante attraversa guardando l'automobilista come fosse un castrato, con sguardo di sfida e derisione e caracollando il più lentamente possibile: aspetta pure, stronzo;

  • all'occasione successiva l'automobilista col cazzo che si ferma: ma vaffanculo, non ci penso proprio;

  • all'occasione successiva, se anche passa un solo veicolo in 3 chilometri, metti che il passante abbia il pulsante magico del rosso a portata di dito e lo schiaccerà venendo nei pantaloni: coglione, mo' ti fermi sai, stronzo!


Insomma, un gran circolo vizioso decisamente fecale.

martedì 18 novembre 2008

Humanamente humus

Al tuo cane non frega niente del suo compleanno. Non lo sa nemmeno cosa sia un compleanno. E ancor meno gliene frega ai cani dei tuoi amici. Fidati, credici, è così. La bellezza del tuo cane è che è un cane, e proprio per questo dovresti trovare un equilibrio decente anche di fronte a madre natura tra ciò che a te manca (un uomo? un figlio? qualcuno che dipenda da te?) ed il rispetto per gli esseri viventi. E se un gatto fa le fusa e miagolicchia quando ha fame, e poi non mi caga per il resto del tempo, io dico evvivaaaaaa!!!! E' un gatto, e non è stronzo se non risponde alle mie necessità di avere uno scaldaginocchia portatile o un bambolottino morbidoso che fa miao miao!


Integralisti della dolcezza, fanatici dell'amore per gli animali, andate a culoooooo! Amate solo voi stessi, solo ciò che vi assomiglia ed è riconoscibile e prevedibile, e usate ogni stratagemma noto per stuccare le falle di quel colabrodo che è la vostra vita affettiva. Lasciate in pace gli animali, imbecilli! E se assumete la responsabilità di gestire la vita di alcuni di loro, lasciate che la vita se la vivano come preferiscono, con il vantaggio del vostro affetto che si traduce anche in cure materiali. Il resto è sopraffazione, stupidi egoisti egocentrici!


(un liberatorio sfogo dopo aver sbirciato qualche blog a caso e aver visto in strada un tipo che picchiava su muso il suo labrador perché voleva inseguire un altro cane, dicendogli "ma non ti vergogni?". Come no, idiota, certo che si vergogna! Anzi stasera per farsi perdonare ti prepara pure uno spuntino, eh? Coglione!)

Li sentivo 20 giorni fa...

181008 - Pumpkin181008 - Pumpkin 2- Che ti ridi? -

- Come che mi rido? -

- Che ti ridi?? -

- Son contento! -

- E perché? -

- Che domande... -

- Perché sei contento?? -

- Ma perché no, scusa? -

- Eh, va' che faccia che c'hai! -

- Ah bè allora... -

- Che vuoi dire? -

- No no, niente niente... -

- Niente niente un corno! -

- Eddai su -

- E no adesso tu mi dici! -

- Oh, e basta eh?! -

- Basta un corno, dimmi! -

- Dico, mi vuoi lascire in pace? No insomma, ero qui sereno e felice, tu che vuoi da me? -

- Voglio sapere perché sei contento e poi cosa intendevi, dopo! -

- Ooooh uffa! Vabbè allora, ma dico, parli tu della mia faccia?? -

- Eh, sembri scemo! -

- Io eh, ma ti sei visto tu? C'hai un dente messo lì a caso, metti l'apparecchio no? Garr garr... -

- Ah, parli tu! Di denti ce n'hai due tu! Diritti eh, ma due!  E uno secondo me lo perdi pure! -

- Come lo perdo?? -

- Guarda lì, è mica attaccato sai quello lì!? -

- Ohmmerda! -

- Ecco, vedi, se non mi rompevi vivevi nell'ignoranza! -

- E bè e allora che c'hai tu da essere contento, eh?! -

- Che son qui e parlo e me la rido, anziché essere risotto! -

- Ah... -

- Eh, ah! Ah un corno, dico io stavolta -

- Bè, a me mi volevan fare nei tortelli -

- Oh. Con gli amaretti? -

- Già... -

- Minchia, t'è andata bene -

- Eh sì, puzzano quelli. Vabbè che tu col burro, la cipolla e tutto il resto... -

- Meglio che i tortelli -

- Ma, insomma... -

- Eh, 'sta fava insomma! -

- Vabbè. Ma senti, e ora? -

- Ora ce la godiamo, stasera siamo i re -

- Oohh... Ma sai che hai ragione? -

- Ma va'! -

- I re... -

- I re! -

lunedì 17 novembre 2008

Gosh!

Che piaccia o meno - de gustibus e tutto il resto - accetto con malanimo la scottante verità che io non sono né mai sarò uno scrittore; PULSATILLA - che a me per inciso piace - sì. Basta leggere due righe per capire l'una e l'altra verità.


Peraltro (come di solito chiudo immusonito simili discorsi), io sono un semi-informatico parzialmente frustrato, lei una scrittrice intera e, le auguro, tanto fresca quanto a lunga conservazione.

Yin e Yang

171108 - Fiamma fredda171108 - Ghiaccio caldo


Ogni cosa contiene il seme del suo opposto. Non so quanto sia vero, so che il cielo magnificamente infuocato dal tramonto si stendeva su una Vicenza che si raffreddava rapidamente nella sera, e so che le impressioni di azzurro e blu del Garda si specchiavano abbacinanti in un pomeriggio caldissimo tra roccia, sorrisi e silenzi. Belle sensazioni, fragranti emozioni, piacevoli compagnie. E ora, la voglia di incastrarmi dentro i 5 giorni di questa nuova settimana cittadina, professionale, produttiva, è tendente a meno infinito. Anzi, anzi... Sento quel germe di rivolta che talvolta mi prende, che mi insinua il dubbio che ciò che accettiamo che diventi la nostra vita per la maggior parte del suo tempo non sia poi la vera unica scelta possibile. Ma fintanto che son qui, dietro a questo computer, significa che in fondo ci credo abbastanza.


Anzi, troppo.

Sono così?

Fermi al distributore sono solo nell'abitacolo, seduto al posto del passeggero, e attendo che finisca il rifornimento. L'isola con le pompe di benzina mi divide da altre due vetture. Un sessantenne con una grossa pancia, un buon vestito ed un'espressione per niente sveglia va verso il mangiasoldi, ci infila una banconota e tornando all'auto scivola, s'avvita, e tonfa lungo disteso a terra. Ora ne vedo i piedi distesi e dall'auto che precede quella del maloequilibrista scende a razzo un tipo: "signore, come sta, tutto bene?". In 2 secondi sono in tre ad alzarlo e sorreggerlo. Esco anche io, guardo il panzone con l'aria rintronata, guardo il mio compagno di viaggio con la pompa in mano: "sei pronta, hai finito? Ok, andiamo".


Non era paura dell'orrore o del dramma, né imbarazzo, né quel piccolo shock che di fronte a fatti imprevisti talvolta lascia inermi per alcuni secondi: era solo che proprio non me ne fregava niente di niente. Sono sceso dall'auto solo perché la solerzia degli altri soccorritori mi ha mosso a fare quello che si ritiene uno debba fare: preoccuparsi, interessarsi, prestare aiuto. Ci ripenso anche oggi, e proprio non riesco a fare altro che pensare, pianamente, che non me ne fregava una mazza.

venerdì 14 novembre 2008

25.7.2003

Scrivevo così:


Ciò che non voglio è la gratitudine di chi amo

e nemmeno crediti che un giorno riscuoterei

preferisco un debito che mi rammenti un amico

a mille “grazie” che stagnano nell’aria


Ciò che faccio è fatto solo per me

ogni mano che porgo è per sollevarmi

perché senza mirare a me stesso

smetterò di raggiungere ogni altro


Così non dirmi “grazie” per un bel dono inatteso

né pagarmi in gratitudine per l'aiuto che t'ho offerto

perché davvero sono io l'unico obiettivo di me stesso

e solo così sarò anche quieto percorso per altre mete


L’egoismo non è fare tutto per se stessi

l’egoismo è fare tutto per chiunque altro

e potersi poi sedere, affranti ed esausti,

a rimuginare petulanti su ciò ch’è perduto

chiedendo, urlando e poi pretendendo

che altri ci regalino un po’ di quel che sono


Così non dirmi grazie se ti offro un’emozione

perché per donarla l’ho prima colta e vissuta

né sentirti in obbligo di restituire il favore

poiché prima dovrai renderlo a te stessa


Non possiamo dare ciò che non abbiamo

perché svendiamo possedimenti altrui

coltiviamo invece tutto ciò che siamo

e saremo capaci di donarci all’infinito


E rileggendola oggi, casualmente, scopro che il senso mi piace ancora parecchio.

A mente libera e sbrigliata mi sento il cavallo bianco del badedas che corre sulla spiaggia. Ma pelato. E quel cavallo mi ha sempre ricordato Vidal, Gore Vidal, ma non so perché. C'era un bagnoschiuma che si chiamava Vidal? E ricordo il Vividop, lo shampo preferito dai non-morti. Ecco, gli zombie: devono essere stupidi e lenti, sennò non va bene, no, non è così che si fa. A parte questo, Le Notti di Salem è un romanzo sui vampiri di King che mi ha terrorizzato; sembra una cazzata, il vampiro, a fronte di minicinesini nerastri che ti fissano dal soppalco o di stronzette coi capelli unti che si muovono a scatti e devono essere così crostolose di brufoli da non scoprire mai il viso... Però quel libro mi terrorizzò. Se non fosse il mio blog non ammetterei mai che per anni ho poggiato la spada che mio padre mi portò da Toledo, con fregi d'argento su elsa e paramano, contro la finestra. Dico, più sbarramento di una croce d'argento checcazzo ci può essere... E, diciamocelo, avevo 12 anni? No. Ne avevo 15? Noooo! Ne vevo 20??? Ecco, sì, in effetti sì. Ma poi anche oggi guardo sempre sotto il letto; finora ho scorto solo ciuffi di polvere che carambolano, ma non si sa mai, un giorno mi sporgerò a spiare sotto il letto e incontrerò due occhi enormi e bianchi, un urlo si alzerà nella mia gola mentre una mano mi afferrerà la faccia e mi trascinerà là sotto.


Detto questo, ricordo che:



  • tutti son capaci di fare una bella foto in bianco e nero;

  • è molto più facile far piangere piuttosto che far ridere;

  • son tutti froci col culo dell'attri;

  • non ho ancora conosciuto un gay che non vedesse un esibizionismo autolesionista e autodiscriminatorio nel Gay-pride e nelle manifestazioni ad esso connesse. Sarà un caso.

mercoledì 12 novembre 2008

Sistemi planetari

121108 - Diosperoi


 


 


   

   

   

L'albero di cachi ha perduto quasi tutte le foglie, che ora sono una distesa umida e variopinta che si disfa lenta sul terreno scuro e molle. Palle di arancione ancora slavato si aggrappano ai rami spogli che salgono diritti verso il cielo; sembrano pianeti nel nulla senza gravità di un universo grigio e monòcromo.


Sfere grosse e colorate, così sole lassù in cima e così gonfie di polpa.


Mi fanno gola, ma mi sento quasi un mostro.

Mi fanno simpatia, e le accarezzerei e coccolerei.

Vorrei dir loro parole gentili, che sono una magia semplice e bella...

    

Libertà perduta

La sensazione di libertà che provavo ieri sera è oggi svanita. La percezione piena di essere senza limiti, sciolto da legami, libero di fluttuare e pendolare in ogni direzione, in ogni dimensione. Oggi niente, seduto qui, sento i soliti confini che mi aderiscono stretti, che mi danno sicurezza ma pure mi impediscono di trasformarmi, muovermi ed elevarmi senza freni.


Insomma, un pelo più prosaicamente: ieri mi son scordato le mutande di ricambio e così dopo la palestra ho messo i jeans a culo e uccello ignudi. Figata, ballava tutto quanto (ma a star seduti ci si schiaccia parecchio le palle). Bonjoooooour finesseeeeeeeeeeeeeeeeee, oggi la va comme ça!


MM XXIII

Numeri...


  • 316 post

  • 1.096 commenti

  • 12.077 visitatori


Aprendo questo blog volevo solo urlare più forte. Cosa di preciso non lo so. Forse, a maggio, solo il turbinare di emozioni contrastanti ed altalenanti sulla scia di abitudini così nuove da non poter ancora essere definite tali: nuove amicizie, nuovo sesso, alcune ragazze come meteore (e bene che siano state tali, direi, tutte quelle che... tali sono state). Non credevo avrei continuato a scrivere, però. E se l'ho fatto e continuerò a farlo è per tre motivi soprattutto



  • la possibilità, qui, di cazzeggiare con la grafica del template;

  • la lusinga dei numerini del contatore che salgono (a volte pressante, a volte dimenticata, questa lusinga);

  • la voglia di autorizzare  (dare autorità, ufficialità, spazio e respiro) al massimo grado del mio possibile (a) ciò che scrivo e che, talvolta, mi piace pure.


Guardo quei tre numeri lì in cima e mi chiedo che senso abbiano. O, meglio, se un senso ce l'hanno. Forse l'unico significato però è, in effetti, che ancora una volta sono qui a scrivere. Perché mi va.


        317

martedì 11 novembre 2008

La neve, quasi

111108 - Wet- Ma allora qualcuno c'è -

- Evidentemente... E almeno sembra gentile -

- Gentile? -

- Ha lasciato pane e frutta secca -

- Ha lasciato, dici? -

- Dico di sì -

- Quindi secondo te sa di noi -

- Secondo me sì -

- Non so se mi inquieta... -

- ...o se ti fa sperare. Giusto? -

- Già -

- Di sicuro, a pancia piena si sta meglio -

- Ah, parecchio. Riprendiamo il cammino? -

- Andiamo allora. Sigaretta? -

- Adesso sì -


 


111108 - Flames


- Inizia a fare freschetto -

- Sì. C'è quasi aria di neve -

- Sì, quasi: è la nebbia -

- Ma tu non lo senti odore di legna? -

- Legna che brucia, dici; tipo fumo? -

- Esatto -

- Non mi pare -

- Boh; comunque fa fresco -

- Direi che siamo in autunno -

- Così sembra. Mi piace come stagione -

- Anche a me -

- La nebbia che attutisce i sensi... -

- Le foglie come pezzetti d'oro... -

- Scaglie d'oro, ma anche braci ardenti... -

- Frammenti d'oro e braci che ardono, ecco -

- Sarà quello l'odore di legna che brucia, le foglie? -

- E chi lo sa, potrebbe... -

- Guarda là, quelle lì, guarda che belle quelle foglie rosse e gialle -

- Uuuhhh, bellissime. A vederle così, se le tocchi, sembra che ti bruci davvero -

- Eh, sarebbe una magia, la magia dell'autunno: ogni stagione il suo incantesimo -

- E non l'unica: i suoni, hai presente? I suoni che vanno lontani... -

- ...ma che arrivano rotondi e delicati, ammorbiditi dalla nebbia. No? -

- Proprio così, rotondi e delicati, ma luuuunghi e che vanno lontano -

- E gli stormi di uccelletti che migrano, puntolini coordinati... così belli tutti insieme -

- E la prima nevicata dell'anno? Dì quel che vuoi, alla fin fine è sempre magica -

- Sì, anche per quelli che si lamentano noooooooooo, la neve no! -

- Eh, proprio così, proprio vero -

- Alla prima nevicata vedi tutti sorridenti: nonni, nipoti, autisti e spazzini -

- Pure chi non vorrebbe: lo vedi che allunga il piede a pestare compiaciuto la neve... -

- E poi rende tutto così diverso; semplice, bello, quasi nuovo, ecco -

- Sì, nuovo e un po' misterioso, foriero di meraviglie. Con quell'odore tipico e speciale -

- L'odore, già, l'odore della neve. Come lo definiresti tu?? -

- Uhmm, non so. Di pulito, forse... -

- Pulito, ecco sì: odore di pulito.  E odore di freddo -

- Allora, odore di pulito e di freddo. Bello, rende.  Ma anche... odore di vuoto -

- Vuoto? Il vuoto ha un odore? Wow, non l'avrei mai detto ma ci sta, diavolo sì, è quello! -

- Eh! -


- Senti... -

- Dimmi -

- Laggiù, non è una luce? -

- Sembra anche a me... -

Tessuto

111108 - Fall


Le foglie gialle degli alberi,

contro il cielo grigio di nebbia

sono disegni di oro zecchino,

intessuti su cuscini di raso


Le chiome gialle degli alberi,

tessute su trame fitte di nebbia

sono magnifici ricami dorati

drappeggiati su cuscini di raso


Le chiome gialle degli alberi,

nel cielo attutito di nebbia

sono cesellature d'oro zecchino,

poggiate su cuscini di velluto


Le chiome gialle degli alberi,

contro il cielo tenue di nebbia

sono cesellature di oro zecchino,

poggiate su cuscini di raso 

sabato 8 novembre 2008

Basito

Chiacchiero con una cara amica che, di simpatia politica antitetica rispetto alla mia, è una persona intelligente e che apprezzo ed ammiro per mille motivi. Così, mentre le chiacchiere fluivano, quando accenna a "e la storia di Berlusconi" io alzo gli occhi, lei si interrompe in attesa del mio commento, ci guardiamo e poi taciamo, perché capiamo che lei pensava forse di trovare una reazione in linea col suo non-detto, ed io mi ingannavo su quale prosecuzione avrei trovato nelle sue parole.


- Eh, che gran coglione, ma non mi vorrai dire che tu... -

- Anche tu uno di quelli che... Ma è solo una battuta, non ci vedo niente di... -


Detesto Berlusconi poco di più di quanto io non detesti il 90% della classe politica italiana. Ma è oggettivo che chi ricopre una carica pubblica non può concedersi la libertà di esprimersi come uno che va a prendere il bianchetto con gli amici del bar. Battuta pecoreccia ma in fondo leggera in sé, il fatto che venga dal primo ministro italiano la porta ad una soglia di risonanza mondiale dove queste parole hanno come pubblico e platea interi paesi, intere popolazioni, dove la questione razziale è ben più profonda, pregnante e partecipata di quanto non lo sia da noi.


Ma mi inquieta un commento letto non ricordo dove... Mettiamo che Berlusconi non sia quell'orbo senile ormai pieno di se stesso fino a scoppiare che pare. Se davvero avesse fatta sua la strategia dei tempi di Reagan "dai ai media una notizia al giorno, che di quella parlino, si interessino, scrivano contenti, dimenticandosi di andare a fare domande che altrimenti non potresti controllare"?

venerdì 7 novembre 2008

Perché io...

...sono più incazzato di te!


Ah sì? Allora senti, vai a cagare tu, la tua incazzatura, la cremeria e la caffetteria, i tradimenti e le delusioni, l'imbecillità e il non offendersi, l'attaccare quando si è in difesa, l'acida depressa repressa che mi accusi di essere quando agisci come un'isterica acida depressa e repressa. Mi hai rotto il cazzo tu, questo lavoro, questa azienda, i colleghi che si fanno le seghe e quelli che scopano da cinque anni. Mi avete rotto i coglioni tutti quanti e fosse per me spanderei benzina in lungo ed in largo, vi rinserrerei dentro questo cazzo d'acquario, e getterei un bel fiammifero a farvi compagnia. Rompicazzo! E vaffanculo!

Dicevamo...

Allora grossa massa di laureati in coglioneria, siete ancora tutti là a lamentarvi per quella fine battuta sull'abbronzatura del nuovo presidente USA? ...

MM XXII - Illuminatemi

L'analisi delle chiavi di ricerca è foriera di notevoli scoperte. Dopo ILLUMINARE IL CETRIOLO (rank 1) ora posso annoverare anche IL SIGNIFICATO DEL CETRIOLO (rank 1 + 2). Insieme ai più prosaici MOGLIE CON CETRIOLO (rank 2) e VOGLIA DI GODERE CON CETRIOLI (rank 2 + 3), queste rivelazioni (illuminazioni, direi) mi portano inevitabilmente a considerare che le cose non sono mai semplici così come possono apparire.

giovedì 6 novembre 2008

Matrix, quasi

061108 - Microcity- Si rannuvola di nuovo -

- Già, speriamo non piova -

- E mi sta venendo fame -

- Pure a me. Possiamo brucare l'erba... -

- Allettante -

- Vuoi una sigaretta? Io sì -

- No basta, mi brucia la gola -

- Aaahhh... Almeno il fumo! -

- E quando le avremo finite? -

- Saranno finite, peggio di così tanto... -

- Mi tormenta una cosa, sai? -

- Mmmh, dimmi -

- E se fossimo malati? -

- Tipo Parkinson? Già esplorata l'ipotesi -

- No, non così, ma tipo diabetici o comunque roba che dobbiamo prendere medicine ogni giorno -

- Boh, non possiamo saperlo, ma perché te lo chiedi? -

- Bè, se poi non le prendiamo, le nostre medicine, magari poi ci crepiamo! -

- Eeeeeh? -

- Eh cavolo, sì! -

- Scusa, siamo qui in un sogno mezzo incubo, sballottati nel nulla, ai confini della realtà... -

- Eh! -

- Un corno! E tu ti preoccupi di medicine che non sai se devi prendere. Ma manco sai se sei! -

- Bè ma che c'è di strano?! E' la mia vita, la tua! -

- No, dissento: non lo sappiamo se siamo vivi. Magari guidavamo, ci siam scontrati, e siamo morti -

- Oh. Non ci avevo pensato... -

- Bè, tu non mi hai dato la precedenza, ci credo. -

- Eeeeh? -

- Scherzavo.. -

- Ah -

- A me invece veniva un dubbio -

- Cioè? -

- E se siamo programmi diventati senzienti? -

- Cioè? Che dici? -

- Tipo... hai visto Matrix? -

- Sì. Oh cavolo, sì -

- Ecco, tipo l'agente. Magari siam diventati autoconsapevoli e tutto questo lo facciamo noi -

- Uhmmm, non mi convince. Senti, quanto fa 298 * 45? -

- E che ne so!? -

- Un programma l'avrebbe saputo, ecco vedi?! -

- Questa mi pare una grossa cagata -

- A me quella dell'essere programmi... -

- Bè; forse. Però pensa: niente corpo, anima, niente di niente... - 

- Mi angosci... -

- Solo un programma, scritto da qualche nerd che beve Coca, e vivi dentro cavetti e chippettini -

- Brrr, che schifo -

- Sì, in effetti... -


- Ho male ai piedi... -

- Guarda là, cos'è? -

- Non lo so, ma è qualcosa. Ciiicciiii vieni qua dai! -

- Io vado a vedere -

- Che, e io no?! -

Una di quelle...

Una di quelle giornate nelle quali sceglierei l'umore dopo aver scelto la canzone da ascoltare, ma né l'uno né l'altra sarebbero scanzonate. Una di quelle giornate nelle quali viene da stringersi le braccia intorno al corpo e piegarsi un po' in avanti. Una di quelle giornate nelle quali sei sempre 3 centimetri fuori del tuo corpo e della tua testa e ti vedi fare e pensare cose che non ti appartengono, né ti interessano.


Una giornate di quelle lì insomma, quando è come avere un pezzo di carne incastrato tra i denti e non riuscire a toglierlo. E vabbè.

Oz, quasi...

051108 - Mattoni rossi


- Ohmmerda, questo poi no! Dio, io mi sento male -

- Porc.. Ma ... come...? -

- Io mi sento male -

- Ma dico, abbiamo mangiato un BigMac. E basta! -

- Eh, e allora che c'entra?? -

- Che ne soooo! -

- Dici che è colpa della digestione?!? -

- E come no. O della ciambella -

- Già, la ciambella andata a male... -

- Ecco, proprio quella -

- E sì: entri al Mac di sera ed esci che è giorno... -

- Miiinchiaaaa -

- Io mi sento male... -

- Io pure. Mi siedo. Ma... oh, bè, e Cicci? -

- Ancora 'sto cane? -

- Cicciiiiii? Ah, eccoti -

- Guardalo, se ne frega lui -

- Ma povero, è un cane, che deve fare? -

- Eh, il Cicci. Come fosse niente per lui. Mah.. -

- Vieni bello, ecco; ti piacciono le carezze eh? -

- Le carezze... -

- E i grattini? Ooooh bravo, che figo che sei! -

- Oh, te? Dico a te! -

- Ehi, cosa? -

- No dico: qui non ci si capisce una mazza, impazziamo, e ti preoccupi dei grattini?? -

- Allento la tensione -

- Coi grattini? -

- E perché no? -

- Bè bene: vuoi allora che te ne faccia uno anche io, magari? -

- Eh, magari sì, qui dietro le scapole che mi sento rigido -

- Sì, e poi ti lancio un bastone, anche -

- Ahh.. -

- Ecco. Bè, io fumo, tu? -

- Io anche, ma non ho le sigarette -

- Io sì, tieni. Qui, l'accendino, ecco dai a me ora, grazie sì -

- E se fosse Parkinson? -

- Perché, tremi? Io non tremo -

- Ah, no, allora l'altro, Alzheimer -

- Non può essere -

- Perchè? -

- Alzheimer di coppia? Mai sentito. -

- E chi dice che è di coppia, magari tu non esisti e io sono gravemente malato -

- Magari tu non esisti! Ma senti questo... -

- Gli alieni? Un esperimento? Che lavoro facevi tu, magari lavoravamo insieme... -

- Io? Già, non lo so mica ora che ci penso -

- Ma cosa sai fare, scusa? -

- Che cazzo di domanda, cosa so fare, so respirare parlare mangiare non capirci un cazzo! -

- Ecco, bè quello pure io... Allora eravamo colleghi! -

- Eh, eheh, già -

- Eheh, eh sì eh? Bè, almeno c'è il sole. -

- Un gran sole, diciamo bene, guarda qua sembra il Mago di Oz -

- Perchè? -

- L'hai mai letto? -

- No -

- Io nemmeno, ma ho visto il filmetto. Sai il delirio, 'sta cosa, smeraldi e cazzate varie... -

- Ah bè allora: delirio, smeraldi e cazzate varie. Bel film -

- Vabbè lasciamo perdere, e ora che facciamo? -

- Eh, e ora camminiamo, mica possiamo fare altro, il Mac è chiuso e non c'è un'anima -

- Chiuuuusooooo??? -

- Guarda... -

- Merda! -

- Ecco, a proposito, io avrei bisogno... -

- Pure! E  allora andiamo a cercare qualcuno, qualcosa, un bar... Chessò ci sarà qualcosa! -

- E andiam pure, ma dove? -

- Vieni qua un attimo -

- Dove? -

- Qui dietro, guarda -

- Oooh, che bello! -

- Andiamo di qua? Sembra la strada di mattoni rossi di Oz -

- Rossi? Non mi suona, ma vabbè -

- Come sei prosaico, allora andiamo? -

- Andiamo pure. Ciiiicciiii? Ecco, brava, vieni su! -

- Brava? -

- Guarda -

- Ah ok, sì questo lo so. Allora Ciccia? -

- Ma no che schifo, poi tanto... Cicci, ormai è Cicci! -

- E vabbè cane, sei una cagna ma resti Cicci -

- Cagna. Che brutto chiamarla così -

- Macchè brutto, brutto se lo dici a una persona, non a un cane. Cane femmina, dico -

- Uhm, in effetti... -

- Andiamo? -

- Andiamo, sì -


- Mi dai un'altra sigaretta? -

- Tieni, la prendo anche io -

- Secondo te prima o poi arriveremo da qualche parte? -

- Non lo so proprio -

- Bè, intanto qui non è poi così male -

- Uhmmmm... -

- Che dici? -

- In effetti no, non così male... -

mercoledì 5 novembre 2008

Incompreso...

051108 - Pepper and waterChe non si vede, che è un peperoncino?

E che fa il peperoncino?

Stimola porco Giuda, stimola!


Che non si vede che è acqua?

E che fa l'acqua?

Rinfresca porco cane, certo che rinfresca!


Epperò non è stata capita: "ma cos'è, un pomodoro? Perché un pomodoro? E quella cosa lì, ah una bottiglia, mica lo capivo, almeno metti un ruscello. Però guarda che mica saprei sostenerla, cioè che significa? Ah, stimolare, rinfrescare... Sì vabbè, però è un contesto serio sai..."


Mortificato, incompreso, frustrato. Così ho optato per il caffé. L'ho bevuto, l'ho messo nella diapo, poggiato su un bel parquet di tavole di legno, con la scritta sul piattino, con il logo bruciato sul legno, con... ma non lo posso mostrare. Però, che bello che è venuto. Ah!

Las Vegas, quasi

021108 - Dark- Hai presente Las Vegas? -

- Sì, certo, che c'entra? -

- Niente c'entra, era per dire -

- Per dire cosa, se non c'entra col discorso, scusa? -

- Quale discorso? -

- Ecco appunto, vedi, di cosa stiamo parlando? -

- Non lo so, di Las Vegas? -

- Guarda che Las Vegas l'hai tirata fuori tu... -

- No, io ho detto "hai presente Las Vegas?" -

- Cavilli. Io non l'ho detto il nome -

- Quale nome? -

- Las Vegas!! -

- Ecco vedi, la tiri fuori di nuovo -

- Oh diavolo, ma se sei stato tu per primo! -

- Ma io dicevo solo "hai presente Las Vegas", come per iniziare un discorso, se proprio proprio -

- Porco cane, ma che vuol dire, allora io dico... Aspetta, dico "hai presente Chicago?" -

- Ci vota Obama, di che si parla, politica? Io tengo per Obama comunque -

- No che non si parla di politica. Tu vuoi parlare di politica? Bè anch'io tengo Obama, e mo'? -

- E mo' sarebbero altri due voti, peccato non poter votare -

- Ah, un altro... -

- Un altro cosa? -

- Scommetto che ti prendono di più le elezioni americane che le nostre, no? -

- No, certo che no, da noi non ci son elezioni, solo governi che si cioncano -

- Cioncano? Che significa scusa? -

- Ma sì dai, governi che si spappolano in pezzi e se ne infischiano d'essere stati votati -

- Ah, bella roba, proprio una bella roba -

- Eh, dillo a me -

- No, lo dico a quel cane lì, guarda -

- E che c'entra il cane? -

- Niente c'entra! Si fa per dire, scusa siamo io e te, con chi cacchio vuoi che parli? -

- Come Las Vegas... -

- Ah no, non tirare fuori Las Vegas un'altra volta eh?! -

- No, non la tiro fuori, e sei stato tu comunque -

- ... -

- Però ci assomiglia, o no? -

- Cosa, questo parcheggio, a Las vegas? Ma fammi il piacere dai... -

- Macchè, ma basta con 'sta Las Vegas! -

- E allora di che minchia stai parlando? Dammi una sigaretta va', mi innervosisci. -

- Ah, ti innervosisco eh? -

- Sì. Mi innervosisci. Innervosisci, i-n-n-e-r-v-o-s-i-s-c-i, chiaro? -

- Vabbè, ti innervosisco, scusa. Non volevo. -

- Umphf, fa nulla. Però il cane, lì da solo, che fa? -

- Razzolerà, è un cane. -

- Ecco, sì: i cani razzolano, i governi si cioncano, e poi? I neri ballano bene? -

- Ci puoi scommettere, ti ricordi Leroy? -

- Diavolo, sì... -

- Ma sai che venne ad abitare a Bologna? -

- Ma che dici, sul serio, ma quando? -

- Anni fa, ero al liceo. In un pub salta su 'sto cristo in impermeabile nero di pelle, era lui! -

- Ma daaaaai -

- Oh, ti giuro. Era bresco perso, forse fatto. Comunque ora è morto. -

- Ah... -

- E il cane... ooooh! -

- Diavolo, cazzo, ma c'è mancato poco, ma non l'ha visto? -

- L'avrà visto di sicuro, ma sarà un gran stronzo. Povero... vieni qua, cicciiii... -

- Come cicci? Mica si chiamano con cicci i cani. -

- E come si chiamano, col codice fiscale? -

- A saperlo andrebbe anche, noi informatici lo sappiamo sempre il nostro, sai? -

- Eh vacca, ma dai, orpo e come mai? -

- Perché prima o poi ogni programmatore si scontra con la routine che li genera -

- Wow, affascinante... -

- Vabbè, manco m'ascolti. -

- No, senti, allora, ricapitoliamo: dove siamo? -

- Ecco, di questo parlavamo: sembra Las Vegas... aspetta: sembra, ma non lo è. E fine. -

- Oh, laudi e controlaudi! Bene: allora dove? -

- Sembra un parcheggio... -

- Ci son macchine parcheggiate, grazie al cazzo, sei un filosofo tu eh?! -

- Oh, amico, ma io te manco ti conosco, modera il linguaggio! -

- Ok scusa, ma sono esasperato: non so chi sei, dove sono, e nemmeno chi sono io. E tu? -

- Io guarda, c'ho il buio più totale -

- E che facciamo? -

- Là c'è un MacDonald... -

- Uuuuhhh! -

- Riattacchi col sarcasmo, mo' basta eh?!! -

- No no, sarcasmo una ceppa, io ho fame, non sarcasmo! -

- E allora andiamo a farci un Big Mac! Soldi... io ne ho, tu? -

- Aspetta... sì, anche io, e mica pochi -

- Bene, andiamo. -

- Certo che... no vabbè. -

- No dai, dimmi, cosa? Avviamoci intanto. -

- No niente, pensavo... certo che 'sto cielo plumbeo mezzo blu mezzo nero. -

- E...? -

- E tutte queste luci e macchine e insegne ... -

- E...?

- E MacDonald... -

- Eh, dico, e allora? -

- Bè, dai, sembra Las Vegas, almeno un po'. -

- Ohmmerda... datemi un BigMac, non voglio sapere altro. -


- Ah - gnam gnam - secondo te chi vince? -

- Obama! -

- Obama anche per me. Vai Obi! -

- Obi? Obi come uan-chenobi? Dio ti prego, questa no eh! -

- Vabbè, Alè Obama, forza Obama, viva i democratici! -

- Diavolo, vedi che andiamo d'accordo -

- Ma sì, in fondo... Ah, aspetta, e il cane? -

- Cicciiiii, vieni qua, lo vuoi un pezzettino? -

- Cicci... -

- Bè, vedi che arriva? -

- Ci credo, gli sventoli mezzo hamburger... -

- Bè, comunque Obama. Almeno spero. -

- Già, spero anche io. Però certo che mi piacerebbe sapere dove siamo e chi siamo. -

- Uhm, ti dirò, al momento adesso a me no. -

- No? -

- No. -

- Oh... -

- Già... -

martedì 4 novembre 2008

Cosa voglio?

Semplice: cipollare con la grafica senza freni alla fantasia, su progetti interessanti, in un bell'ufficio, fumando quannecazz' mi pare, con cestini di uva croccante ed opaca, cachi maturi e cioccolatini colorati qui affianco alla scrivania. E ovviamente guadagnare una barcata di soldi.


Minchia, ma chiedo così tanto? Però mi da soddisfazione appioppare la scrittina "graph by MM" anche sui lavori fatti per l'azienda. Ovviamente tutto questo significa anche: non c'ho una mazza da dire sul blog. Ma va poi bene così, tanto non legge nessuno, commentano ancora in meno (meno di nessuno mi sa che ci rimane l'universo rovesciato di antimateria, vedere teoria TUS, cercare in wikipedia), e in fondo tutto quello che vorrei dire è una sola cosa, diretta precisamente a te: se proprio non puoi non prenderti per il culo, evita di coglionare gli altri, imbecille!

lunedì 3 novembre 2008

Alla lavagna

«Pierino alzati, prendi il gesso, e fai la lista dei buoni e dei cattivi.»

«Ma come signora maestra, sono tutti amici miei, non posso.»

«No Pierino, non è che non puoi ma che non vuoi. Però adesso devi, e quindi vedi di muoverti.»


Al che Pierino si alza, prende il gesso e guarda i suoi amici. Guardandoli inizia a scorgere quella intricata rete di relazioni delicate e complesse, instabili e mutevoli, che li legano. E se anziché valutare la classe nel suo insieme inizia a guardare i compagni uno ad uno impegnandosi ad isolarne le specifiche relazioni scopre che, riconosciute certe trame, buoni e cattivi sono facilmente identificabili. Questo in assoluto. Ma di assoluto non c'è nulla, poiché è Pierino lì alla lavagna che deve mettere i buoni di qua ed i cattivi di là. Allora ci pensa e scrive i primi nomi, a destra e sinistra, di quelli che hanno debiti o crediti diretti verso di lui. Facile. Ma poi arriva il momento di decidere su quei compagnucci di classe che in relazione a Pierino sono - diciamo - neutri. Neutri per lui, ma non neutri fra di loro tra amori, amicizie, piccoli odi, sgarbi, slanci di affetto o attacchi di grettezza. Allora Pierino capisce che deve trovare un metro per giudicare di questi, e non essendo direttamente implicato nelle loro trame di relazione decide che il metro sarà: sono buoni quelli che hanno relazioni positive con gli amici cui tengo di più. Saranno cattivi quelli che hanno relazioni negative con questi miei stessi amici. E così, un nome dietro l'altro, la lista è completa. Certo, fra i cattivi ci son finiti anche alcuni che a Pierino stanno simpatici, ma quando ad un certo punto devi decidere, non puoi fare altro che stabilire il tuo sistema di riferimento e ragionare in base a quello.


Ecco: a tutti fa comodo essere giudici (inflessibili) su ciò che ci tocca direttamente, e rimanere neutrali su tutto il resto. Ma quando la neutralità non è più percorribile, allora bisogna scegliere un sistema di riferimento e decidere in base ad esso.

domenica 2 novembre 2008

In effetti...

Al giorno d'oggi i 7 nani reciterebbero nella pubblicità della Milka e avrebbero spodestato la marmotta che incarta le tavolette di cioccolato; senza contare che Biancaneve la incontrerebbero solo sul set di qualche film porno. Il pifferaio magico suonerebbe all'angolo di via Indipendenza vendendo cd masterizzati in proprio a 10 euro l'uno, evadendo SIAE e qualsiasi tipo di tassazione con un ricarico del 1000% che fa quasi impallidire quello imposto da governo e monopoli vari. La nonna di Cappuccetto Rosso sarebbe in cura per obesità e diabete senile perché quella rompipalle di CR le porterebbe dolcini e dolcetti a profusione, contando sul fatto che ormai ogni lupo si è estinto o, comunque, ben se ne guarda dall'importunare una pazza che trotterella vestita di rosso per i boschi. Hansel e Gretel anziché la strega malvagia dovrebbero temere qualche prete belga o, nella versione meno morbosa della rivisitazione favolistica, un cacciatore della domenica che apre il fuoco a caso su tutto ciò che si muove. Cenerentola sarebbe moldava e già le andrebbe di lusso a non essere su un marciapiede o, a seconda delle versioni, sarebbe filippina e sullo scalone del palazzo perderebbe lo straccio da pavimenti (con conseguente scivolata dell'ottuagenaria inquilina, femore rotto, denuncia e rimpatrio). Se qualcuno baciasse un ranocchio lo farebbe sul palco di uno spettacolino trisex e una pianta di fagioli che cresce fino alle nuvole sarebbe la notizia di apertura del TG di Fede.


Insomma, in effetti abbiamo bisogno di favole moderne, perché queste ormai sono esageratamente demodé. Fortuna che ci sono i politici ed i manager, la De Filippi, Costanzo e Beppe Grillo, i giornalisti ed i tuttologi da reality che ce ne raccontano di nuove a ogni piè sospinto. Bene: possiamo continuare a sognare.


O no?

giovedì 30 ottobre 2008

Schegge

301008 - Stormo


Sulla mia testa, mentre attraverso in macchina la città, uno stormo enorme che passa veloce attraversando il cielo, volteggia come un nastro, si ripiega e si arrotola, si allunga e si snoda. Fervente di concitata attività, migliaia di ali che sbattono e piccoli canti che tessono una fittissima trama, annodata sulle foglie che frusciano impazzite per il loro movimento. Estatico, li osservo passare e tornare, allargarsi sui tetti,  e poi calare a posarsi sugli spigoli. Dolce e bello come ciò che è puro e semplice, osservo la meraviglia e scatto foto dall'incrocio.


Migliaia di minuscoli pensieri semplici,

come schegge di una  volontà  enorme.   Magico.

Eco e riflessi

Nessuno di chi dovesse capitare qui credo possa resistere fino alla fine di questo racconto scritto in fretta e scritto male. Cazzate di fantasia generate però da qualcosa che non è fantasia, purtroppo: QUESTO


Lo chiamano Sant’Elmo, ma si chiama Guglielmo. Contratto come radici di nocciolo, urla a migliaia di studenti accendendoli, fila su fila, in una reazione a catena che genera un calore insostenibile. In giacca di tweed e due centimetri di barba sotto altrettanti di capelli scuri, ha lineamenti sconvolti dalla furia, occhi ardenti come tizzoni; ma quando si abbassano, quegli occhi improvvisamente diventano schegge di ghiaccio. Nessuno lo vede mai, questo cambio di stato e temperatura. Gli studenti si alzano, sollevano e urlano, battono mani, piedi e pugni, sciamano fuori, si riuniscono e coagulano: emboli di furia trattenuta che intasano le arterie della città e corrono veloci verso le piazze. Sant’Elmo alza pugni, stringe mani, abbraccia spalle, si defila.


Guglielmo sale le ampie scale, i passi hanno eco nude che intagliano la penombra. La stanza è vasta, trafitta dai piani di luce filtrati dalle persiane; gli slogan e le sirene arrivano ovattate, qui. Il P. lo attende, gli fa un cenno, Guglielmo siede, il P. sorride: “Bravo Guglielmo, bravo. E’ quasi tempo, ormai, sei pronto?” Guglielmo sussulta, solo un piccolo sussulto involontario che il P. accoglie con un ghigno giallo di nicotina. "Sono pronto, se ritiene che sia il momento, anche se ancora non vedo come io, proprio e solo io, possa iniziare la reazione". Il P. infila la sigaretta sul bocchino, accende, soffia il fumo ricadendo sullo schienale della poltrona. “Ogni azione ha eco, e riflessi.” Inizia a salmodiare lento. “Ciò che fai tu sarà sostenuto e imitato, sarà moltiplicato. Perché è questo ciò che vogliono, che è più facile. Giovani incauti, ingenui, tu sarai la scintilla che loro non scoccherebbero mai. La scintilla che li incendierà, e consumerà. Fidati di me. Io lo conosco bene, questo gioco.”


Guglielmo scende le scale, esce dai giardini inglesi del retro, i suoi percorsi diventano sempre più trasversi finché non cammina più ma salta e scavalca, striscia e arrampica. Infine sbuca nel cortile, raggiunge l’aula dove c’è il campo base. "Dove sei stato?", gli chiede lei. Lui la vede e la scopre più bella che mai, la ignora e accende una sigaretta. "A pensare, cosa che qui faccio solo io". Lei accusa il colpo, si ritira dietro un’altra sigaretta e scivola via. Lui concede due lacrime ai propri occhi, una di struggimento, una di furore, poi è di nuovo ghiaccio sopra la nausea e le emozioni, gelo preparatorio al fuoco che dovrà incendiare, bruciare e consumare questi giovani, ingenui sprovveduti.


Le poderose onde della mareggiata studentesca hanno tratto linfa dagli insegnanti, dai ragazzi più giovani, da quella parte di opinione pubblica che dice “devono contestare, perché devono trovare autoconsapevolezza, cosa che a ogni livello e da troppi anni si falcia e schiaccia in ogni modo possibile”. La mareggiata è diventata un uragano che ha ruggito in piazza e in televisione, sui quotidiani e alla radio. L’uragano, ora, si sta raccogliendo in onda anomala. Una, enorme, gigantesca, con una forza incredibile che cresce ogni istante e che dovrà abbattersi su qualcosa. Il P. lo sa, lo ha previsto ed incoraggiato. Passanti e turisti, bambini e curiosi, anziani e giovani, nessuno conta o ha un qualche valore. Al P. non interessa se chi rimarrà sul selciato col cranio spaccato avrà una divisa blu e grigia, nera e rossa, o variopinta di lana e cotone.


40 giorni prima che se ne parlasse per la prima volta il P. aveva già visto, immaginato e previsto; aveva convocato Guglielmo e una dozzina di altri: “li infiltrerete, perché è ora di dare il colpo di grazia. Li infiltrerete e farete crescere il movimento come loro non saprebbero fare. E poi li infiammerete e tratterrete, getterete benzina serbando però i fiammiferi. Il calore… Il calore dovrà essere insopportabile, ma chiuso e compresso nelle vostre mani. E poi, quando io dirò che è il momento, voi accenderete quel fiammifero. Loro si scateneranno, devasteranno tutto e tutti, e urlando e colpendo travolgeranno il popolo; e noi li lasceremo fare. Per un po’. Quando la fiamma avrà arrostito la sopportazione – in nome di futili e stupidi cause – della gente; quando l’operaio troverà la sua auto bruciata e il panettiere il suo negozio saccheggiato allora noi, invocati, colpiremo. Spaccheremo gambe e braccia, costole e teste, schiacciando questo insensato desiderio di arbitrio nel suo stesso, debole sangue. A quel punto, finalmente, l’ordine ricostituito sarà quello definitivo, e la violenza invocata nello Stato a porre fine alla protesta diverrà, sul sangue e sulle schiene rotte di questi fragili teppisti, la vergogna che cementerà l’incapacità di affrancarsene e giudicarsi.


L’onda anomala cresce. Sant’Elmo, gli occhi stralunati, ha le corde vocali corrose a furia di spruzzare parole incendiarie. L’onda anomala ha raggiunto una mole impressionante, crepitante di furore, ma gli scontri sono pochi e deboli, per ora; sono solo prime fiammelle autonome che Sant’elmo deve soffocare per non disperdere quell’energia che dovrà essere indirizzata a tempo debito contro ogni possibile obiettivo, meglio se innocente, meglio ancora se indifeso e inutilmente fuori di ogni mira logica.


Le eco dei passi sono soffocate dal frastuono della pioggia che percuote i vetri. Manciate di sassi gettate da un titano furioso. La stanza è grigia di luce, grigia di tappeti e arazzi, grigia di fumo, gialla del ghigno del P. che fuma, guarda Guglielmo per lunghi minuti, e infine dice “è ora”. Guglielmo serra i pugni, si alza, esce, scende le scale. Il P. rimasto solo si frega le mani e addenta un pasticcino. Briciole di pasta frolla agli angoli molli della bocca, la manica del completo grigio le asporta in un gesto lento e mellifluo; poi il P. impala con forza la sigaretta sul bocchino e lo serra tra i denti; accende, inspira, e gettando fumo in uno spruzzo denso e bianco si lascia andare contro lo schienale. E ride, ride in sussulti, ride sempre più forte, a coprire la pioggia che urla contro i vetri.


L’indomani il vento teso schiaffeggia i platani e schiaccia a terra i salici del lungofiume. Il cielo scivola veloce in guizzi di piombo, oro e celeste. Collettivi da tutta Italia sono accampati per la città. Il P. attende nella sua stanza. I media sono focalizzati, monopolizzati dall’onda che è arrivata sulla capitale. Si sente nell’odore dei fuochi accesi per strada, di abiti umidi e kebab fumosi della sera prima, di legna riarsa e marijuana, di corpi accaldati riuniti in spazi ristretti a migliaia: si sente e si ode, si vede e si percepisce, che l’Onda sta per abbattersi. Le divise osservano, storcono il naso, fremono ma non intervengono, mentre Sant’Elmo e una dozzina d’altri richiamano all’ordine le loro prime linee, urlano e danno istruzioni, pompano adrenalina nei cervelli e calorie nelle vene, caricano gli animi e illustrano le strategie. Ora sarà guerra, l’atto finale, e le prime linee dovranno a  loro volta infiammare e guidare, spiegare tattiche e chiamare a raccolta. Poi centinaia di migliaia di giovani si mettono in moto e le loro voci, i loro passi, sono un tuono che percuote il sole e spacca il cielo, mentre il popolo si chiude in casa e osserva spaventato, si chiede cosa facciano le divise e perché non disperdano questo esercito che si è messo in marcia.


Il P. attende, e fuma. Il monologo dei media è un flusso obnubilante di parole tutte identiche. I giovani si muovono, i giovani marciano. Il P. ride e addenta un piccolo bigné. I giovani si radunano e gli speaker hanno la voce che trema. Il P. ghigna e raccoglie la crema spruzzata sulla cravatta, la lecca e biascica. I giovani battono le strade e il popolo scappa e si rintana, i giornalisti vengono spintonati. Il P. fuma di nuovo lasciando impronte zuccherine sul bocchino di onice nero. I giovani muovono verso il colle, un flusso che come una marea sale verso le falde del monte. E il P. spegne la sigaretta. I giovani sono un mare che ha ridotto il colle a un’isola irraggiungibile. Il P. spalanca le finestre. I giovani chiedono una conferenza stampa e allestiscono installazioni multimediali da campo, le erigono in pochi secondi con generatori e impianti che compaiono tra la folla. Il P. siede di fronte agli schermi. “I giovani ci chiedono di trasmettere documenti visivi, audio e testuali dalle loro installazioni”. Il P. serra gli occhi in due fessure. Almeno metà dei media si rifiuta. Almeno metà dei media manda affanculo la direzione, gli ordini, le imposizioni e si connette. Il P. inizia a mugolare e strizza nel pugno un giallo bigné allo zabaione, la crema che sprizza tra le nocche bianche.


I video sono diversi, i video sono pressoché tutti uguali. Quello trasmesso dal maggior numero di canali mostra Guglielmo. Mostra Sant’Elmo dagli occhi attenti e concentrati, né gelidi né ardenti:


“quello che stiamo facendo è il riflesso di ciò che avremmo dovuto fare. In questi mesi io e alcuni altri siamo stati impegnati in un gioco due volte perfido: fingere di guidare i movimenti studenteschi essendo in realtà infiltrati, così da scatenare una rivolta violenta e incontrollata che portasse l’opinione pubblica a chiedere interventi contro gli studenti. Fingere di essere infiltrati per lasciare che le autorità più alte si scoprissero, documentando tutto ciò che state vedendo e che è trascorso nel teorico segreto di stato. Ciò che vogliono è togliere a ciascuno di noi, studente o pensionato, professore o operaio, la capacità di pensare. Ciò che noi vogliamo, oggi e da oggi, è togliere a questa casta sclerotica la capacità di decidere del nostro presente e del nostro futuro mirando alla perpetuazione di se stessa e del proprio potere che lassù si siede, concentra, e crogiola di se stesso. E’ ora che gli studenti, insieme ai lavoratori, i pensionati e chiunque altro, è ora che tutti noi cittadini di questo paese si chieda ed ottenga la remissione completa dell’intera schiera politica. Questo è l’atto che nel ’77 non fu portato a compimento. I responsabili della strategia istituzionale sono oggi i medesimi di allora. Qui, ai piedi dei loro troni, chiediamo che escano sotto il sole a guardare in faccia il popolo che da decenni cannibalizzano, e che rispondano di ciò che da troppo tempo ci impongono. Ogni azione, ha eco e riflessi…”


50 milioni di persone, schiacciate allo schermo del televisore, piantate sul monitor del computer, incollate alla radio, attendevano che un migliaio di completi e doppiopetto mostrasse la faccia al popolo che avrebbe dovuto governare e rispondesse alle accuse. Nessuno lo fece. L’indomani, i media di tutto il mondo titolavano immancabilmente “il civile colpo di stato del popolo italiano – 12 milioni di persone accorse nella capitale durante la notte, ed il flusso continua”.