mercoledì 23 dicembre 2009

Auguri!

Non c'è niente da fare

Non c'è niente da fare.

Ascolto le conversazioni dei colleghi, le ragioni di ragionevoli padri di famiglia e le motivazioni di motivati lavoratori; partecipo in silenzio, appoggiato alla macchinetta del caffé, a una qualunque delle innumerevoli convention qualunquiste e poco prima che tutti si trovino d'accordo, scuotano la testa e si rifugino davanti ai loro monitor, io fuggo senza una parola e vado alla finestra del mio ufficio.

Da lì guardo fuori, poi apro la finestra e mi lascio invadere dal gelo, spezzetto tre pannocchie del Mulino Bianco e le getto nel vialetto.


Non c'è niente da fare: non me ne frega proprio niente di tutto quello di giusto e sensato che sento dire; la neve? Che venga e sia tanta. Il Natale? Che sia pieno di lucette che sfavillano, càrole che tintinnano, e carte colorate che avvolgono pacchetti. Il freddo? Che sia intenso e affilato.

Un pettirosso saltella sulla neve indurita dal ghiaccio; becchetta qualcosa con gusto ed interesse. Io sorrido e mi sento fiero ed in pace.

martedì 22 dicembre 2009

Piano e poi comodo

Winter2


Guido a una velocità tale che il tachimetro non stacca la lancetta dal suo giaciglio lì in basso a sinistra. Guido a una velocità tale che ho la retromarcia inserita eppure vado avanti, ho le ruote ferme eppure vado avanti, giro il volante a destra e sinistra eppure vado avanti. C'è qualcosa di strano in questa sensazione di pattinare a quattrozampe un po' di traverso, qualcosa di strano ma non del tutto spiacevole: un muto fatalismo che brucia l'ennesima sigaretta. Piove, eppure il termometro segna -6°; anche in questo c'è qualcosa di strano, e mentre scivolo e lascio andare la macchina contro i cumuli di neve fresca non posso non notare la bellezza cristallina e vetrosa del panorama, i merletti bianchi e minuziosamente arabescati degli alberi incastonati nel ghiaccio.

In 40 minuti abbiamo fatto 4 chilometri, mentre ridi e parli, dici e smentisci ed io ti vorrei dire, ribadire, raccontare e ribattere che. Che le stagioni sono belle come sono purché siano come devono essere; che la bellezza di questi alberi bianchi non è una bellezza sì ma però ma è proprio una bellezza incondizionata da ammirare in silenzio; che le cene sociali non significano nulla dal momento che sono una concessione strappata malvolentieri all'asocialità dei colleghi di lavoro; che... Ma tanto non capiresti.

Allora guido senza guidare anzi, mi faccio guidare dalla pendenza sperando che in fondo ad ogni discesa vi sia un rettilineo e non una curva, che qui non ci sono guardrail né niente che non siano campi.

E capisco come i soldi ed il lavoro condizionino il nostro essere e sentire.

Che se fossi qui con la persona che vorrei qui, e se la macchina ammaccata non significasse altre rate ed un ulteriore stillicidio economico, a me cosa mi importerebbe mai di lasciarmi andare nei campi, vedere la neve spruzzarmi il parabrezza, sentire il pianale grattare il ghiaccio e strusciare il manto bianco, ed infine fermarmi in questa tundra emiliana?

Niente mi fregherebbe. Anzi no, mi fregherebbe. E riderei e abbraccerei.

Ma poi arriva la strada grande, il ghiaccio quasi scompare, e torno qui a far di conto, poco prima di andare a dormire, un piccolo letargo che mi porti un sonno sereno e comodo ed una primavera di sorrisi.

mercoledì 16 dicembre 2009

Il punto

Ci sono mille punti in cielo, e se li congiungessi con una penna non so proprio cosa disegnerebbero. Ci sono punti dentro calici gialli come oro che salgono e spumano spandendo aromi ed odori.

Ci sono punti oltre i quali non è più possibile ritornare e va bene così, va bene che la responsabilità a volte sia assumersi la responsabilità di non essere responsabili.

Ci sono punti come stelle minute e brillanti che tremolano su colline bianche di neve, e punti ghiacciati che scendono dondolando dal cielo.

Ci sono punti d'incontro nei quali ritrovi i tuoi amici e sai da subito che sono ancora amici, che loro sono loro e tu sei tu e non c'è molto che possa cambiare questa cosa, che la distanza non è lontananza (o era viceversa, non lo so).

Ci sono punti fermi che è bello muovere e spostare per il solo piacere di non avere una verità unica, inamovibile e rivelata.

E ci sono punti che luccicano gialli e rossi su un brutto alberello di Natale simpatico come un micio tiepido che fa le fusa e sbadiglia.

Ci sono punti nei quali tutto si fema ed io, rapito e colpito, ascolto Davide ed Eva e la loro notizia: un piccolo punto di poche settimane che batte di vita e lascia rapiti gli adulti.

Ci sono punti che sono linee e si spostano e continuano e proseguono fin dove non lo sai.

E sono quelli i punti che vorrei usare in ogni mia frase e declinazione, perché pur senza dimensioni e tempo sanno dare un tocco sorridente a tutto lo spazio entro il quale sbocciano.

In una giornata in cui ho abbracciato mio padre, salutato mia sorella, rivisto i miei amici, parlato alla donna che voglio sposare, tutti questi punti sono una bella costellazione che sorge oltre la linea bianca dell'orizzonte. Cosa ci sia al di là... è una magia che sfavilla come bollicine in un calice di champagne.

Ed in più è ormai Natale.

E questo... è sempre un punto a favore di chi lo vuole cogliere.

venerdì 4 dicembre 2009

Maiale freddo

Con salsa tonnata tipo vitello?

Insaccato e stagionato come prosciutto?

Fresco e crudo e parzialmente stagionato come una buona salsiccia passita?

Fatto in polpette e lasciato raffreddare per una bella insalata di patate e fagiolini?


Se penso al maiale freddo sono tante le declinazioni che mi vengono in mente ma:


  • considerando che sono vaccinato contro la stagionale e non contro la A;

  • che avevo male alle ossa;

  • che avevo mal di testa;

  • che mi sentivo spossato;

  • che mi sentivo stranito;

  • che però la temperatura non è mai andata oltre i 36.5°...


...direi che ho preso la suina.

Una suina senza febbre.

Una suina fredda.

Un maiale freddo!

venerdì 27 novembre 2009

E ancora

C'era un vecchissimo foglio a quadretti col bordo superiore smangiato, strappato da un quaderno di mille anni fa (o solo 60). Il foglio era morbido come carta velina, l'usura del tempo l'aveva ingentilito come cotone, impreziosito di macchie colorate, adornato di arabeschi blu di inchiostro sbavato. Un giorno di novembre di quelli bigi e grigi sul tavolo della cucina nonna Dina impilava delizie e magie:


  • mezzo chilo di mostarda bolognese in una terrina;

  • mezzo chilo di miele grezzo abbaloccato su di un piatto;

  • un sacchetto di carta gialla pieno di cacao;

  • un sacchetto di carta bianca che sbuffava bianco di farina, e tante altre cose che brillavano come perle.


Poi iniziava la lavorazione mentre odori caldi e ruvidi, natalizi e morbidi, croccanti e lucidi si spandevano nel vecchio ambiente. E mentre Piero osservava rapito ogni tanto rapiva una mandorla, nascondeva un pezzetto di cedro nella mano, raccoglieva con la punta del dito una scaglia di cioccolato fuggiasca.


C'era un vecchio foglio a righe scritto con inchiostro nero e corretto a matita blu, pieno di punti e di paragrafi, con frecce e sottolineature. Piero lo teneva nel portafoglio entrando con Andrea nella drogheria Calzolari; poi lo estraeva e lo poggiava sul bancone mentre il droghiere, il signor Carlo, ascoltava e conversava; insieme decidevano le correzioni alle dosi, si scontravano partiti avversi, chi teneva per il cedro solo fuori chi propendeva per sminuzzarlo anche dentro; chi diceva mezzo chilo chi rideva e sbraitava "figuriamoci, bastan quattr'etti e mezzo!". Andrea s'aggrappava con le manine al bancone, perduto tra file lucide di scaffali tutte piene di ghirlande di dolci, scrigni di ciliegine candite, trincee di cioccolato in blocchi. Tornando a casa Piero portava un sacco grande e rigonfio, Andrea il sacchettino più importante, quello con le spezie sminuzzate e l'ammoniaca per la lievitazione. E sulla porta di casa di nonna Dina chiedeva "Babbo, ma li facciamo oggi, vero?" e Piero sorrideva e diceva "certo, è ora di pensare al Natale".


C'è un foglio Excel che allinea in righe un gran bel numero di ingredienti, e ci son due fogli di bloc notes griffati TT Tecnosistemi pieni di una scrittura minuta intercalata da qualche freccia e alcune sottolineature, un paio di disegnini e l'appunto vagante di un indirizzo IP. Per le strade di Bologna Andrea passeggia con un sorriso in faccia che la gente non riesce a non ricambiare. Andrea entra da Calzolari e dice per prima cosa "sa, venivo qua con mio papà tanti anni fa" ed il vecchio Signor Carlo risponde " lo credo lo credo, si figuri che noi siam qui da 55 anni festeggiati 3 giorni fa".


C'è un sacchetto qui sulla mia scrivania che sembra un sacchetto come tanti altri. Ma nell'ufficio, oggi, si diffonde odore di cannella e anice stellata, di coriandolo e noce moscata, perché le spezie devono stare a bagno nel vino almeno qualche ora. C'è un sacchetto qui sulla mia scrivania che sembra un sacchetto come tanti altri, ma dentro ha perle rosse e diademi arancioni, lapislazzuli in zucchero e corone di canditi.


Guardo fuori della finestra e vedo un cielo bigio e grigio.

Ho chiamato papà con una scusa di dosi e pesi, ma in realtà volevo solo dirgli che oggi è il giorno dei certosini. Salutandoci mi ha detto che per qualsiasi cosa lo posso chiamare in qualsiasi momento, perché la preparazione è lunga e laboriosa. Gli occhi mi giocano scherzetti umidi e tutto si sdoppia per qualche istante. Avrò di sicuro bisogno di chiamarlo. Anche se non dovessi averne bisogno.

 

martedì 24 novembre 2009

Incompiutamente

La luce cadeva sulla pista in colonne, fiottando al suolo da gigantesche piastre metalliche sospese a 40 metri d'altezza. Miliardi di fotoni colpivano ogni istante le gocce di umidità, le superfici in vetro e acciaio, la pelle sudata dei cavalli, e da lì rimbalzavano verso il cielo. Da lontano l'impianto pareva un'esplosione bianca che mano a mano che saliva verso le nubi trascolorava nel grigio della notte.


- Lo vedi, che bello che è?

- Più che bello fa una certa impressione.

- Sarà, a me pare bello e basta.

- Ci sarà molta gente secondo te?

- Credo sia pieno; lo è sempre. Ci sei mai stato?

- No. Ma conosco uno che ci va.

- E che fa, vince o perde?

- Non lo so. A me non pare che sia più ricco di 10 anni fa.

- E più povero?

- Nemmeno.

- E allora che ci va a fare?

 

mercoledì 4 novembre 2009

Avrò scisso

Vasco mi sta sulle palle. Mi sta sulle palle la sua voce strascicata, la sua icona provinciale, il suo modo scoordinato di muoversi, le sue canzoni tutte identiche con identici arrangiamenti fermi a 15 anni fa.


Ma ha indubbiamente fatto belle canzoni. Senza scomodare la solita pallosissima eppure bellissima Alba Chiara, ne posso annoverare almeno due:


  • Gli spari sopra

  • Ad ogni costo


Queste due sono diverse, hanno melodie insolite ed arrangiamenti efficaci. Peccato solo che siano cover...

martedì 3 novembre 2009

Nevica giallo

Inattesa, scendo dall'auto dentro una notte che respira fredda e umida,

e trovo a terra la neve.

Fiocchi grandi e leggeri, che il vento ruzzola tra i miei piedi immobili,

che mi carezzano il viso.

Crocchiano e frusciano intorno ai tronchi, si dispongono in spirali e morbidi cumuli,

poi si scompigliano e volano via.


Mi fermo ancora, rapito dentro il cielo striato di luna e mescolato di nuvole.

Una piccola magia che mi cerca e poi mi trova, ticchettando piano tra i rami lucidi.


Questa neve gialla di autunno che cade in fiocchi di tigli, soffiando foglie zecchine.

lunedì 26 ottobre 2009

Fare qualcosa di bello

E' strano sentire miagolare mentre arrampichi; a 15 metri dal suolo, in una falesia a 45 minuti di sentiero dal paese più vicino, un gattino non dovrebbe esserci. Eppure c'è ed è arrivato lì, magro ma in salute, confidente e arzillo, seguendo due arrampicatori per tutto il sentiero di avvicinamento.


Basta una carezza e ci elegge ad amici, ci segue nelle peregrinazioni tra una via e l'altra alla base della parete, si accoccola sulla roccia, scivola giù, si sdraia al sole affianco alla corda e non ci molla. Quando un amico a metà giornata inizia il rientro lei lo segue (lei? Lui? Non abbiamo capito di quale genere sia) e noi speriamo che lo faccia fino in paese. Due ore dopo iniziamo anche noi a scendere e bastano 10 minuti di strada per sentire miagolare nel bosco; due richiami ed eccola che arriva zampettando. Un micio nel bosco è vittima certa di fame, sete, volpi e tassi. Così con continui richiami ci segue fino alla macchina, un po' galoppando un po' in braccio. Speriamo riconosca qualcuna delle case, o che in paese trovi la sua strada, ma ci segue fino al parcheggio e poi entra in macchina.


Non sappiamo che fare: non la possiamo tenere e la cosa più semplice è indirizzarla verso il paese e partire, ma è innegabile che non stia cercando un luogo dove tornare. E' già sicuramente svezzata, magra, e ha una gran sete, anche se la confidenza fa pensare che sia abituata alle persone e ne sia stata trattata bene (o, quantomeno, non male). Qualche telefonata, il cuore in gola, e poi un amico non mi lascia finire la frase che dice "certo, sì sì portala, la prendo io". Mettiamo in moto e per una trentina di secondi si agita e prova a scappare sbattendo contro il finestrino; subito però va in braccio a V e lì si ddormenta, facendosi 45 minuti di viaggio con gli occhi semichiusi, beata dalle carezze.


Infine arriviamo da F e lei, circospetta ma nemmeno tanto, in 5 minuti trova la via del latte e d'impegno lo sorbisce come un'idrovora senza timori e senza scrupoli. F le vorrà bene e questa è una certezza assoluta; ha un giardino e di che divertirsi, vitto e alloggio e affetto. Rientrando a casa ci si stringe il cuore a pensare alla bellezza del bosco raffrontata a una casa di città, pur se con giardino e zone senza traffico in cui scorazzare. Ma starà bene, e ricordo Pandoro, quando lo prendemmo, che per un giorno e mezzò si appiattì sotto una madia e poi ne uscì per non mostrare più nient'altro che affetto e piacere.


Vai Miciachichi, in bocca al lupo! :)

venerdì 23 ottobre 2009

La bella sofferenza

Ricollegandomi al post precedente, ecco qui: 

Cindy Lauper - Time after time


Quanto pure mal d'amore c'è, qui? Quanta sofferenza? Non colpisce come un pugno la scena in cui lei mostra felice il nuovo taglio a lui e lui la riprende, si incazza, lei scappa, lui la insegue, lei si nasconde e lo lascia passare oltre? Ah, sì, che male che fa, che sofferenza che è, che alto sentire che si può vivere attraverso queste immagini e sulle note di questa splendida musica. O no? E ci identifichiamo, guardiamo il video, ascoltiamo la splendida canzone con un'espressione sognante, con un cuore un po' ferito che sanguina e pulsa ed è incendiato di potenza emotiva. O no?



Ma dico, cazzo, facciamo tutto questo e non ci rendiamo conto che lo facciamo da dietro un computer, seduti comodi, lo facciamo per scelta e sappiamo che questo sofferentissimo mal di vivere e sentire finirà quando lo vorremo noi. Eppure, ed è qui il punto fondamentale, se noi fossimo uno dei protagonisti, saremmo così fieri ed orgogliosi di questa sofferenza? Davvero la custodiremmo come una gemma dolorosa ma pur sempre (o proprio perché dolorosa) ancor più bella? Quando io sono stato male per affetti finiti, relazioni strappate, rapporti naufragati, ho sentito solo il male. E non c'era niente di roseo e dolcemente pulsante, c'era solo un dolore nero e denso, un dolore che però, con il senno di poi, io stesso ho riguardato con un po' di benevolenza, talvolta con qualche spinta malinconica.


Solo che... Solo che mentre stavo male io stavo male e basta, perché ero parte in causa, perché a quel dolore c'ero arrivato ed in esso mi ero ficcato a fondo: non avevo scelto di osservarlo, tantomeno di condividerlo.


Così per chi celebra e si sente affine a Celine: facile sentirsi affini ad una sofferenza che ha reso in qualche modo grandi i sofferenti, una sofferenza che è un cappotto di cui vestirsi più o meno a piacimento.

Ma Celine, Baudelaire o Maupassant, loro davvero, non potevano voltare pagina o chiudere il libro. E se avessero potuto, siamo sicuri che non l'avrebbero fatto?

L'autoconsistenza dell'essere sfigati

Da Céline a Maupassant passando per Baudelaire e Steinbeck, Fitzgerald e Faulkner, abbiamo modo di imparare che:



  • l'essere umano è imperfetto, impuro, egoista, illuso, violento, meschino, ...;

  • ogni cosa che abbiamo potremmo perderla all'istante;

  • ogni gioia è effimera e illusoria;

  • la sofferenza è l'unica reale condizione dell'umana esistenza;

  • vivere è un processo degenerativo;

  • l'unica fine possibile è nel fallimento di noi stessi e nel tradimento dei nostri ideali.


Ora: parafrasare uno scrittore, comprenderne (o, più che altro, supporne) le spinte esistenziali, delinearne i profili emotivi, è una cosa. Fare propria questa visione maledetta e dannata, è tutta un'altra cosa. E se personalmente ringrazio quegli spiriti sofferenti e geniali che hanno generato arte (quale che ne sia la forma) come unica maniera per lottare contro il proprio reale, drammatico e rovinoso mal de vivre, nel contempo m'hanno rotto i coglioni le schiatte di quei sedicenti poeti, scrittori, pensatori, artisti mancati che in sé non hanno nulla più che una smania di emulazione di chi fu palesemente più grande di loro, tanto nella sofferenza quanto nella maestosità dell'espressione.


Che poi, francamente, al mal de vivre è facile abbandonarsi, dal momento che è un giustificatore assoluto per ogni mancanza di volontà, di forza e di desiderio. Il che non significa che con la volontà o con il desiderio puoi raggiungere tutto; significa che sedersi a tossire nel freddo la propria inadeguatezza a questo mondo è ben più facile, ma secondo me anche ben più idiota, che provare a sperimentare se stessi e le proprie potenzialità anche solo un minuscolo passo alla volta.


Gli eroi finiscono sempre per essere maledetti e dannati. Ma almeno sono eroi. Fare l'eroe maledetto senza essere un eroe, conduce ad una unica verità: essere dei maledetti imbecilli.

 

martedì 13 ottobre 2009

Zac!

Bologna è dentro un cristallo; il cielo liscio è semplice e lontanissimo e ci volano dentro nuvole chiare che si mescolano e sciolgono. Schegge di luce gettate ovunque, ad adornare la chioma degli alberi o affilare gli spigoli dei palazzi, tra le tegole dei tetti e nella grana dell'asfalto.


Arrotolo una cicca e l'accendo, soffio fumo lento che subito si fa prendere dall'aria e balla, si dimena, svanisce in alto. Con le spalle mi appoggio al cancello, pianto bene i piedi in questo cuneo di sole e fumo ad occhi chiusi: calore sul viso e jeans freschi intorno alle gambe. Il caco qui affianco inizia a gonfiare di colore i bei suoi diosperi.


Un giorno memorabile, questo: un giorno  d'autunno come non se ne vedeva da un anno. Un giorno di quelli in cui puoi vivere una frizzante primavera al mattino, una fresca estate nel mezzogiorno, e ripiegarti sulle piccole cose tiepide che ami, la sera; come un libro, l'odore umido e caldo delle caldarroste, lo zucchero aspro e violetto dell'uva fragola.

lunedì 5 ottobre 2009

Ma che bello che è...

...andare in un posto per fare una cosa e scoprire che non ne hai voglia e che va bene così, perché poi tanto ti basta essere/stare/guardare (tra amici/fermo sotto il sole/i funghi degli gnomi).

...andare a letto e fermarti per tanti secondi a guardare occhi chiusi che riposano e aver voglia di carezzare e abbracciare anche se non vuoi perché sennò poi la svegli e va bene così allora.

...avere un bel pensiero che mi fa stare bene, avere il bel pensiero di fare stare bene.

Ma che bello che è.

giovedì 24 settembre 2009

Il teorema dei cerchi concentrici

C'è chi si dispera e langue nella depressione per il suo evidente status di eroe che non ha battaglie da combattere o che risulta perdente in quelle che combatte. C'è chi si dispera alla ricerca del pulpito più alto dal quale rifulgere più di chiunque altro. C'è chi si dispera perché l'universo lo scaglia talvolta in alto ma più spesso laggiù in basso. In definitiva, c'è chi si dispera perché intorno a sé non ha nulla che gli confermi costantemente l'attenzione ed il valore meritati e vitali.


Il teorema dei cerchi concentrici dice che, posti noi stessi come elemento zero di una gigantesca serie di potenze incrementali del 2 che definiscono il grado di conoscenza/parentela/affettività nei nostri riguardi, possiamo/dobbiamo trarre soddisfazione in misura inversamente proporzionale al crescere dell'esponente.


Chemminchia significa?

Che al primo livello, 2 ^ 0 = 1, c'è una persona che è massimamente capace di riconoscerci soddisfazione: noi stessi. Al secondo livello, 2 ^ 1 = 2, avremo un paio di persone capaci di riconoscerci soddisfazione in misura comunque molo inferiore al livello precedente: i nostri genitori? I figli? L'amante? Fate voi. Al livello successivo, 2 ^ 2 = 4 saranno 4 le persone capaci di darci soddisfazione, ma in misura ancora ben minore rispetto al livello precedente: amante e nipoti? Gli amici stretti? Fate voi.


La conclusione è che per vivere una vita serena, felice e, in definitiva, essere soddisfatti, o siamo noi stessi a gettarne e reggerne le basi, oppure saremo sempre in balia dell'effimera, instabile, ingovernabile e sempre più lontana capacità di qualcun'altro di dettarci il grado di felicità.


Ergo, cari eroi sconfitti e geni incompresi, temo siate voi i peggiori nemici di voi stessi, i peggiori detrattori delle vostre qualità.

mercoledì 23 settembre 2009

Come lo vedessi...

Incontro internazionale sul clima; parleranno Obama, Ahmadinejad, Sarkozy, e molti altri. E pure Berlusconi. Impettito sul palchetto, armato del suo doppiopetto antimissile. Intervento incisivo il suo, incisivo e breve anzi brevissimo anzi una sola frase anzi un solo grido:


'cchiù pilu pi' ttutti!

martedì 22 settembre 2009

Eroi!

Basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa


Scegli di fare il soldato, di lasciare moglie e figlio a casa per mesi così da seguire i tuoi sogni, scegli di essere volontario in missioni estere, muori facendo il tuo mestiere e sei un eroe. Funerali di stato, bandiere a mezz'asta, commozione pubblica e frecce tricolori in cielo; l'esercito e mille fondi di origine diversa sosterranno la tua famiglia oltre a ricoprirla di onore e chissà cos'altro.


Non hai mai avuto soldi per studiare, non hai mai avuto altra scelta che fare l'operaio, lavori ogni giorno che Dio manda in terra per mantenere, accudire e stare vicino a tua moglie e i tuoi figli, muori perché ti cade addosso una trave da 15 tonnellate assicurata con catene corrose, e sei un povero stronzo che finisce nella statistica delle morti bianche. Al tuo funerale i parenti e qualche amico, manciate di terra su una bara che sia costata poco, e la minima per tua moglie e per tuo figlio che tireranno avanti nel buco di culo del dimenticatoio d'Italia.


Dove sono gli eroi, dove?

Italiani popolo di teste di cazzo che osannano la pietanza che mangiano e spandono manate di merda sul piatto del vicino additando lo scempio del commensale che mastica a bocca aperta.

 

giovedì 17 settembre 2009

Ciao

Mentre la giornata si piega come un fazzoletto azzurro dentro e blu come il crepuscolo fuori, io ascolto Bruce Springsteen e lavoro lento e placido, che mi piace il giovedì tirare tardi, mi riesce facile il giovedì lavorare a lungo, perché tanto domani lezio brevis, scappo presto che mi si apre il weekend.

E invece mi si apre una pagina qui vicino, dove leggo di un cane che è ilcaneuischi, e me lo vedo ilcaneuischi che zampetta e trotterella affianco al piccolo padrone cercandone gli occhi; tutto è così vivido che non riesco a non piangere. E il senso enorme di ingiustizia che provo si confonde nei miei pensieri e in essi genera la voglia di compierne o chiederne altre.

20090917-FallLa variabilità è una delle essenze - secondo me - del piacere; non credo sarei felice in un idilliaco clima a 25° costanti fatto di giornate spesso identiche, seppure belle e limpide. Chissà, magari anche sì in effetti, e comunque meglio 365 giorni all'anno con 28° ed il cielo limpido che una sequenza ininterrotta di cieli plumbei, venti gelidi, e piogge violente.

Comunque... dopo averla attesa per mesi l'estate è arrivata, ha fatto il suo giusto e caldo corso, e ora pare ritrarsi. Ed in effetti nel weekend passato non è che mi dispiacesse proiettarmi verso l'autunno, pensare alla sensazione di calda intimità e morbida interiorità portata dalle giornate brevi, dalle temperature che scendono, dall'apparire sui banchi dei mercati di castagne, uva fragola, mandarini e patate americane.

E poi, innegabilmente, si può scorgere il bello in quasi ogni paesaggio che abbiamo davanti, anche da un'autostrada nel primissimo mattino. E così, anche perché tanto non servirebbe a nulla opporsi, mi sento di dare il benvenuto all'autunno.


Con tutto che: all'autunno non gliene frega nulla del mio benvenuto; oggi splende il sole ed il cielo è azzurro, ed io mi sento galvanizzato. Anche perché il weekend si avvicinaaaaaaaaaaaaaa...!

mercoledì 16 settembre 2009

Italia

A Bologna la comunità degli arrampicatori è abbastanza nutrita ma può contare su un solo sito di arrampicata, sui colli e a 20 km dalla città. Per noie coi proprietari dei terreni, con la Provincia nella definizione di una riserva naturale, con il comune referente in merito alla responsabilità civile di eventuali incidenti, è da 4 mesi che il sito di arrampicata è chiuso con ordinanza del sindaco.

Ieri alle 21 in comune c'era l'incontro con l'assessore competente, il geologo incaricato della perizia teoricamente alla base della chiusura, il responsabile del CAI di Bologna. Era importante essere in tanti e dimostrare l'importanza sociale del fenomeno arrampicata. Eravamo in 120, stipati in una sala da 60, e l'assessore se ne è meravigliato parecchio. Ciò che non ha meravigliato è stato che il geologo abbia disertato (le motivazioni addotte sono ben poco chiare) e che abbiano disertato molti dei più forti arrampicatori bolognesi, ragazzi che da 20 anni (o 10 o 5 o 15 o quel che è) si ritrovano a Badolo nei pomeriggi infrasettimanali di primavera ed estate, e nei weekend id bel tempo durante tutto l'anno. Poi costoro, dopo mesi di invettive contro il comune e proclami di organizzare rivoluzioni armate, stamattina chiedono un riassunto dell'incontro di ieri.


Ecco perché funzioniamo poco: perché parliamo e strepitiamo e accusiamo, ma quando c'è da spendere 3 ore fuori dalle attività quotidiane di una normale serata (guardare la TV, bere in centro, scaccolarsi a ciclo continuo, etc), gli interessati si fanno di fumo.

martedì 15 settembre 2009

Strano

Per anni si covano pensieri ciclici e ricorrenti che finiscono per consolidarsi in certezze, dogmi, sclerotizzazioni. Poi capita qualcosa dentro e fuori di te, capita lento e leggero, e ti rendi conto di essere cambiato quando sei già diverso, quando per scherzo prima, e cedendo con gioia poi, hai vinto su te stesso e ti sei lasciato libero.

E fai progetti che hanno parole, colori e suoni che mai avresti potuto pensare prima. Che bello.

Fall

Mentre scrivo dell'autunno che è ormai arrivato, le nuvole in cielo si spostano, come fazzoletti sgomberati in un gesto da un tavolo che è ora azzurro e limpido. E così non ho più niente da scrivere [dell'autunno]. Vabbè.

mercoledì 15 luglio 2009

Correre

Fisso lo schermo e non capisco se sia rabbia o sia paura ciò che mi sta soffocando, so solo che sto soffocando. Arrotolo una sigaretta ed esco dall'ufficio a fumare ma nemmeno il fumo va giù. Nei miei occhi frantumati in mille coriandoli vedo la Corsica e riascolto le conversazioni su posti e viaggi, su cibi e genti, su progetti e lavoro. Si sta come d'inverno sugli alberi le foglie, ed è vero: organizzi la vita in progetti e sacrifici, in turni di anni che sai saranno massacranti e speri ti condurranno su un lido comodo e piacevole dove riposare per tanti e più anni ancora. Corri dai clienti e corri in ferie perché devi correre di nuovo al lavoro. Corri da un problema all'altro dalle otto del mattino alle nove di sera e corri alla commemorazione funebre di amici che dici "sfortunati".


Correre correre correre. E tra una corsa e l'altra passi con i tuoi pregi ed i tuoi difetti, che imparo a riconoscere, che capisco di poter ben accettare. Sei diplomatico, un lavoratore, un po' un politico nel gestire persone e situazioni, molto probabilmente una persona davvero onesta. Sei una persona che conosco poco e sei un uomo di appena 40 anni con una BMW che ha più della metà dei tuoi anni che porta te e tua moglie in viaggio, in Grecia, nel sud, o in quella Corsica dalla quale siete appena rientrati. Fai e sei mille cose che io non conosco e due giorni fa, per questa commemorazione cui dovevi partecipare e per un'altra cui hai partecipato qualche mese fa, dici che questo non è un periodo fortunato.


Lo dicevi per te? Lo dicevi per loro? Lo dicevi in generale?

Tra mille maledetti coriandoli sento che sono sia rabbia sia paura a soffocarmi. Rabbia per l'ineluttabilità di ciò che sta dietro l'angolo, che sia della vita o di una strada secondaria, che viene a sputtanarti i piani e i progetti. Paura perché sei nell'incubo che io più temo nonostante salga sul mio mostro e lo guidi sempre troppo veloce. Ciò che so è che la tua BMW è un ammasso di rottami, e che quando ti vedrò nuovamente varcare la soglia di questi uffici potrai fare ancora mille cose. Ma non potrai mai più correre.

giovedì 9 luglio 2009

A mezzanotte

- Secondo te è proprio la stessa?

- Cosa?

- La luna, è la stessa secondo te?

- Dovrebbe -

- Già, dovrebbe, e però sembra diversa -

- Dici?

- Guardala un momento...

- Forse sì, qualcosa di diverso c'è -

- Anche secondo me, ma non capisco cosa -

- Questa è davvero grande, che sia quello?

- Bè, non penso che cambi di dimensioni, che dici?

- Forse è la luce che emana, che pare una fontana di madreperla -

- Potrebbe essere, magari conta l'atmosfera e l'umidità -

- E poi le ombre nette, di peltro ed argento, che disegna ai piedi di tronchi, fiori e fili d'erba...

- La notavo anche io, è una trama così perfetta e delicata che è incredibile -

- E se fosse che prima non c'era?

- In che senso?

- Che non l'abbiamo mai vista prima, che non c'era -

- La luna è la luna, cosa dici, non capisco -

- La luna è la luna, ma tu l'hai mai guardata prima?

- Certo che sì!

- Guardata, osservata, ammirata... sì?

- Bè, più o meno -

- Ti sei mai fermato ai piedi di un colle buio, tra il canto dei grilli e l'ammiccare delle lucciole, mentre animali si richiamano lontani, a osservare la meraviglia di una perla poggiata in cielo? La perfezione delle ombre che disegna, nero su argento, ai piedi di ogni cosa? Hai mai guardato le tue mani per scoprirne la pelle come oro bianco, scoprendo netti eppure effimeri, onirici ecco, i contorni di ciò che tocchi e vedi e sei?

- Bè no -

- No?

- No -

- Ah. Perché?

- Perché la luna è la luna, cosa vuoi che sia più di questo -

- Capisco. E ora?

- Bè...

- Dimmi -

- Bè... non l'avevo mai vista prima, davvero -

- E...?

- Ed è magnifica -

mercoledì 8 luglio 2009

Eeeh?

E' indubbiamente una bella primavera, questa estate. Londinese, molto londinese, ma io non sono mai stato a Londra quindi in effetti la potrei pure definire... Katmanduica (Kunfuica?), Ouagadougouense, o altro. D'altro canto è proprio vero che in giro c'è un po' di confusione, o almeno a me pare così: per 15 giorni di Irlanda presi sole pieno, mentre sul Mar Rosso son riuscito a farmi pioviginnare in testa. Nonostante tutti questi casini, ieri sera ho riscoperto Bologna come non la vivevo da molti mesi: calda (ma mica troppo), colorata, comoda, provinciale, svaccata, pretenziosa.


Esco con T e la sua amica C e dopo un po' arriva l'atteso pretendente di C, un ragazzo turco che si chiama Firàt (ma la i non la si deve quasi pronunciare e quindi diventa Fràt che io soprannomino Fred). Una birra, due birre, quando arriva Fred si opta per una bottiglia di rosso. Rosso? Ma fa caldo! Rosso. Cabernet Franc del 2006 di La Tunella, bella scelta e bravo Mulo che il vino è buono e non troppo spesso. Così si chiacchiera e dopo un po' vinco la ritrosia e ritrovo l'inglese. Faticoso all'inizio, poi diventa fluido e tra strafalcioni e ripetuti "oh C, come si dice questo e quell'altro?" io e Fred ci chiudiamo in una lunga conversazione sui vini, i vitigni, i sapori, la degustazione. Poi mi dice che è stato due anni a Parigi e che se sono più comfortable possiamo usare il francese. Così è bello, perché iniziamo a parlare un esperanto che si fa tanto più estremo quanto più la conversazione ci prende. Inglese, con frasi che scivolano intere in francese, qualche parola spagnola ogni tanto ed esclamazioni in italiano per me ed in turco per lui.


La cameriera mi si rivolge in inglese (io veramente dalla sua pronuncia l'avevo presa per ubriaca finita) e poi si scusa e dice che sembro scandinavo. Meglio che tedesco. I tedeschi sono troppi, almeno in Italia sono decisamente troppi (e quando esclamano "SUPER!" pronunciandolo "ZUPPAAAH" io gli darei fuoco). T è un po' ubriaca, d'altro canto her celebration per l'esame conta 2 birre, 3 bicchieri di vino, e mezzo piattino di minchiatelle assortite; così mentre salutiamo Fred e C (avranno consumato? Chissà) andiamo dal greco da asporto e nel caldo greco (bruciante ma secco) del minuscolo locale disadorno io prendo felafel e T Pita Keftes. Salgo sul mostro che gorgoglia tutto contento e ganzo e sfreccio nel traffico, torno in ufficio a prendere la macchina e vado a casa.


Ecco, adesso che son passate circa 20 ore sono sempre in ufficio e la prospettiva per stasera non è rosea come ieri. Forse per questo ho appena finito la prima bottiglia di Corona e mi sento un po' impastato. D'altro canto non capisco una mazza di quel che faccio da tre giorni, e non credo che essere un po' allegro possa cambiare granché le cose. Soprattutto non in peggio. Ciao ciao.

venerdì 3 luglio 2009

Nuotando

Sto tentando di proteggere ciò che ho dentro - è la ragione per cui vivo Crossroads, Tracy Chapman | Non sai che parlare di rivoluzione suona forte come un sussurro? - Talkin about a revolution, Tracy Chapman | Chamberlain, primo ministro inglese, chiese a Mussolini se non fosse difficile governare un popolo come quello italiano; Mussolini rispose "non è difficile, è inutile. Gli italiani non vogliono essere governati, ma comandati" | Abbiamo imparato di più da una canzone di tre minuti di quanto abbiamo mai imparato a scuola - No surrender, Bruce Springsteen | Alluminio, il gusto della paura, adrenalina, ci trascina vicini - E-bow the letter - REM | Per voi è facile, avete il mito del socialismo, del Che e pure di Fidel, fondamentalmente perché siete antiamericani e perché non sapete la realtà delle cose; ma per un cubano, essere fidelista è praticamente impossibile | E' dolce osservare dalla spiaggia un'imbarcazione in difficoltà nel mare grosso - De rerum natura, Lucrezio | Vado a Viareggio, ora ci penso io - Cosa c'è di diverso tra questo e Mussolini che in braghe di tela mieteva il grano insieme ai contadini? E se funzionava allora, e funziona ora, come mai la sinistra non capisce che ciò che la gente vuole - per quanto demagogico sia - è sentirsi vicina a chi la governa?


Nuotando pensavo a tutte queste cose. E' bello nuotare di primissima mattina. Avvia in fretta i processi mentali, distende il corpo, e fa bene alla circolazione. Ma poi rimane una fame bestiale per tutto il resto della giornata.

giovedì 2 luglio 2009

Se

Se alle 18:07 del 2 luglio, anziché desiderare un tavolino in una piazza gremita di gente accaldata e colorata, patatine e arachidi dentro piccole ciotoline, e un bicchiere appannato pieno di ghiaccio, pezzi di lime, zucchero di canna e vodka bianca (altresì detto Caipiroska), ho invece voglia di un thé caldo mentre cerco di spegnere questo condizionatore che pare più un freezer solo per scoprire che non è mai stato acceso...


...forse in 'sto meteo di merda quarcazzo non funzionaaaaaaaaaa!!!!


Ma l'estate porco giuda, l'estate calda e gialla del nostro bel mediterraneo, dove minchia è finita?

M'avevano detto che era bello...

...ma non pensavo così tanto.


Sarà che c'è un mare splendido, un sole sempre tondo e cocente, faraglioni di roccia e pini marittimi, moli in pietra e case intonacate d'azzurro. Sarà che c'è tanto da sorridere, speranze e visioni elementari ma gioiose cui credere, ed una colonna sonora magnifica. Sarà pure che ho una voglia gigantesca di ferie.


Sarà questo ed altro, ma Mamma Mia! mi è piaciuto davvero parecchio!

lunedì 29 giugno 2009

Non ora, presto

Una gioia sottile


Pareti alte e verticali che alternano il giallo delle fasce strapiombanti al grigio scuro delle placche appoggiate o verticali. Dove d’inverno corrono cascate e goulotte di ghiaccio la roccia è nera, quasi lavica. Camminiamo nell’aria frizzante dopo aver lasciato all’alba l’umidore tiepido della città; è come se si aprissero i pori della coscienza, mentre la mente si rarefà verso strati più semplici ed istintivi della consapevolezza. La via è un susseguirsi di una dozzina di tiri corda, 350 metri di lunghezza, forse duemila movimenti di mani, piedi, gambe e braccia. Ci sono soste comode che ti tengono appeso nel vuoto e laggiù, 200 metri sotto i piedi, i sentieri che solcano i ghiaioni sembrano piste disegnate dal dito di un gigante. La tensione è costante eppure piacevole, quella soglia di attenzione ulteriore che ti consente di percepire il respiro, la temperatura, i colori, i suoni ad un livello di definizione immensamente più alto rispetto al solito. Rondini e corvidi si sfrecciano incontro, ci mirano quasi e poi, a pochi centimetri dalla parete, curvano verso l’alto impennandosi, cabrando come missili silenziosi, virando per abbandonarsi nuovamente alle correnti. In cima siamo stanchi, sorridenti, con le mani screpolate di roccia, fatica, magnesite e contentezza. Le mani ce le stringiamo, le corde le avvolgiamo e leghiamo in vita, lasciamo le scarpette all’imbrago e calziamo scarpe da camminata, poi scendiamo. Alle panche del rifugio il sole è ancora limpido e netto, bruciante dove ti tocca, gentile nel pervadere l’aria con un tepore delicato. Una birra ed una fetta di strudel, magari prima un pezzo di speck e qualche cetriolo. Parliamo poco e non ci interessa ciò che diciamo, perché quello che scambiamo è solo la serenità di essere fisicamente svuotati, mentalmente lisciati e spianati, emotivamente appagati. Parliamo perché sono onde e vibrazioni, la voce, con le quali ci riverberiamo la felicità di quella gioia, sottile e rarefatta, che sempre ci coglie quando siamo qui.


Una gioia vasta


Il sole che entra tra le persiane di legno verde, irregolari e screpolate dalla salsedine. E’ ancora presto ma non abbiamo voglia di rimanere tra le lenzuola bianche e ruvide che odorano di lavanda e gelsomino. Sul terrazzo del damuso il sole si spettina attraversando l’incannicciato. Una doccia fresca e ancora umidi siamo già seduti a bere succo di mela, mangiare cornetti al miele e pomodori rossi. I muri intonacati di bianco, talvolta dipinti di rosa, di azzurro, di verde ci conducono tra scorci di costa e angoli ombrosi; uno di questi ospita i due tavolini di un piccolo caffé. La scalinata che conduce alla costa scende nel profumo di terra calda e piante grasse, agave e fichi d’india, di timo e salsedine, di sabbia e di sole. Sul mare il riverbero si polverizza in minuscole onde placide ed il suo odore ci colpisce, pervade, attraversa e cattura, intrecciato al ritmo della risacca e allo stridere dei gabbiani. C’è ancora poca gente e ci ritagliamo un pezzo di scoglio largo e piatto. I primi minuti sono scanditi da un silenzio sonnolento nel quale si diffonde l’aroma oleoso delle creme, poi ci si sdraia a dare forma e profili ai fosfeni che lampeggiano dietro gli occhi chiusi. Pochi minuti, perché il richiamo dell’acqua è irresistibile e nell’istante in cui esplodo in essa percepisco l’abbraccio freddo e vitalizzante, effervescente e amico del mare. Risalgo, rido, mi tuffo, gioco con le onde, ci sorridiamo e ci teniamo abbracciati, torniamo a tuffarci e poi andiamo a rinfrescarci all’ombra, sciacquando il sale con una bottiglia d’acqua dolce ormai calda. A metà pomeriggio siamo nel damuso, che è ombreggiato e fresco, dove la doccia lava via l’arsura salina e ci lascia sopiti sulle lenzuola. Poco prima del tramonto passeggiamo per stretti vicoli, bianchi e sconnessi; in piazzetta sediamo tra glicini e oleandri, e ne confondiamo l'aroma con il profumo di un Catarratto freschissimo, con l'odore succulento di capperi e olive nere. Cala la sera che siamo nuovamente a passeggio, in attesa di essere chiamati, blanditi e infine catturati dalla suadenza di aglio, limone, pesce e prezzemolo; dalla polposità di pomodori, pane, vongole e olio. Quando siamo nuovamente sulle lenzuola ci abbandoniamo al silenzio, al ritmo lontano e vago del mare, al richiamo dei grilli, e a tutto ciò che, lento e lucente sotto la luna che filtra, ancora ci separa dall’addormentarci.

martedì 23 giugno 2009

Pensieri colorati...

...non riesco ad averne sotto questo schifoso cielo grigiastro che pare d'ottobre. Membra intorpidite e testa pesante, fuori pioviggina e la magnolia viene scossa da un vento afono ed afoso senza patria o potestà. Sembra di vivere nella terra del nulla, una visione onirica scialba e melliflua che ti cattura piano piano.


Che cazzo di tempo dimmerda.

Divertente

Berlusconi dice che è stato un trionfo del centrodestra, Bossi dice che è stata una grande affermazione della Lega, Franceschini dice che è stato un ottimo risultato che segna l'inizio della decadenza del centrodestra, Casini dice che è stata una grande risposta all'appello all'astensione.


E' un sistema democratico il nostro: chiunque partecipi è sicuro di vincere.

giovedì 18 giugno 2009

Probabilmente

Il calcolo delle probabilità mi affascina, ma non ci capisco niente. Anche la questione più semplice come provare 100 volte ad indovinare un numero su 100: al primo tentativo ogni numero ha una possibilità su 100 di essere estratto, ma ai tentativi successivi le percentuali cambiano? Mi viene da dire di no, però è di sicuro più probabile arrivare alla fine delle 100 estrazioni con 100 numeri variamente ripetuti, e non con un solo numero ripetuto 100 volte, no? Questa cosa è calcolabile? Mistero.


Già a me è misterico un giochetto che mi fecero anni fa e che mi lasciò basito: ci sono 3 scatole e una pallina, bisogna indovinare dove stia la pallina. Ok, il gioco da piazzale dell'autogrill. E invece no perché lo svolgimento è più interessante:



  • vedi le tre scatole e punti su una di esse;

  • ti viene indicata una scatola che sicuramente non contiene la pallina e che quindi escludiamo;

  • rimangono in gioco due scatole: quella puntata inizialmente e l'altra;

  • ti viene data facoltà di scegliere se confermare la scelta o puntare sull'altra scatola.


Ora, cosa conviene fare?



  1. confermare la puntata iniziale,

  2. cambiare, puntando sull'altra scatola rimanente,

  3. non cambia nulla, tanto è una probabilità su due?


Io, da ignorante, sparai la risposta 3; sbagliato! La risposta è la 2: conviene cambiare puntata. Perchè? Perché se confermi la puntata ti riconduci al caso iniziale di una possibilità su 3, mentre se cambi puntata, avendo palesato l'esclusione di una delle due scatole inizialmente non scelte, è come se inizialmente avessi potuto puntare su due scatole, non una, e quindi hai 2 probabilità su 3 di indovinare.


A me pareva una cazzata. Poi ho provato con una serie di un centinaio di estrazioni ed in effetti è così. Ricordo che a seconda della strategia adottata, le percentuali di vittoria erano pressoché matematicamente perfette: 33 percento se confermi, 66 percento se cambi.


Miracoli.

mercoledì 17 giugno 2009

In silenzio

Qui si sta bene, si sta in silenzio su verdi prati. Passa qualcuno ogni tanto, getta uno sguardo e capisce di non aver trovato quel che cercava (sesso con muli, con cetrioli, pollici opponibili e la dieta per dimagrire in fretta, etc.) e se ne va.


Fallo anche tu che leggi, se mai esisti: vattene.


Ieri camminavo quasi al buio giù per un sentiero nel bosco, mentre le lucciole mi ammiccavano intorno ed in cielo si spegnevano gli ultimi lembi lontani di nubi, arroventati da un sole ormai scomparso dietro infinite teorie di colli azzurri. Da una cengia di arenaria gialla mi ero gustato tre ore di vento, di sole e di fresco, di arrampicata e sigarette, di poche chiacchiere semplici e molti silenzi.


Sono convinto che se anziché dietro il PC a inventare nick e titoli astrusi pieni di caratteri extra-alfabetici, a inventarsi modi di essere e sentire, a inventarsi mal di vivere e angoscia esistenziale, quelli che hanno un blog mettessero il culo all'aria aperta per qualche ora al giorno, avrebbero molte meno puttanate da scrivere.


E per l'appunto io qui sul mio blog mi rendo conto che non ho voglia di continuare oltre con questo ennesimo pippone scassacazzo.

venerdì 12 giugno 2009

Me ne vado

Ho salvato un piccolo di corvo, stordito in mezzo alla carreggiata di una rotonda.

Ho ascoltato Crossroads in macchina e comprato una bella maglietta blu profondo.

Ho bevuto un caffè, fumato una sigaretta, e gustato tre sorsi di un rhum magnifico.


Il corvo mi è venuto a sedere affianco al bar, mi ha fissato con la testa reclinata e mi ha ringraziato. Dopo un po' che si lisciava le penne ha spiccato il volo e si è alzato dentro questo cielo diamante. Andandosene ha detto che mi avrebbe fatto un piccolo dono, ed ora mi rendo conto che mi basta pensare ad un posto qualsiasi per poterlo vedere come se volassi alto su di esso. Così ho detto me ne vado ma l'ho detto piano tra me e me, e mentre sono seduto davanti a questo odioso computer sento Crossroads nelle orecchie ed il vento intorno al corpo, sotto di me piste di terra ed erba altissima, macchie di alberi enormi e creature libere che corrono o riposano. Sono qui davanti a questo monitor mentre in realtà sorvolo la bianca striscia che separa il verde della giungla dal turchese del mare. Poi scendo e mi appoggio al legno di una veranda, dove vecchi uomini pieni di rughe e sorrisi antichi guardano il mare e fumano sigari, bevono rhum e cantano tra le labbra vecchie canzoni di sole e di mare, di sesso e di amore, di guerra e di vittoria, di vita e di sconfitta. Poco più in là un signore anziano e corpulento, bianco di barba e capelli, fissa il cielo che si fissa nei suoi occhi, e batte i tasti di una vecchia macchina da scrivere. Arrivano due ragazzi che salutano gli anziani, si siedono e chiedono dove possano acquistare sigari per un amico. Ed io testimonio che quei due ragazzi sono proprio belli, proprio come fossero in viaggio di nozze.


Grazie, piccolo corvo.


P.S.

Poi mi sento chiamare e allora mi stacco, viro e rientro qui, e poco prima di atterrare dentro il mio corpo mi chiedo se darei la gratifica di produzione appena ricevuta per la vita di quel piccolo corvo. Ripenso al fiotto di emozione quando l'ho visto spiccare il volo e mettersi in salvo nel campo, e so che darei la gratifica una, due, cinque volte. E mi dico che il piccolo corvo mi ha fatto proprio un bel dono, perché oggi dentro di me ci sto comodo e quieto davvero.

giovedì 11 giugno 2009

Magica mente

C'è il mostro, c'è il castello, c'è l'incantesimo e la ricompensa, ma non è una fiaba dei fratelli Grimm, è solo un pomeriggio di mercoledì. C'è il mostro nero e lucido che ingoia aria, brucia benzina, e restituisce una potenza rotonda che mi avvolge intorno alle curve dolci della collina bolognese. Poi c'è il castello, con le sue mura beije che man mano che il sole scende e si infiamma diventano ocra, gialle, rosa e indaco. C'è l'incantesimo che è fatto di luce dorata che filtra attraverso gli alberi e inonda la roccia, soffiando gioia dentro il cuore; l'incantesimo che è recitato da un amico col quale chiacchierare di tutto e con tutta la lentezza che vuoi; l'incantesimo cui partecipa un falco che sta immobile nel cielo, librato controcorrente; cui partecipano persone allegre che avevi voglia di vedere; cui partecipa il vento che asciuga l'umidità e ti ritrovi a 30 metri con la mano distesa a stringere piano un intaglio di roccia, piano che con questo clima perfetto di più non serve, piano che non ti affatichi e rimani lì, mezzo palmo sulla roccia, mezza punta di un alluce sulla roccia, ed il resto del corpo incastonato dentro un cielo magnifico. E poi c'è la ricompensa, che è un piatto di carne rossa, un piatto di patate al forno, un bicchiere di vino rosso e qualche cicca seduti sulle panche, ascoltando la notte e respirando l'odore di una torre di ciclamino che si alza per 4 metri contro lo spigolo del muro.


C'è il pensiero dolce che va lontano a chi vorresti fosse vicino, con la malinconia che non sia qui, con la dolcezza di sapere che non c'è fretta e che prima o poi accadrà.


C'è che a volte basta essere semplici per essere felici. Semplici come se tutto ciò che ci importasse fare fosse semplicemente guardare, muoverci, desiderare e sorridere.

martedì 9 giugno 2009

Quando ero piccolo

Quando ero piccolo tipo che avevo 9 anni il giorno in cui finiva la scuola eravamo un poco tristi perché salutavamo gli amici. Arrivati a casa però non me lo ricordavo già più che ero stato triste, e non ricordo un ultimo giorno di scuola che non avesse un gran bel sole in cielo. Quel primo pomeriggio di libertà ritrovava il sapore nascosto di albicocche rossastre con la buccia screziata di scuro; di pesche pelose col profumo che ti stordiva, di prugne mature nere nere fuori, gialle gialle dentro, col nocciolo che veniva via pulito e tu che colavi sugo dal mento. La mattina dopo poi era la magia di disporre di un tempo nuovo. Mia mamma usciva di casa ed io avevo le chiavi; alle dieci eravamo tutti in cortile con le biciclette, a pedalare come forsennati sempre intorno al quadratone centrale; i viaggi dalla corte 9, la mia, alla corte 10 erano viaggi nell'ignoto, ma quando ci spingevamo alla corte 11 era come un altro pianeta. Ogni corte era quadrata, il giardino quadrato coi piccoli viottoli, i fili per stendere, siepi e aiole e qualche albero, ed il percorso pedonale sui 4 lati, ciascuno di 80 metri, dove noi sfrecciavamo; le case tutte identiche tutte intorno. Ma nelle altre corti era anche tutto diverso. E noi pedalavamo. Io, Marika, Medardo, Alessia, Alessandro, Elena. Nelle altre corti c'erano Cristian ed Alan, come stranieri, come tribù Tuareg lontane che ogni tanto incontri, con le quali scambi saluti e parole di rito, ma poi via. Anche perché il fascino dell'ignoto... si sa. E finiva che le nostre ragazze erano semrpe più affascinate da quelli là che da noi. A mezzogiorno arrivava l'amica di mia mamma in pensione e mi faceva da mangiare, alle due ero già giù, talvolta il primo, talvolta l'ultimo. Se ero il primo c'era la frenesia dissimulata di aspettare che arrivassero gli altri, e magari li andavi a chiamare anche: Dlin-Dlon - sì, chi è? - signora sono Andrea, c'è Alessandro? - Sì te lo chiamo, anzi viene giù, ciao Andrea - buonasera Signora. Se ero l'ultimo mi godevo che mi venissero a chiamare al campanello o, più spesso, che mi chiamassero a squarciagola dal cortile. Alessandro aveva la BMX, Alesia ed Elena la Graziella, Marika la caricavamo (era la più carina) ed io e Medardo le bici da cross. Era bello appoggiarle al bordo del muretto e sdraiarsi nell'erba. Ecco, poi giocavamo a muretto ed io a calcio non valevo niente, però ero un po' il leader e questo bastava a farmi vincere spesso, con qualche colpo barato sul quale nessuno diceva nulla se stavo nei limiti dell'accettabile. Funzionava così. Un giorno comprammo i tubi di metallo e lo stucco, e passammo una settimana a farci minuscole chiazzette rosse e dolorose sulle gambe, ma in faccia no, non vale. Poi la mia cerbottana la piegai colpendo Alessandro sulla schiena, perché lui mi era venuto addosso in bicicletta. Io mi ero sbucciato le ginocchia, le mani, e tagliato una scarpa nuova nuova. Lui aveva un segno terribile per il mio colpo di cerbottana sul gobbone e perché l'avevo buttato in terra. Per due giorni ci autoconfinammo in casa, erano le nostre inevitabili guerre. Poi scendemmo in cortile e per mezza giornata ci ignorammo. Poi non ci ricordavamo più di niente. I nostri genitori nemmeno si parlarono. Cioè si parlavano, perché erano amici, ma non parlarono di quello, credo, e a noi non dissero mai niente. In fondo cosa c'era da dire? Alessandro prese il Vic 20 e mi fece giocare ad un giochetto dove un topo mangiava il formaggio che trovava nel labirinto. Era esotico, arcano e magico il computer, la cassetta del gioco, e tu che comandavi il topo sullo schermo. Ci giocammo per qualche giorno nella mezzoretta dopo pranzo, poi dopo andavamo in cortile a correre, pedalare, giocare. Dopo non ci giocammo proprio più. A me piaceva Marika, ma anche un po Elena, e lo si vedeva perché nei giochi finiva sempre che un po' le picchiavo. In compenso mi picchiava Alessia, ma a me non piaceva perché era strabica e aveva i brufoli. Però andavamo tutti d'accordo ed eravamo sempre insieme. Quando il vecchio del terzo piano divenne cattivo e ci urlava di stare zitti e ci prendeva a male parole, un paio di genitori gli suonarono alla porta, poi il vecchio non ci diede più fastidio. Però i genitori ci avevano detto che fino alle nove del matitno e dopo pranzo fino alle tre era l'ora del silenzio. E quando era l'ora del silenzio noi parlavamo piano e non correvamo in bici né giocavamo a muretto. Erano regole, funzionava così, e andava bene. Quando gli amici partivano per le vacanze dispiaceva, ma non è che proprio si sentisse la mancanza, era più che altro un senso leggero di incompletezza. Quando tornavano era festa, erano saluti, forse un paio di minuti a chiacchierare tipo "ho visto i delfini e un vulcano" e poi basta, era come se non fosse passato un mese in mezzo, e nemmeno un giorno.


Era semplice, bello, vitale, sudato, solare, saporito, grezzo, ruvido, urticante, fresco, divertente, intenso, colorato, giovane. Era giusto.

lunedì 8 giugno 2009

Intégràti

Al TG di, mi sembra, canale 5: “Un segno di integrazione della comunità rumena, a partire da oggi viene trasmesso, in molte regioni del nord, il TG in lingua rumena”. Praticamente si sono integrati fra di loro ed il giornalista che ha scritto la notizia è un cretino integrale.Ecco invece un caso di integrazione “bambino cinese che scrive poesie in dialetto lombardo premiato”. Speriamo che da grande faccia il giornalista al posto dell’idiota dell’articolo precedente.


Questo è il testo originale di una mail che l'ingegnere alcolico ha mandato oggi a noi suoi colleghi, per renderci partecipi del suo pensiero. Considerando che questo ingegnere è una persona di sicuro buon cuore e palese generosità, penso che siamo messi davvero male. Perché se i buoni pensano simili cazzate, allora non c'è davvero scampo...


Nessuna delle due notizie ha, secondo me, nulla a che vedere con l'integrazione, anche perché di nessuna delle due iniziative si specifica il contesto, gli autori ed i promotori, tantomeno le reazioni. Ma mi fa orrore che si confonda l'integrazione con l'assimilazione. Un TG in rumeno può essere una cosa semplicemente utile ed un buon servizio; molto dipende da chi ha proposto, accettato, realizzato la cosa e soprattutto da quali saranno le azioni e le reazioni di rumeni e non-rumeni; allora vedremo se si possa o meno parlare di esempio di integrazione. Ma è la seconda notizia che mi raccapriccia o, meglio, sulla quale ho letto - oltre a quello riportato - commenti raccapriccianti. Integrazione significa accettare chi, diverso da noi per la pelle, la cultura, le origini ed il bagaglio culturale, si sforza - e magari riesce e pure eccelle - nell'essere uguale a noi? Bella integrazione, e quindi un'ottima apertura di mente e assenza di preconcetti e pregiudizi, no? Il succo è: bravo tu, che stai diventando proprio come noi. Orrore.

venerdì 5 giugno 2009

Un nuovo inizio

Qualcuno ha visto l'intero discorso di Obama all'Università del Cairo? O l'ha letto? Io l'ho letto, visto e ascoltato integralmente, e sono stati 55 minuti di speranza che non possono non riverberare - lo spero - per i prossimi numerosi anni. Voglio credere che questo Presidente stia davvero mettendo in moto quei cambiamenti che nessun'altro, mai, ha anche solo voluto pronunciare.


Un nuovo inizio, responsabilità, rispetto, condivisione.


Smettiamola di guardare a Noemi, smettiamola di guardare al passato, e chiediamo ai nostri politici che inizino davvero a governarci, che inizino davvero a fare ciò per cui sono stati eletti: perseguire il bene di ogni singolo individuo.

giovedì 4 giugno 2009

Il matematico cloacale

C'è un po' di tutto, qui. Dietro le mie spalle il collega che si fa le pugnette e io che devo studiare nuove tecnologie con il suo cic-ciac affrettato e convulso. Il capitano d'impresa coi pantaloni sempre lisi in zona cesarini perché non riesce a non grattarsi l'uccello anche davanti ai clienti: sgrat-sgrat-sgrat. Il professionista che puzza di alcol da mattina a sera e quello che starnutisce ogni giorno e sempre con tale potenza da farsi sentire anche fuori degli uffici e da irrorare di muco lo schermo.


Ma il meglio è il matematico, mente brillante e decennale carriera in Enea, che non si lava. Quando dico che non si lava non intendo che odora di sudore, o che ha quell'aroma untuoso e stropicciato di capelli sporchi. Dico che il fetore di corpo lercio promana in ondate casearie, in cavalloni fecali, in tsunami solforosi dal suo ufficio. E se hai la sventura di entrare in bagno dopo di lui, o hai riflessi più che pronti e ne scappi in tempo, oppure sei finito: in preda ai conati ti accasci al suolo e invochi una rapida fine. Qualcuno di voi conosce l'odore di corpo sporco davvero, sporco che non si lava mai e poi mai e tutto si accumula, si stratifica, sedimenta e si amalgama?


Oggi ho scampato l'assalto nauseabondo ed emetico, ho fatto dietrofront, e la potente scossa limbica datami da quella sferzata macilenta mi ha ispirato una ballata. Eccola:


Come il fiato di una iena insieme a quello di balena

O l' ascella di uno yak ben serbata in tetrapak

Un odore di cancrena che ti stende e a terra mena

come un bell'elettrochoc dopo un bricco di cognac.


Niente acqua né sapone o sulle croste un bel tampone

Ama il puzzo e'l suo olezzo il matematico in pensione

che i colleghi spinge tutti a vomitoria propensione


Denti neri e mezzi marci con cui riesce ad ammorbarci

nel parlargli sii veloce i suoi effluvi son feraci

puzza più che sfatti sorci e purulenti vecchi squarci

sa di piedi e vecchi caci, è come dare a un culo baci


Niente acqua né sapone o sulle croste un bel tampone

Ama il puzzo e'l suo olezzo il matematico in pensione

che i colleghi spinge tutti a vomitoria propensione


E dopo tutti i suoi liquami mai si lava lui le mani

solo chi è davvero ardito usa il bagno che ha lordato

lasciando peli disumani su lavandini e asciugamani

firmando il cesso immacolato col merdoso suo essudato


Forse tiene carne secca nella sua mutanda a stecca?

Forse le unghie ha incarnite nelle calze saporite?

O che irrori le emorroidi ad agar-agar e steroidi?


Non ci è dato di sapere

nè pensiamo con sollazzo

a che fa del proprio cazzo

o ancor più col suo sedere


il suo fetore è epocale

un abbraccio nauseabondo

ci menerà all'altro mondo

il matematico cloacale

mercoledì 3 giugno 2009

Work less, live more

20090603-PerfumePrendi la macchina la bicicletta il treno i tuoi stessi piedi e parti. Prendi il sole e appoggialo sulle spalle, prendi la pioggia e lasciatela scivolare addosso, prendi la luna e appendila davanti al tuo naso, prendi i monti e gettali laggiù in fondo, prendi un mare verde e violetto e soffiaci dentro cavalloni profumati. Fai quello che vuoi ma vai, solo questo, vai.


Vai perché hai gambe, un cuore, e due occhi che sanno guardare e che riescono a vedere. Vai perché da quando sei nato ti hanno costruito come un pugno serrato pieno di bisogni da soddisfare, ma i profumi che ti hanno invaso i sogni e le immagini che ti hanno aperto la vista ti hanno insegnato a volere, a smetterla di avere bisogno almeno ogni tanto.


Vai perché ci sono mille posti dove vuoi andare, e di questi mille 999 forse nemmeno sai che esistono, ma l'importante ce l'hai tutto stretto fra le tue dita aperte nel momento in cui sai dove vuoi essere domani. Ignori, eppure lo senti, che ognuno di quei 999 altri posti è connesso al precedente da un sottile filo chiaro sul quale scorrono i tuoi desideri come perle scolpite da schegge di sole. Il primo passo allora qual è? Cosa vedi, cosa senti e cosa desideri? E soprattutto, sorridi al pensiero di dove sarai? Lavora di meno, vivi di più. Io lascio che sia un mare di lavanda a guidarmi col suo aroma che sa di sera e di bellezza semplice e ruvida, e che siano i sentori limpidi di un Kerner ad alimentare le mie voglie. L'importante è il primo passo, e gli altri 999 sono tutti dopo di quello. E verranno anche loro, quando lo vorrò.

L'astio del lunedì


  1. Fanculo al collega che ieri sera ha visto La Grande Guerra e oggi si vanta di essere andato a dormire alle tre perché ha deciso di ristudiarsela tutta per capire bene le cose. Ma tromba, va'!

  2. Pannella fa l'ennesimo sciopero della sete. Bene, che bello, è ora che si disintossichi e dia un esempio agli altri alcolisti cirrotici suoi pari.

  3. Kakà, che aveva giurato fede al Milan, se ne va in Spagna o in Inghilterra, pagato 9 milioni di euro netti a stagione. E io dico: masticazzi!

  4. Venerdì, 4 ore Bologna - Arezzo; oggi, 2 ore e mezza Padova - Bologna. Code e incidenti. Ma dove cazzo deve andare tutta 'sta gente? Non lo sanno che solo io ho il diritto...?


Tipico astio di un lunedì mattina assonnato che fronteggia l'infinito baratro della settimana lavorativa. Solo che poi ricordo: oggi è mercoledì!



  1. In effetti è encomiabile che un giovane di 30 anni abbia una tale capacità e volontà di approfondimento.

  2. Pannella in fin dei conti, per quanto sia ormai la caricatura di se stesso, pare rimanere uno dei pochi integri.

  3. A me del calcio non mi è mai fregato nulla. Fossi io Kakà farei uguale, comunque.

  4. Però sabato, lunedì e martedì ho trovato autostrade vuote e a tratti davvero belle (A27 da Vittorio Veneto in su, una meraviglia). E anche oggi non mi è dispiaciuto perdermi nella campagna ferrarese tentando di rientrare per stradine alternative.


Il lavoro condiziona la vita. Work less, live more.

venerdì 29 maggio 2009

Go for it

Il Ruggito del Coniglio, 610 SeiUnoZero, Caterpillar. Poi Dispenser, Decanter e anche altri programmi. Ammè RaiRadioDue piace 'na cifra!

giovedì 28 maggio 2009

Burst

BurstAll'inizio non si capiva bene: magari chiacchieravi col collega e ad un certo punto iniziavi a chiederti perché il suo viso fosse di quella tonalità così intensa. Poi ti guardavi le mani ed era lo stesso, allora smettevi di prestare attenzione al monitor, al libro, a tua mamma o al tuo uomo e notavi che ogni oggetto aveva lo stesso tono carico, aranciato, che vedevi sulla tua stessa pelle, riflesso negli occhi del tuo interlocutore.


Poi la gente aprì le finestre e rimase immobile a scrutare la meraviglia, quello spettacolo di fiamme e fuoco che danzava nel cielo, laggiù all'orizzonte, lastricando le strade bagnate con una colata di rame liquefatto. Qualcuno pensò ad un'esplosione nucleare, qualcun'altro ad un attacco alieno, qualcun'altro ancora a un nuovo e sconvolgente fenomeno naturale. In pochi secondi scese un silenzio innaturale, intaccato solo dai tonfi dei numerosi tamponamenti, tante erano le persone che guidavano guardando l'orizzonte.


Dita divine plasmavano quelle nubi color pesca strascinandole in volute rilucenti, mentre basso all'orizzonte il nucleo di quel calore bianco continuava ad abbacinare e rifulgere come una stella. Poi, lentamente, i colori si affievolirono, divennero più morbidi e cauti, ed il cuore pulsante perdette la propria intensità spegnendosi lentamente, fino a che non si fuse con il cielo soprastante in una volta perfetta che trascolorava dall'arancio al blu del crepuscolo. Infine ai lampioni si unirono le stelle, e lassù in alto anche una falce di luna. Il vento fresco della prima notte soffiò via gli ultimi refoli di nubi e colori, e rimase un cielo profondo e integro, vibrante di piccolissime stelle bianche.


Rientrata a casa, la gente cenò adagiata in una serenità che non aveva mai conosciuto prima. Chiunque poteva fece l'amore, e chi non poteva rimase a pensare alle proprie fortune e, per una volta, le trovò immensamente più grandi delle sfortune. Nel cuore profondo e sopito della notte, i grilli danzavano il loro canto, trapuntando il silenzio con merletti spensierati. Ce ne voleva davvero tanta, di bellezza, perché gli uomini riuscissero a farsene ancora catturare. Ma quella volta il temporale, le nubi ed il tramonto erano riuscite nell'intento di scuoterci dal nostro torpore.


[Dalla porta dell'ufficio dopo il temporale]

mercoledì 27 maggio 2009

Cambio Change Exchange Wechsel

Mi sta sui coglioni la gente che non cambia mai programma; non sopporto l'immutabilità di un percorso con la motivazione che la decisione è già stata presa. Ma che cazzo vuol dire? L'inossidabilità delle piccole menti.

Estasi

Sa del verde di piccoli fiori chiari,

sa dell'indaco di una sera di giugno,

sa della brezza di una notte tiepida

il profumo dei tigli che mi avvolge e pervade.


Come un'estasi semplice e sottile, come respirare la bellezza che nutre il mondo.

martedì 26 maggio 2009

Una ventata fresca

Prima Poco prima Ecco!


Fa caldo. Pure sulle colline, all'ombra di una parete di roccia, l'umidità ti cola addosso in rivoli di sudore che irritano la pelle, gli occhi, che ti sfiancano. Impacchetto corda e materiale e nel calore abbacinante guido fino a casa; in un movimento unico abbandono lo zaino, mi spoglio e mi getto sotto la doccia appena fresca. Lascio che l'acqua mi ruscelli addosso e si porti via la sensazione urente di un pomeriggio intontito. Ne esco integro e mi vesto dentro una maglia colore di gemma. Camminiamo nel vento che si alza, e l'aria porta il presagio di qualcosa che si sta accumulando.

In piazza c'è mezza città, il sole è quasi al tramonto ed i palazzi sono un ottimo schermo; si sta bene seduti a ordinare spriz e guardarsi intorno: c'è chi è rosso di sole e chi bianco come la pancia di un pesce; chi veste come al mare e chi calza stivali scamosciati. Ci sono pure i tedeschi che ripetono ad alta voce, ridendo in quel modo idiota che solo loro padroneggiano, gli annunci dello speaker di una manifestazione di boxe.

Lo spriz è rosso nel bicchiere, il ghiaccio tintinna e il vento scuote le tovaglie; poi aumenta di intensità ed il cielo viene invaso da una mareggiata verdastra e livida. La sensazione di forze accumulate è pressante, ed è piena la certezza che a breve si scateneranno. Al ristorante affianco i clienti guardano il cielo, i camerieri lo scrutano, qualcuno chiede di rientrare e iniziano migrazioni in fila indiana, tutti col proprio bicchiere - tovagliolo - pacco di posate. Poi le raffiche diventano violente e la gente si alza, paga, raccoglie le cose e si allontana.

Una goccia, poi due, poi ne giunge il rumore. Appena siamo sotto il portico l'acqua inizia a cadere fitta ed i camerieri si impartiscono ordini serrati, portano via bicchieri e tovaglie, mentre la piazza è già completamente deserta ed il suono della pioggia arriva sulle raffiche di vento, tagliato dallo scoppiare dei bicchieri che finiscono al suolo. Il cielo livido è una belva e scarica cortine liquide, poi i colpi si fanno duri e secchi, e inizia la grandine.

In quindici minuti il mondo si è ribaltato, il vento ora è quasi freddo e alla lentezza vasodilatata di prima si contrappone un senso di allerta e frenesia, di aspettativa.

Lentamente spiove mentre la tempesta elettrica infuria più selvaggia di prima; sembra promettere ulteriore violenza ma non vi è più la sensazione di enormi forze trattenute. Il cielo fa cavalloni violacei mentre la luce si spegne, e la città si trova ripulita sotto un manto luccicante e perlaceo. Domani sarà di nuovo caldo, ma intanto qui e ora c'è quella piccola sensazione limpida di aver vissuto un rovesciamento di forze, di fronti e di sensazioni. Il fresco mi ha rinnovato l'appetito, l'insalata di pasta ed i suoi aromi semplici mi tuffano ancora di più nella sera. C'è pace.

Decisionismo

Io dico, prendiamo la situazione nelle nostre mani, e che cazzo! Cioè contro i sopprusi della società mondiale globbale, contro le vesazzioni dei preppotenti, contro l'anarchia dilaguante che la gente non sanno più come farsi a far andare avanti, ecco un grido tutt'unito che si leva dalle genti e dalle folle: l'utero è mio e me lo gestisco io! O anche quarcazzo d'altro, ecco, ma basta che si grida no.



PECHINO: con la forza, un uomo ha messo fine ad un blocco stradale causato da un aspirante suicida. Per farlo lo ha buttato giù da un ponte. La sua motivazione: il potenziale suicida ha agito con egoismo.

TRAFFICO BLOCCATO - Chen Fuchao è rimasto per cinque ore in cima al ponte di Haizhu nella città di Guangzhou. Voleva farla finita perchè indebitato fino al collo a causa di un fallimento di un progetto edilizio. Tuttavia, il suo gesto estremo, o meglio il suo tentativo di compiere un gesto estremo, è stato interrotto bruscamente: Lian Jiansheng, un passante spazientito perché bloccato nel traffico, ha superato il cordone di polizia, si è arrampicato fino alla cima del ponte di Haizhu dove si trovava l'aspirante suicida, gli ha stretto la mano e lo ha spinto nel vuoto. L'uomo ha fatto un volo di qualche metro atterrando su un materasso di emergenza parzialmente gonfiato da vigili del fuoco e soccorritori in attesa. Jiansheng, un soldato in pensione di 66 anni, ha poi ancora salutato la folla. L'intera sequenza è stata ripresa dalle telecamere.


NOTIZIA ORIGINALE DAL CORRIERE



E ancora insomma voglio dire, quanno ce vo' ce vo'! O no?

venerdì 22 maggio 2009

Buon compleanno, Mulo!

Dalle 11:31 del 22 maggio 2008 alle 11:31 del 22 maggio 2009.



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Auguri Mulo!

giovedì 21 maggio 2009

Caldo e sonno

Ho caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e caldo e sonno e mica mi danno fastidio, ma vorrei solo dormire, in un prato, all'ombra di un bell'albero, chiacchierando lento lento, con una bella voce allegra.

Sic et simpliciter

20090521 - EdgeCi sono momenti, gesti, sensazioni e situazioni che sono semplicemente così, e che così sono perfetti. E' parte del succo di questo blog, un memento che talvolta va bene farsi trasportare dentro una dimensione semplificata ed essenziale di se stessi e della propria esistenza.


Mica che sia un processo cognitivo attivo, o sarebbe minata la base stessa di questa ricerca di semplicità ed essenzialità; penso solo che la risposta alla complicatezza (di visione, di interpretazione, di azione) del quotidiano sia la ricerca di istanti puri e grezzi che vanno solo ed esclusivamente vissuti.


Forse arrampico per questo, perché nei pochi secondi tra l'immagine della foto e l'epilogo della sequenza ho fronteggiato una situazione chiara ed essenziale: provo i movimenti e volo, oppure no? Ho deciso di provarli, sono salito di un altro metro e mezzo e poi - come prevedibile - la presa era troppo lontana e troppo piccola, non l'ho tenuta, e sono volato di sotto per 6-7 metri. Mentre volavo, un bel volo a semicerchio perché il movimento mi aveva gettato verso destra, ho sperimentato l'annullamento totale della coscienza. Il corpo leggerissimo, il mondo che accelera e si sfuoca, e mi son trovato penzoloni in fondo alla corda.


Ma non sono solo questi i momenti che mi investono come cascate di acqua gelida, come uno scrub del cervello che asporta strati ormai vecchi. C'è una spalla che bacio sovrappensiero camminando per la città al crepuscolo; c'è un campo di grano verde e papaveri rossi che mi conquista inatteso fuori della palestra; c'è un amico che appare al tavolo del ristorante con tre calici e si siede con noi per un saluto veloce.


Istanti in cui tutto è semplice e chiaro, quando l'esistenza acquista improvvisamente contorni netti e una messa a fuoco ulteriore. Bello.

martedì 19 maggio 2009

Offerta di lavoro

Errata corrige: OFFERTA DI LAVORATORE


Offro gratis un ingegnere 65enne, di origine siciliana con background torinese, da anni residente in Bologna. Dell'ingegneria, delle radici siciliane, della maturità piemontese e della senilità emiliana ha preso il peggio e tralasciato il resto. Le caratteristiche sono:



  • gran lavoratore, libero professionista da 60 ore settimanali (e gliele pagate);

  • incapace di lavorare in team;

  • disordinato, confusionario, imprevedibile;

  • conosce tutti i campi dell'informatica. In apparenza. In patica scrive programmi che sono copiaincolla di esempi trovati su web;

  • completamente irresponsabile nei confronti di colleghi, prodotto, clienti;

  • animo buono.


Se qualcuno lo vuole, lo spedisco gratis in tutta italia e allego campionario della sua seconda passione cioè vino scadente bevuto in quantità: 6 bottiglie di Cerasuolo di Vittoria (infima categoria); 12 bottiglie di Cabernet (non è dato sapere se Franc o Sauvignon, e l'unica certezza riside nei 1.29 euro a bottiglia); 3 bottiglie di Nero d'Avola (cantin aimprecisata, anno imprecisato, probabilmente coreano o giù di lì).


Attendo contatti.

Il lavoro nobilita

Coi pantaloni gialli e la polo verde arrivo in ufficio, mi preparo il té e ci tuffo due cubetti di ghiaccio che scoppiettano, poi spalmo marmellata di amarene su due fette biscottate e mangio lento guardando il muro, non vedendo nulla davanti a me. Prendo la busta verde del Golden Virginia e arrotolo una sigaretta, esco e l'accendo. Il cipresso è azzurrino ed il caco ha foglie succose e chiare. Decido di fare 4 passi mentre fumo e giro intorno all'edificio. Scopro un viottolo che non avevo mai notato e lo imbocco, iniziando a camminare dentro questo cielo di diamante che dà una superdimensionalità brillante a ogni cosa. Un passo dietro l'altro, finisco la sigaretta senza accorgermene e continuo a camminare col sole sulle spalle come un peso leggero, tiepido e morbido. Inizio a salire un passo dietro l'altro e con stupore vedo che il paesaggio muta: il sentiero è chiaro e polveroso, stretto e cosparso di aghi di pino, mentre intorno a me guadagnano terreno le conifere verde scuro. Grossi massi di granito arancione spuntano un po' ovunque, e comincia ad alzarsi un vento appena fresco mentre la luce acquista - se possibile - un ulteriore grado di limpidezza. La risata di un torrente me lo annuncia prima di vederlo, poi le anse strette e saltellanti si mostrano d'improvviso. Sull'acqua si riflettono schegge di luce in rapidissimo movimento, e sotto la superficie vedo piccole alghe verdi pettinate in ciuffi dalla corrente. Tre pietre bianche, tre salti, e sono di là. Una curva che gira intorno a un masso più alto degli altri, mi soffermo con una mano sulla roccia calda che sa di buono e di quieto, e decido di salire in cima. In piedi nell'aria veloce mi volto indietro e una magia mi mostra il mare. Vedo la strada percorsa ed è tanta, la vegetazione che scendendo si schiarisce, le conifere che si stemperano nei latifogli, una striscia sottile in piano e poi la costa lambita dal mare cobalto. Fumo un'altra cicca? Ma sì, così tengo lontana ancora un poco la sensazione di fame. Sull'ultimo tiro qualcuno mi chiama con un "oh". Il pastore è senza gregge ma nelle mani brune di sole e screpolate tiene due secchi. Pesca una forma chiarissima di ricotta semi-stagionata, la avvolge in un panno e me la porge con un sorriso. Io gli arrotolo una sigaretta e gliela passo con un sorriso. Sale con me sul masso, seduto a gambe penzoloni guardiamo un po' il mare e un po' la strada che conduce in cima al colle. Lui fuma, io mangio la ricotta in fette grosse ricavate col suo coltello dal manico in osso. Arriva odore di rosmarino e resina, di pietra tiepida e salmastro, di erba d'altura e miele. Infatti da un vaso ne lascia colare un rivolo denso su una fetta di pane, mi indica di metterci un pezzo di formaggio e di mangiare. Io chiudo gli occhi e non riesco più a formulare alcun pensiero, non ne ho davvero più voglia, tantomeno bisogno.


Gli arrotolo un'altra sigaretta, mi passa due fette di pane ed una borraccia di latta con acqua fresca, scendiamo dal masso e io riparto in su, lui in giù. Ancora qualche tempo e anche le conifere lasciano il posto all'alpeggio: vasti prati di erba bassa percorsi dal vento e movimentati da piccole collinette dolci. Il torrente scorre placido e cristallino scavando il suo percorso nell'erba. Salgo in cima al colle verde, coronato dai bastioni di granito tafonato tutti rossi e gialli. Arrivato qui mi siedo con le spalle contro la parete e ne assorbo il calore. In distanza, laggiù, il mare, qui la montagna, io che li tocco entrambi. Mangio il pane, bevo due sorsi d'acqua e fumo una cicca mentre corvi dalle ali spiegate volano nei loro nidi, dentro i buconi tafonati di queste pareti primordiali. Un gheppio spalanca le ali, la testa protesa all'ingiù a scrutare ogni macchia d'ombra, immobile nel cielo come un disegno.


Respiro come non ho mai fatto e... dalla sala riunioni mi arrivano le parole analisi, istogrammi, grafici. Porca troia, riprendo contatto con il muro che ho a 80 centimetri dagli occhi. Porca troia. Proprio proprio porca troia.

lunedì 18 maggio 2009

Eureka

Ho capito perché in media mi stan sui maroni le scimmie: perché assomigliano agli esseri umani. Troppo simili nelle fattezze e con un'intelligenza sufficiente ad essere stronze e rompicoglioni proprio come... ragazzini rompicoglioni. Lemuri a parte, s'intende, e tutte quelle scimmiettine pelosette con grandi occhi e, in genere, sufficientemente distanti dall'aspetto antropomorfo.


[Frequentando amici con prole - peraltro simpatica considerando altri funesti esempi - mi sa che mi si sta acuendo una certa insofferenza verso il mondo dei nostri cari pupattoli. Che poi, si ragionava, nella totalità dei casi toccati di persona, dietro un figlio rompimaroni c'è un genitore che non si sa in alcun modo imporre, tantomeno proporre come modello e riferimento.]

venerdì 15 maggio 2009

Il rimbecillimento

E' più forte di me, dopo 40 secondi inizio a digrignare i denti, al minuto iniziano a fondermi le orecchie, più oltre evito di arrivare e così mi allontano. E' che proprio io non lo capisco cosa ci sia di così eclatantemente bello in un bambino di 6 mesi. Capisco se ne sei il genitore, un parente, qualcuno emotivamente coinvolto. Ma ora che la responsabile amministrativa viene in ufficio portando seco il neonato, ci sono un paio di energumeni grossi, cicci, barbuti che passano tutto il tempo intorno alla creatura pronunciando con voci da idiota minchiate a nastro tipo:


- Oh il braccino piccolino!

- Oh la manina, piccolina!

- E questi piedini, ma che bellini!

- E ridi eh, cosa ridi te, piccolo frugolino!

- Oh che pagnotta!

- Oh che amorino!

- Oddio guardalo, che cicciottoso!


Ma dico, ti capisce? Lui no, io sì. Lui dorme, sbava, rutticchia e talvolta sorride al tono idiota delle tue minchiate; io in compenso ti prenderei a calci nelle balle! Sono cattivo, lo so, o quantomeno insensibile, ma cosa diavolo ci trovi, un cristone di 29 anni in un neonato, tanto da farne il centro della propria rincretinita attenzione per 4 ore al giorno, io non me lo figuro. Ma diavolo poi, checcazzo, che tanto lo si vede, capisce e lo ammetti tu stesso che stai per sposarti con una che ormai è tua sorella. Mamminchia, ma un po' di ormoni no?!?!

giovedì 14 maggio 2009

Estemporaneo

14052009 - estemporaneoC'è una terra brulla che nella stagione giusta (o in quella sbagliata?) pare l'Irlanda. Colline verdi che sbattono contro il cielo azzurro, attraversate dai lecci nodosi, percorse da pecore bianche e lambite da un mare turchese che sotto il cielo sbagliato (o quello giusto?) diventa di piombo.


Ci sono rocce grigie e rocce rosse, pareti gialle e pareti azzurrine, e ci sono piccole persone che ci arrampicano sopra. Ci son birre e c'è l'odore carico del formaggio, quello speziato del porchetto e legnoso del vino. E mi viene in mente tutto quanto e tutto insieme proprio oggi, e non so perché, forse solo perché mi mandano una foto per mail.


Mentre pranzo coi colleghi rivango il passato, scopro che io e Frank siamo identici - ci sentiamo identici, ci vediamo identici - a quando ci conoscemmo 9 anni fa. Solo che adesso ci è difficile definirci ragazzi, lui ha una figlia ed io problemi che manco pensavo esitessero, talvolta una serenità che manco pensavo avrei potuto sfiorare. Chiacchierando su un forum rido al ricordo delle mie frustrazioni di paninaro mancato: con solo i Levi's e la maglietta Best Company, potevo definirmi quantomeno un assaggino? Magari un vol-au-vent di moda? Chissà. E poi mi chiedo: tutte le mode tornano di moda ciclicamente, ma ad ogni iterazione più vuote? E soprattutto, questa è una realtà o la mia percezione di adulto?


Fondamentalmente ho problemi e ansie, qualche angoscia e alcune belle gioie. Fondamentalmente mi chiedo se rifarei quel che ho fatto. E poi mi dimentico di rispondere, perché il culo ce l'ho qui su questa sedia qui in questo momento qui dove sono io. E non sto né di là nel futuro né laggiù nel passato.


Anche se a volte son film che rivedi volentieri, o che immagini pieni di effetti e con una grandiosa fotografia.

Adesso sì!

Perché dico, ohpporcoggiuda, insomma così mica si può andare avanti: cos'è tutto 'sto prato verde e nessuno che ci scriva sopra, eh? Allora adesso scrivo un bel post, di quelli un po' malinconicamente ripiegati sul passato, con qualche afflato di cattiveria ironica o di ironia cattiva. Eccolo:


accidenti, mi chiamano per una riunione

mercoledì 6 maggio 2009

Ve lo dedico

06052009- Hai la passione eh?

- Veramente no.

- No?

- No.

- Ma ti vedo spesso a far foto.

- Ho la passione.

- Uh?

- Delle cose belle.

- Aah...

- Tipo questi fiori rosa...

- Sì sì

- E quelli gialli, là...

- Belli belli

- E le pratoline come nuvole...

- Le margherite.

- Pratoline, margherite, sì.

- Già già, capisco, sì.

- No, non capisci.

- Uh?

- Non capisci proprio un cazzo, visto che sei qui a falciarle via.


Dedicato a chi ama le aiuole ben rasate, i prati ordinati, gli alberi potati, l'universo ricondotto in forme che può dominare e controllare, etc etc etc.

martedì 5 maggio 2009

Effimeri

Si sta come d'autunno, sugli alberi, le foglie.


Notte strana di pioggia, incolore del beije dei corridoi, fredda di una vecchia sedia con ruote. Arrampicavo come non avevo mai fatto, e proprio giunto in cima emergevo nel mio letto senza aria nei polmoni, una mano spietata a tenermi giù, schiacciato giù, a premermi qui.


Una firma alle sei del mattino testimonia la mia incoscienza, o forse la mia consapevolezza. Chiedo se sono dissennato, l'uomo bianco mi dice di no. Penso che forse dovrei smettere di fumare nonostante ogni buco e ogni raggio abbia dato un esito tondo e negativo. Penso che sì, forse dovrei smettere. E così esco nell'inizio dell'alba di questo maggio travestito da novembre, mi accendo una Marlboro e vado via, pensando che forse la Marlboro va quasi bene se il problema è, come spero, lo stress.


Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie? Spero rammentino, lassù da qualche parte, che è maggio.

lunedì 4 maggio 2009

PrimaVera

Primavera, rondini che tagliano il cielo e papaveri rossi e delicati che vibrano nell'erba. Odori e colori, i profumi ed i suoni della vita che riprende, esplode, e sotto il sole si distende. Sull'autostrada la luce è grande e calda, la musica alta e canta di Alabama. Ridiamo, cantiamo, e io ho solo voglia che non finisca mai, solo voglia di andare e andare e poi ancora andare, sempre.

giovedì 30 aprile 2009

Boa sorte

Una stradina apre la foresta dal villaggio all'oceano turchese. Una donna di cacao, occhi caffé scuro, cammina con le mani abbandonate sui fianchi. Bambini le sciamano intorno, si inseguono, scappano via ridendo. Sulla spiaggia bianca ci sono poche persone ed una baracca di legno che vende rhum e limonata; all'ombra della veranda un uomo suona la chitarra, sprofondato in una vecchia poltrona di vimini. La donna si ferma e scruta le onde, ad occhi chiusi trae un respiro profondo e salmastro e una folata di brezza le porta la musica; quasi cede, ma poi si scuote e si incammina.


L'uomo la vede arrivare, smette di cantare e le sorride, continuando ad arpeggiare delicatamente.

- Me ne vado - dice lei. Si volta verso l'oceano e lo ripete ancora: me ne vado.

L'uomo cava una sigaretta da un pacchetto stropicciato, accende, e aspira il fumo; poi incastra la sigaretta nel manico della chitarra e riprende l'arpeggio, cantando sommessamente una melodia senza parole.

- Non hai nulla da dire - soffia via lei esausta, dentro il vento caldo dell'oceano.

Lui sbuffa - Non alla tua schiena - dice, con un sorriso semplice che gli strizza un poco gli occhi..

Lei si gira e lo guarda, gli occhi fuggono e si fermano sulle mani che pizzicano le corde.

- Sei un maledetto - dice, - un maledetto - ripete, e la voce le si spezza.

- Lo sapevi... -

Lei scuote il capo, i capelli si sciolgono e fendono l'aria col profumo morbido di spezie lontane; frammenti di lacrime brillano come spuma di onde.

- Perchè - grida lei, - perchè? -

Lui prende la sigaretta, aspira e soffia, la rimette al suo posto e riprende l'arpeggio. Scuote il capo e chiude gli occhi.

- Mi amavi? - chiede lei aggrappandosi ai suoi occhi chiusi.

- Dimmi questo almeno, mi hai mai amata? -

La musica si ferma: - Ti amo. Forse ti amerò sempre -

Lei si porta le mani alla gola, al viso. - Ma allora perchè? -

La musica riprende, lei guarda lui e lui guarda l'oceano, con quegli occhi così azzurri che lei gli ha sempre detto che è stato il mare a farli così, per quanto a lungo lui l'ha guardato.

- Ricordi i coralli? -

Colta alla sprovvista il suo sguardo si fa distante, poi torna a fuoco e fa cenno di sì.

- Erano bellissimi, vero? - sorride lui.

Per un attimo un sorriso lontanissimo ma potente le illumina gli occhi, e lei è bellissima.

- Erano un dono di Dio per quanto erano belli -

- E ricordi cosa mi dicesti dopo? -

Il suo corpo ha un tremito, gli occhi caffé si fanno ancora più liquidi.

- Che eri uno stupido -

- Perchè? -

- Stupido stupido stupido -

- Perchè? -

- Dio, no! -

Lui sorride ancora e con gli occhi le accarezza il viso - lo sapevo io, e lo sapevi tu -

Lei cade sulle ginocchia, gli appoggia il capo in grembo e si lascia accarezzare i capelli, la chitarra poggiata affianco della sedia; piange in silenzio, lui in silenzio guarda l'oceano.


Pochi minuti dopo si alza; non piange né lo guarda più, solo si incammina e si allontana dalla baracca, dal rhum dolce e dall'aroma verde del lime, dalla pungenza salmastra del legno e dal riverbero chiaro di quella spiaggia incantevole. Si allontana dall'oceano turchese che negli anni era colato profondo dentro gli occhi dell'uomo che ora abbandona, quell'uomo che lei ama e che, è sicura, ama lei. Quell'uomo silenzioso che anni prima incontrò proprio lì, a suonare e vendere rhum e limonata. Un uomo che, quando la mareggiata aveva portato in secca meravigliosi coralli, si era accontentato di guardarli e sorridere felice, mentre tutti correvano a riempire sacchi e borse dei preziosi frammenti. Lei gli aveva chiesto perché non li raccogliesse anche lui, ma lui aveva solamente scosso la testa. Il giorno dopo un’altra mareggiata si era riportata via quanto era rimasto e lei, furibonda, gli aveva detto che era stato uno stupido e che ormai era troppo tardi. Ancora sorridendo, lui aveva continuato ad arpeggiare e fumare:

- I coralli, sai, erano bellissimi. Ma a portarli via, legarli a fili d'oro o appenderli a un muro, sarebbero diventati più belli? Io non credo. Finché sono stati qui, loro si sono lasciati ammirare ed io li ho ammirati e ne ho goduto. Tutto il resto ... sarebbe stata violenza.


Allontanandosi dalla spiaggia lei continua a sentire la chitarra, e la voce sommessa che canta come sempre aveva fatto. Sa che non vi è amore più grande di quello che l’ha appena lasciata libera di costruire una vita, la propria, che qui con lui non avrebbe potuto seguire. E la musica l'abbraccia stretta, mentre un saluto come una dolce carezza le dice Buona Fortuna.