sabato 31 maggio 2008

Post sbornia

Mi rileggo, e non ritratto una virgola. Ma... c'è sempre almeno un ma, e quello odierno sotto questo stronzo sole che solo ora, dopo 20 giorni, brilla davvero, è che quanto ho scritto potrei rivolgerlo quasi integralmente a me stesso. Quasi, perché io non faccio proclami di fluida serenità quando sono tutto tranne che fluidamente sereno. Ma il resto permane: il complicare cose potenzialmente semplici, l'essere incapace di seguire una luce e dovermela figurare come un lampo potentissimo ed abbagliante solo per inseguire il mito dell'eroe dannatamente sofferente e potentemente adorato.


Il weekend inizia all'insegna del mal di testa dopo 6 bicchieri di vino, due birre e troppe sigarette. Una tangenziale percorsa a velocità tale che temo mi arriverà uno di quei bei cartoncini verdi con sopra cifre interessantissime. Parto per la Val Brembana, uno di quei bagni parentali (alla "di parenti" e non all'inglese "genitoriali") che accosterei con angoscia anche nella situazione emotiva più florida e raggiante. Proprio domani mia sorella deve cresimarsi??? In questo primo weekend di sole dopo 20 giorni di schifo, weekend lungo che avrei potuto far trascorrere tra i monti di Arco di Trento, ad arrampicare con decine di amici, in mezzo a persone simpatiche e simpatiche fighe (ops!), in posti entusiasmanti per i panorami che sanno offrire tra bastioni di roccia, laghi, castelli, boschi e cieli tersi spazzati dall'Ora, il vento che soffia nel pomeriggio dal Garda.


Vabbéne, sopportiamo questa prova perché altro non posso fare. O, meglio, posso, che L mi ha insegnato almeno questo e cioè che una scelta l'abbiamo sempre. Quindi non sono realmente obbligato ad andare: meglio dire che voglio andare perché non ho la forza di prendermi le responsabilità derivanti da un diniego.


Buon weekend lungo a tutti.

Testamento morale

Ubriaco. Premettiamo.


Mi state sul cazzo. Avete paura di tutto e inseguite tutto ciò che c'è di sporco e tenebroso nelle vostre vite come nel più becero dei film stupidi. Proclami di indipendenza, fluidità e serenità, e siete schiave di voi stesse in un modo così profondo e triviale che farebbe accapponare la pelle al più morbosamente scafato degli uomini. Raccontate cazzate a nastro credendoci fino quasi in fondo, mascherando con teorie, filosofie, religioni, prese di coscienza, strategie e consapevolezze eterogenee ciò che in realtà è una grottesca tendenza atavaica a inseguire ciò che vi fa del male scartando tutto ciò che potrebbe essere pianamente piacevole.


Vi meritate il male che vi viene fatto perché tanto spesso ne siete solo voi, o quasi esclusamente voi, la causa più intima, ma col cazzo che lo ammettete. No no, certo che no, è colpa del mondo e dell'universo e ora sì che avete capito e ora no che non ci ricadete... BRAVE!!! Castratevi il resto della vita solo per cedere le vostre molli cartilagini a chi più miseramente ne può approfittare. E se sarà stato così fortunato da approfittarne per primo, allora gli leverete altari per il resto della vita, maledicendolo in pubblico, tremando tremebonde in privato ad ogni squillo che vi faccia sobbalzare.


Ed io, cretino e idiota, io Andrea di Bologna - via xxxxxx x - nato il xx/x/xxxx (troppi mi trovavano con i dati visibili, così li ho nascosti, sorry) che non so perché minchia scrivo in questo stupido blog, ancora una volta sono vittima di me stesso e della mia ingenuità, perché penso che essere eccitante, sessualmente attraente, emotivamente simolante ed affasinante, siano cose che prima o poi metterete in fila per trarne un giudizio complessivo.


Ah, che idiota imbecille!

Facevo bene dieci anni fa, a 25 anni, quando pur schifandomi vi trattavo come pezze da piedi. Lì sì che avevo dedizione e, meschinamente vero, in essa anche sincerità! Deboli, siete deboli! Forti in tutto, avete la forza di una lumaca nel seguire una fottutissima, chiara luce! Vi meritate il male che avete! Donne. Vorrei detestarvi a priori ed essere come quei miei colleghi che liquidano la faccenda attribuendovi un'atavaica stupidità, una congenita troiaggine, un'inevitabile mancanza di oggettività.


Ma io non riesco ad essere così, e così man mano che vi incrocio capita che da voi mi faccia entusiasmare. E non c'è una volta che questo non finisca in amara delusione di ciò che avreste invece da promettere e mantenere. A voi stesse, dico.

venerdì 30 maggio 2008

La scintilla

C'era un ragazzo che ogni mattina si alzava più stanco del giorno prima; si stiracchiava sotto il lenzuolo cercando la forza per buttar le gambe giù dal letto. Stropicciandosi gli occhi andava in bagno per le abluzioni di rito, poi lentamente si vestiva, usciva sotto un cielo bianco, saliva in macchina ed in 10 minuti eccolo in ufficio.


Alle 13, più o meno, la consueta pausa pranzo nella mensa caotica e invasa di troppe voci; chiacchiere stolide con i soliti due colleghi ed i medesimi 3 o 4 argomenti a rotazione: donne, sport, lavoro, qualunquismo politico-sociale.


Poi il ragazzo conobbe una ragazza: bella, con un odore meraviglioso ed un punto di vista sulle cose che era una magia per quanto nuovo ed inatteso. Iniziarono a uscire insieme, da amici, poi da amici che talvolta facevano sesso, ed ogni volta c'era questa strana tensione tra dare e trattenere, tra prendere e rifiutare, coinvolgersi e proteggersi. Però quasi sempre il bilancio delle serate era positivo, soprattutto quando decidevano di essere loro due soli senza farsi trascinare in mezzo a piacevolisismi amici e belle serate di gruppo; perché in queste situazioni tutto il contesto risultava divertente ed emozionante ed intensamente godibile, ma loro due si allontanavano inesorabilmente e si irrigidivano. Chissà perchè! Nessuno, ora che ci penso, questo l'ha mai spiegato, ma tant'è.


Comunque continuò così per un po', mentre la primavera si vergognava di se stessa e si copriva con i colori di un bruttissimo autunno, seguendo una media matematica tanto insulsa quanto odiosa tra brutto tempo (ma brutto davvero) e bel tempo (ma bello davvero). Solo grigio, per di più un grigio umido. Eppure in quei giorni soffocanti il ragazzo riprese a camminare, prima con lei, poi anche da solo, e scoprì di non essere immutabile né schiavo di se stesso come temeva, ma di poter cambiare le cose fuori e dentro di sé per virarle al meglio.


Lui riponeva aspettative in lei, ed in lei vedeva l'immagine di molti possibili desideri: quello del sesso, quello del fare l'amore, quello del godere e del fare godere, del condividere la magia di una siepe di gelsomino, di una bottiglia di vino buona come fosse frutto delle attenzione di una bella dea, di un weekend a pedalare per colli e colline, di una spiaggia dove riposare al tramonto vestiti di lino bianco.

Lei fuggiva, spesso. O forse semplicemente non voleva.


Intanto nel ragazzo questa frequentazione portava sì una nuova consapevolezza di sé ma anche la stanchezza di essere sempre in giro, di fare sempre tardi, di bere tanto e mangiare disordinatamente, di sperare e avere aspettative e poi ribaltarsi su se stesso per accettare il presente e smetterla di pensare al futuro. Però lei continuava ad avere quegli occhi magici tra le ciglia folte, bagliori di verde e di oro, e a ogni alito di brezza che soffiava una nube di quel profumo meraviglioso le si gonfiava intorno e lui era in estasi.


Poi un giorno il ragazzo si svegliò un po' meno stanco del solito, ma solo perché si era concesso un'ora di sonno in più. Attraverso le tapparelle il cielo mostrava finalmente un po' di vero azzurro e la luce filtrava un po' colorata. Dopo i soliti lenti rituali pescò nell'armadio una camicia coloratissima ed a righe tutta sui toni di un'alba accesa. Indossò su di essa una giacca di lino colore del cacao con riflessi quasi rossi, come la terra quella davvero carica di vita e promesse nella quale far germogliare ogni seme possibile. Salì in macchina ed andò in ufficio pensando a lei e alla serata che forse avrebbero passato insieme: l'immagine così bella e così intima di lui che cucina un menù di pesce e lei che siede sul bancone, parla, e stappa champagne.


La luce incendiava ancor di più i colori della camicia e della giacca, anche se andava spegnendosi per l'arrivo dell'ennesimo fronte nuvoloso, compatto come la stupidità umana e grigio come la sua mancanza di fantasia.


La mattina trascorse.

Il ragazzo scambiò email e messaggi con la ragazza.

La serata era una promessa che ancora lei non si decideva a trasportare del tutto nella realtà.

Peccato perché di venerdì il banco di pesce si esaurisce in fretta!

Poi arrivò l'ora di pranzo.


Ed il ragazzo non aveva voglia di mangiare.

Così convinse tutti che stava bene; uscì e iniziò a camminare dietro l'ufficio, dove la zona industriale cedeva il passo ai campi appena oltre il silenzioso binario a scartamento ridotto.

Le nubi arrivavano veloci, e il ragazzo iniziò a pensare che quelle nubi, che scendevano da nordovest, avevano visto oceani e mari, monti e laghi, la provenza e le langhe ed i loro vitigni, e che in utlimo erano appena passate sulla testa profumatisisma di lei, una trentina di chilometri più a nord di quel punto silenzioso in riva ai binari vecchi.

Papaveri nei campi.

Un cieliegio carichissimo di frutti in lontananza, che bontà!

C'erano tantissime promesse nell'aria ma nessuna aveva la forza di esplodere.

Il ragazzo aveva una gran voglia di vedere la ragazza e passare una serata con lei, quella serata.

E ricordò tutte le volte in cui lei, con parole ed atteggiamenti, l'aveva stupito e meravigliato andando in direzioni impreviste.


Il binario spariva in lontananza.

Qualcuno sentì una risata allontanarsi verso nord.

Nessuno ha più visto il ragazzo in ufficio.

Nemmeno la ragazza ne ha mai più sentito nulla.

Idea:



  • stuzzichino conviviale con fettine di fragola, composta di fragola, gorgonzola, il tutto ben disposto sul piatto e accompagnato da un Franciacorta rosé che odora davvero tanto di... fragola!

  • antipasto di capesante gratinate al brandy;

  • filetto di pangasio in salsa di agrumi e champagne affiancato da insalata di spinacini freschi, agrumi e pinoli e accompagnato da uno champagne rosé sans année di Le Brun.


Sul dolce non so niente, non mi esaltano e non sono comunque capace. Ora la domanda è: avrò modo di... o cenerò tra aperitivi con amici di backup? Ecchilosa?!? Ma perché scrivo questa cosa in un blog?

Fiat

lux! Stamattina è stato bello aprire gli occhi e veder filtrare nella camera lame di luce viva e calda, anziché i fantasmi bianchicci dell'ennesimo cielo stupidamente caligginoso.


Altra passeggiata per Bologna, ieri sera. Il cielo si è a lungo squassato in lampi e tuoni, rovesciando acqua per due intense ore, impregnando l'asfalto e la terra, gonfiando i fiori a tal punto che serrarli (delicatamente) in mano dava la sensazione di strizzare una spugna. Lumache ovunque tanto che qualcuna ha fatto crack sotto le mie suole ed io mi sono trovato attonito a fissare il molliccio essere agonizzante. La facilità con cui si può fare male è disarmante, e non solo ad una lumaca.


E' orribile camminare per la propria strada e sentire improvviso quel maledetto crack. Percepire istintivamente di aver distrutto qualcosa, guardarsi dietro e vedere un'antenna che ancora si allunga da un miscuglio di umori, carne e frammenti di guscio; un'antenna che a scatti ruota come a cercare di vedere meglio chi sia il boia, il carnefice, per guardarlo in faccia e capire magari se vi sia un perché.


No, un perché non c'è se non quello derivante dall'incuranza insensibile con la quale si sfiorano mondi diversi. Sistemi di riferimento così distanti gli uni dagli altri da risultare reciprocamente insensibili, ciechi, impermeabili. E a questo punto, di cosa sto parlando? Lumache e uomini? Uomini e donne? Noi stessi ed il resto dell'universo? Ma non esiste un'armonia universale sulla quale accordarsi per condurre una vita realmente ecologica, pienamente in sintonia con ogni altro atomo o molecola esistente?


No, non credo che esista, e forse è per questo che alcune religioni la teorizzano, comandano e suggeriscono. Perché non esiste ed è impossibile da sperimentare, ma nel contempo sarebbe desiderabile per quasi chiunque, e richiede dunque un potente atto di fede per essere creduta e divenire quindi ispirazione di vita.


Filosofia spicciola da residui alcoolici, alla vigilia di aspettative che potrebbero andare deluse e leggere ansie che verranno di sicuro confermate. Eccomi: cheppalle!

giovedì 29 maggio 2008

facoltà di delega

Non capisco gli stupidi che si arroccano nel castelluzzo sbrindellato del poco potere guadagnato e da lì vedono nella delega la morte di ogni aspirazione incrementale sul proprio futuro. Delegare è il succo stesso del gestire/organizzare/comandare, soprattutto nel momento in cui affronti contesti troppo grandi per un unico punto di ingresso e un unico fronte di approccio.


Come ieri sera. Affrontare il pensiero di A che probabilmente - dopo un anno di ascesi post frattura tra me e lei - infine si concedeva a M che la insegue da tre mesi; affrontare il pensiero delle beghe lavorative odierne (ovviamente parzialmente delegate due ore fa, e ora son qui che scrivo; il che mi fa pensare che la delega sconfini - quando incontrollata - nello scaricabarile, ohi!); affrontare una serata nata storta sotto un cielo denso. Troppo.


Ho delegato alle gambe la gestione di parte del panorama. E così dopo un'ora e venti di cammino, mentre Living Darfur mi infiammava i passi con un'elasticità soprannaturale, ho raccolto i frutti di questa lungimirante gestione (uaahhh!): muri di gelsomino mi hanno entusiasmato i sensi, l'odore dei tigli mi ha ispirato albe fresche e frizzanti, il fiume di fari alla mia sinistra mi ha riportato ad una fortissima centralità sui miei piedi che avanzavano a tempo con la musica. Seduto su un panchetto in legno fuori dell'enoteca siciliana il cannolo aveva aromi di una sicilia lontana e suadente. L è giunta, teoricamente inattesa in realtà certa come avessimo stretto un patto. Parole fluite leggere, naturali, semplicemente dolci, e poi un'altra ora di cammino verso la macchina.


Delegare è la base per l'ubiquità. L'unico modo per fare fronte a se stessi nel momento in cui ci supponiamo abbastanza articolati da non essere monoliticamente monotematici e monomaniaci.


Tutto questo non mi è molto chiaro, ma oggi proprio non chiudo con cheppalle!

mercoledì 28 maggio 2008

La Fuga

Di Donnafugata: uno chardonnay davvero schietto, semplice e diretto. Il burro tipico del vitigno è insistente, la freschezza notevole, le note erbacee pungenti il giusto. Bella bevuta. Si sputa parecchio su Donnafugata, almeno quanto la si incensa. La sua proposta mediatica è tale da far arricciare il naso ai sedicenti intenditori. Ma a me frega davvero poco di cosa pensa chi è convinto di dover avere un'opinione diversa a priori. Che si beva ciò che vuole, che si vesta come preferisce, che legga ciò che lo attira e veda i suoi film armeni sottotitolati in braille.


Gli alternativi mi rompono le palle in qualsiasi campo, orbi come sono alla massificazione alla quale si fanno proni.


La Fuga è un buon chardonnay. Qusto post è scompensato dall'ebrezza alcoolica che fa uno strano mélange con la malinconia delle cose che si chiudono e di quelle che non si aprono. Potenze smarrite e potenzialità calpestate. Ennesimo post che chiudo con cheppalle. Sì. Cheppalle. Eppure un po' rido; ed il finale ecco che è diverso. Vado a camminare.

La perla

Mi tuffo nel casino rutilante del centro commerciale, raggiungo la mensa, pangasio gratinato, esco e torno in ufficio. Fumando la sigaretta non si vede né la micia nera né si vedono i fantasmini diafani. Ma compare il Pompo, anche lui di rientro dalla mensa. Il discorso verte, proprio non so perché, sulla sua ultima ecodoppler all'arteria renale (credo, boh!). Ha la pressione alta. Nel suo Guinness personale è arrivato a segnare 280 su 140, mi racconta: un pneumatico!


Con la pillolina scende a valori accettabili ma, racconta ancora, tempo fa si arrischiò in una seduta intensa e prolungata con la sua ragazza mentre lo sfigmomanometro segnava 180 su 110. "Alla fine mi si erano rotti i capillari e avevo - proprio lì - un sacco di macchie nere; ma che roba veh, sembrava marmo, mai vista una roba così, altro che Viagra". Eccola la perla che si incastona in questa giornata.


Spengo la sigaretta e torno al PC mentre Mattafix con Living Darfur mi infonde energia per affrontare questa luce sempre più stupida. A metà percorso verso la sera, nemmeno la mise spiaggistica allontana una sottile malinconia. Cheppalle.

mattina tranquilla

Onanista, Macellaio, Ciccio e tutta la combriccola particolarmente silenti. La mattina sta scorrendo senza che io abbia ancora fatto un beneamato cacchio. Sotto 'sto brutto cielo grigiastro sono uscito di casa con bermuda, scarpe in tela (niente infradito solo perché i piedi dell'arrampicatore sembran quelli di un'arpia), magliettina a righe scollo a V molto SROAB (softly-relaxing-on-a-beach). E questi paramenti da vacanziero scazzato (che sbatta!) stanno quasi cambiando questa brutta luce. 


Un tempo era il contrario e finivo io per accordarmi a ciò che trovavo fuori della tapparella.


Ah, è arrivato il Mocassino Frustrato, cubico come al solito, oggi in moto e quindi armaturato come per le Grandi Manovre. So che lui sarebbe perfetto in una scenetta che mi fu raccontata anni fa:


campeggio all'isola d'Elba, tenda con coppia di turisti teutonici motodotati, e quindi rigorosamente BMW-isti con borse in acciaio e tute integrali di pelle nera. Al mattino, mentre la gente ciondola in ciabatte e costume tra i bagni e il fornelletto del caffé, il teutonico si alza, si mette l'intimo attillato da viaggio, indossa la tuta in pelle incurante dei 30° che già solleticano la pineta, affonda i piedi negli stivali, si barda di sottocasco e poi si rinserra nell'elmo. Accende il suo cavallo bicilindrico, lo riscalda pochi secondi e parte.

"mah, lei rimane qui, strano" pensa il pubblico vedendo allontanarsi sul filo dell'alba cotanto cavaliere nero.

Passano 7 minuti.

Il cavaliere nero ritorna, spegne il cavallo, toglie il casco, il sottocasco, gli stivali, la tuta, l'intimo tecnico che stende ad asciugare del sudore, si deterge e rinfresca, inforca le infradito, entra dalla tenda e ne esce in costume, apre una delle borse in acciaio e ne tira fuori una forma di pane.


Dedizione alla causa. Quale che sia.

martedì 27 maggio 2008

odori casuali

La città puzza di caldo, sì, ma...


Se ci faccio caso il cespuglio davanti al benzinaio è lavanda: steli allungati ed energici, verde chiaro e con i fiori ancora piccoli e pallidi. Prendo un ramo tra le mani, le stringo e le tengo così un po', e poi le porto al naso. Il profumo mi pervade e distende.


E l'alberello sotto casa di L è gelsomino. Ci tuffo il naso alle tre di notte, inspiro, ed ecco la freschezza della notte, la dolcezza di una cosa splendida, la tenerezza di un sorriso fatto da grandi occhi un po' asiatici.


E di fianco ad una delle numerose enoteche il graticcio è intessuto di caprifoglio, e ti prende pizzicante il naso, ti elettrizza e blandisce i sensi ed i nervi anche quelli più lontani, tra agrumi acuminati e florealità flessuosa e giovane.


Cammino per strada, chiacchiero, e continuando a chiacchierare mi fermo sotto un gelso e mi riempio le mani di more molli, dolci, scure, che ci lasciano la punta delle dita color vermiglio.


Piccole magie quotidiane.

Non c'è più...

...la mezza stagione? Vaccata, sì, ma anche verdad! Dopo una settimana di pioggia, pioggerella, piovaschi che pareva novembre, ora spunta un sole malato e tutto sudato e qui si ribolle insieme al catrame che i cantonieri hanno deciso di spandere ovunque, praticamente su ogni maledetto metro quadro di carreggiata che c'è a Bologna. Cioè a dire che la primavera, quella limpida, piovigginosa ma anche luminosa di sole giovane, è già finita nei prodromi di un'estate torrida che saranno interrotti ancora da qualche rentrée autunnale?


No ma che due maroni! Spuntata la voglia di cambiare moto per riprendere ad usare il mezzo dueruotato, questo caldo già mi fa passare ogni velleità di acquisto considerando le saune alle quali andrei incontro. Caschi sudati come le spugne che il Miglio Verde ci ha mostrato venissero sistemate sulla capocchia dei condannati. Aliti bollenti fuori del motore che cucinano le gambe e fanno le palle alla coque. Impossibilità a paramentarsi con un minimo di tecnicismo protettivo e quindi finire a ragliare appesi al manubrio con bermuda in cotone e magliette svolazzanti, a tutto beneficio di una cura dimagrante velocissima ed intensiva nel caso di una banale scivolata.


Ok, con l'arrampicata va meglio, ma tu prendi la valle del Sarca, quella mecca di 20 chilometri chiamata Arco (di Trento), con tutte le falesie esposte a est, tipiche da mezza stagione. Un tempo le frequentavi da marzo a inizio luglio. Adesso a marzo prendi acqua e neve, a maggio sei spadellato peggio che un totano.


Inutile dire che le 4 ore di sonne esigono un tributo sempre più oneroso da sostenere. A. piangeva e così sono corso da lei in pausa pranzo. Dolce, povera, di fronte ai problemi di chi passa definitivamente nel mondo del lavoro senza capire un'H della strada che vuole percorrere. Però qui intanto io stringo mollette sul naso che il calzetto macilento e bagnato pare l'abbiano spalmato di Camembert di due settimane. Il macellaio ha una divisa, quella d'ordinanza, inamovibile dalla sua pelle scura tanto che considererei l'ipotesi se la fosse dipinta addosso, se il colletto non fosse così sdrucito e malsanamente lucido.


Voglio riposare al fresco!

Bestiario II - la reprise

Essendo giunto molto tardi in ufficio ho trovato il caravanserraglio già in fermento. L'onanista Azzannato parla ancora al telefono, ancora con voce suadente, ma l'ho appena visto uscire dal bagno, quindi immagino che questa placida quiete sia il relax del dopo. Il Macellaio emana odore di calzetto macilento abbandonato sotto la pioggia; si agita sulla sedia cigolante in un lamento che è costante e delirante; quando parla al telefono emette rutti liquidi e berci da ubriaco. Paura e terrore!


Ma ad essi si aggiungono:



  • il Mocassino Frustrato con la divisa "sono ggiovane sono ggiovane!";

  • il Ciccio Piallato che saluta con inchini barocchi e si perde nel viso della moglie che campeggia sul desktop;

  • il Leccaculo Atomico vestito come un ottuagenario scassato che fa costruzioni di fiammiferi in casa di riposo (fottendo il dolce ai vicini più rimbambiti).


Sono io intollerante? Quest'umidità mi rende tutto poco sopportabile. Le bolle poi ci mettono il loro. Le 4 ore di sonno sono la chiosa perfetta. Voiglio andar viaaaaaaaaaaaaa!!!! Che poi manco è vero. Voglio proprio che una spiaggia caraibica mi scivoli sotto il culo e mi si disponga intorno in bell'ordine. Chiedo troppo??

Bolle

Bolle oblunghe spuntano vescicanti sul mio polso. Ributtanti. La contaminatio!!! Aita aita!

lunedì 26 maggio 2008

Brrrgnao!

Di fianco all'ufficio, attaccata attaccata, c'è una piccola villetta a due piani con giardino, e balconi che danno verso l'aia nella quale, da fumatore, confino i miei sbuffi di Golden Viriginia. Di solito il giardinetto è pascolato da una micia nera che mi fissa, mi segue a distanza di sicurezza riflettendo il mio camminare avanti e indietro come fosse il mio specchio, facendo "mrrrrao..., brùgnào?, mrròh!" etc.


Alla micia nera che controlla il fossato si sono aggiunti due bellissimi fantasmini diafani che pascolano i piani alti. Gemellini un po' strabici e bianchi bianchi, pelo cortissimo e occhi azzurri; si muovono sinuosi l'uno intorno all'altro, si protendono, annusano, sbavicchiano e assaggiano l'inferriata, fanno slalom tra i ferri verticali camminando flessuosi a destra di uno e a sinistra del successivo, come lontre albine e miagolanti. Fanno "gna-gna, e mirù? e mrè-mrè".


Questo sì che è un bestiario che vale la pena godersi.

Per inciso, l'Onanista Azzannato si è onanizzato e adesso si gode il riposo del guerriero russando. Mah!

Bestiario

L'Onanista Azzannato parla al telefono con un cliente, è propositivo e ha una voce suadente: evidentemente non aveva ancora iniziato lo sfregamento mattutino... il coitus interruptus rende nervosi ed irritabili.


Il Macellaio trasferisce grosse moli di file su linee troppo sottili, così impiega decine di minuti ad attendere. Ma non si scaccola, non va a prendere un caffé, non si addormenta. Guarda il monitor, guarda attento la barra di progressione avanzare lentamente, osserva con sospetto il disegno dei fogli che vanno da una cartellina all'altra, ininterrottamente.


Io lo so. Me lo sento. Un giorno una goccia tiepida mi finirà sulla nuca ed io saprò cosa sia. Oppure un machete mi decollerà senza alcun vero motivo ma solo perché il Macellaio si è stancato di guardare le icone di trasferimento file.


Disagio.

Alla faccia del buon inizio!

Motivazione professionale, freschezza mentale, interesse per le sfide quotidiane rappresentate da capi, colleghi e clienti! Creatività, impegno, senso del dovere, responsabilità! Alè alè alè! Forza che inizia una nuova settimana!


Ahò, mavvaffanculova'!


Ho aperto gli occhi con il desiderio di fare colazione con frutta fresca e succhi appena spremuti, calpestando la sabbia che il vento ha portato, fresca e bianca, sul tavolato di legno di una veranda. Guardando il mare piatto del mattino, rilassandomi nella contemplazione di un luccicante universo tropicale da una sedia in vimini e tela. Sole caldo sulla mia pelle già abbronzata, mentre vesto con pantaloni corti, larghi e comodi di garza.


Direi che il resto dovrà aspettare, io mi organizzo una vacanza!

venerdì 23 maggio 2008

Urli dal passato?

"Donne, è arrivato l'arrotino", peeeepppeeeee...


Sotto il sole (fugace ritaglio in questi giorni igrobiblici) una bicicletta a 3 ruote, macilenta e scassata, ha il cassone pieno di cianfrusaglie variopinte e traballanti. Pedala un tipo macilento e scassato. Molla la mano destra, prende un microfono e lancia il suo urlo.


Strabuzzo gli occhi.

Il prof del ginnasio ci spiegò un tempo cosa fosse un anacronismo.

Ecco, bè...

the Moscow Mule

Siamo guizzi tra corpi che stanno

Siamo umidi tra pelli seriche

Siamo canti tra bocche silenziose

Siamo scintille tra biglie di vetro opaco.


Calda, sei tutto e solo ciò che sei.

Splendida, sei ogni gesto che fai.

Muovo, tocco e scivolo,

dentro il tuo desiderio il mio.


Non voglio sapere altro.

Atolli urbani

Non so da dove mi venga la passione per le rotonde, ma ce l'ho. Un tempo era limitata alla loro circonferenza da percorrere in moto sotto lo sguardo attonito degli automobilisti. Ora è concentrata sul loro interno. A Bologna stanno facendo un'opera promozionale nei confronti di questi copiosi frutti di PRG. Ne vedo di grandi e piccole, di oblunghe e perfette, sormontate da collinette incalpestate o attraversate da sentieri e ordinate in giardinetti ed aiuole.


Fatto sta che sono oasi fuori del normale fluire della vita quotidiana, e per questo mi attraggono con il gusto della scoperta. Un po' come gli autogrill, piccolissime autarchie che mi sanno tanto di scenografia da film western, le case sulla via principale che nascondono solo un paio di pali per puntellare le facciate.


Con queste piogge le rotonde di Bologna esplodono di verde, frusciano di gemme, si aprono di boccioli, e sono pozze di vita fremente circondate di asfalto. Atolli urbani.

giovedì 22 maggio 2008

Nel frattempo...

...cioè mentre preparo lo skin grafico del blog (che tanto abbandonerò tra 2 settimane e 8 post, a occhio e croce), il fegato si plastifica e la mancanza di sonno mi rimbambisce. Ieri sera mi ha fruttato tessera Arcigay nel portafoglio [Gorble! Gosh!!] e gambe molli per tre ore di ballo. Nella testa qualcosa sbatte e risbatte incessante. Parassiti?? Mah!